De Anima di Aristotele è un trattato in cui il filosofo di Stagira risponde alla domanda “che cos’è l’anima“. In questo articolo ne analizziamo i contenuti e illustriamo il contesto culturale che precede e segue la sua realizzazione.
Indice dell'articolo
L’anima prima del De anima di Aristotele
L’uomo si interroga da sempre sull’anima, in quanto questo interrogativo corrisponde alla volontà di comprendere l’essere umano e la sua esistenza. Dunque, è chiaro che domande e riflessioni intorno l’anima precedono il trattato di Aristotele. Tuttavia, gli scritti dello Stagirita segnano una tappa importante non solo per la filosofia ma per tutta lo storia del pensiero intorno questa tematica.
Infatti, prima di Aristotele i greci concepiscono l’anima come un demone. In effetti, gli storici delle religioni hanno correlato questa visione del mondo con altre culture arcaiche e la avvicinano all’animismo. Cioè, secondo questa ricostruzione, tutti gli uomini dell’antichità concepiscono il mondo come una realtà che brulica di molteplici entità spirituali. L’anima dell’uomo, in quest’ottica, è solamente una tra le tante, dato che sono presenti in ogni cosa che esiste. Così, anche l’antico mondo greco non fa eccezione e definisce queste entità con diversi nomi, come eidolon e phasma. Eraclito, il primo pensatore di cui abbiamo frammenti di testo a tal riguardo, sembra affermare che l’anima è corporea, in quanto simile al fuoco. Dunque, nonostante la sua natura “sottile”, essa fa parte del mondo fisico.
Socrate, Platone, Aristotele
Un punto cruciale da cui Aristotele parte per la sua trattazione è l’idea di anima così come emerge nei dialoghi platonici. Infatti, come raccontato da Platone, secondo Socrate l’anima è sede della ragione umana. Dunque, l’uso “corretto” della propria anima, ciò che produce il bene, equivale all’uso corretto della ragione. Tuttavia, sorge qui una frattura tra anima e mondo. Infatti, se i sensi ci ingannano e ci allontanano dalla retta via, la ragione appare di contro qualcosa di elevato rispetto al mondo. Inoltre, in diversi dialoghi troviamo l’idea che l’anima non perisce quando avviene il disfacimento del corpo e continua la sua esistenza.
Così, Aristotele inizia il suo trattato con la descrizione di tutto ciò che i filosofi prima di lui affermano intorno l’anima, Platone compreso. Poi, revisiona queste idee e illustra la sua. In effetti, con Aristotele troviamo un’attenuazione del contrasto platonico tra anima come principio di vita e moto, da un alto, e anima come principio e sede del pensiero dall’altro. Ma in questo passaggio l’anima non è più un “demone”. Invece, essa appare come parte del mondo materiale. Cioè, appartiene a questo mondo e non lo trascende quando sopraggiunge la morte, come afferma Platone. Tuttavia, non è più quell’entità dotata di volontà tipica del mondo antico che agisce a suo piacere nel mondo naturale, in quanto quest’ultimo è determinato da rapporti di causa-effetto.
De anima di Aristotele nel corpus aristotelico
Se seguiamo l’ordine che Andronico di Rodi conferisce al corpus aristotelico, la trattazione sull’anima segue quella relativa alla fisica. Ma come afferma Giancarlo Movia, il De anima di Aristotele è anzi una sezione stessa della fisica sotto l’aspetto dei contenuti. Infatti, Aristotele dice che il movimento degli astri è «suppergiù come quello di piante e animali». In effetti, lo Stagirita considera l’anima, come vedremo più avanti, ciò che conferisce il movimento agli organismi viventi. Insomma, l’anima e il movimento che essa produce sul corpo seguono per Aristotele una logica simile alle altre forme di movimento presenti nel mondo fisico. Dunque, già da queste premesse comprendiamo l’immensa distanza che divide la concezione dell’anima aristotelica da quelle di stampo cristiano e prearistotelico.
D’altra parte, come illustriamo più avanti, lo Stagirita conferisce all’anima una dimensione particolare con cui spiega la vita. Infatti, quest’ultima risulta, se in riferimento all’essere umano, un moto che è un unicum dell’intero mondo fisico. Perciò il filosofo le dedica una trattazione indipendente che diviene un momento di passaggio tra il discorso sul mondo fisico e quello sull’etica e la politica, elementi anch’essi appartenenti solo all’essere umano. In effetti, proprio questa peculiarità determina in modo rilevante la concezione dell’anima nella cultura occidentale.
Una o tre anime per l’uomo?
Innanzitutto, ricorda il filosofo, chiamiamo vita la capacità di nutrirsi, crescere e deperire. Dunque, in considerazione di tutto ciò che corrisponde a queste caratteristiche, Aristotele distingue tre tipi di anima: vegetativa, sensibile e razionale. Innanzitutto, la vegetativa appartiene a tutti i tipi di organismi: umani, animali e vegetali. Infatti, essa spinge i viventi al nutrimento e alla riproduzione. Insomma, è il moto elementare degli enti vivi. Poi, abbiamo quella sensibile, che appartiene solo ad animali e umani. Dunque, essa muove l’organismo per mezzo della stimolazione dei sensi e, da queste percezioni, produce l’immaginazione. Infine, l’anima razionale appartiene solo all’uomo, in quanto è propria di un intelletto agente. Cioè, l’anima razionale è ciò che garantisce all’uomo la facoltà di ragionare che manca a tutti gli altri organismi.
In effetti, una tripartizione dell’anima è già presente in Platone. Tuttavia, l’argomentazione di Platone concerne in particolare l’uomo. Infatti, egli descrive le tre porzioni dell’anima con una gerarchia diversa, anche se colloca in modo eguale la ragione all’apice.
Ma allora, l’uomo possiede tre anime? In effetti, questa tripartizione va intesa come una distinzione gnoseologica ancor prima che fisica. Cioè, l’anima dell’uomo, così come quella degli animali e delle piante, è una. Però, questa classificazione, che è uno schema che facilita la distinzione tra noi e gli altri organismi, mostra che l’anima umana ha un moto peculiare, quello dettato dalla ragione. Ma in che senso l’anima è “moto”?
Che cos’è l’anima?
L’anima è sostanza, nel senso che è «forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza». Ma cosa è la “forma”? Qui, Aristotele introduce il dualismo materia-forma. Così, spiega che la forma è l’essenza di un corpo, sia esso in atto o in potenza. Dunque, ad esempio, se immaginiamo l’occhio come un animale, la sua anima è la vista, cioè la funzione per la quale esso esiste e compie il suo movimento. Perciò, la forma di qualsiasi vivente è l’anima, in quanto è ciò che conferisce la forma di vivente a una materie che altrimenti è inerte. Ma, mentre l’anima vegetativa e quella sensitiva sono anche atto in quanto mescolate al corpo, quella intellettiva esiste solo in potenza. Comunque, prosegue lo Stagirita, anche quest’ultima non “entra” nel corpo in un secondo momento, ma è già presente per i motivi suddetti.
Insomma, l’anima è moto nel senso che è il movimento vitale di un ente. Quindi, l’anima è la causa della vita. Ma riguardo al concetto di causa, Aristotele sviscera tale argomento in un altro suo trattato, quello sulla metafisica. Perciò, non approfondiamo questo aspetto in questa sede e rimandiamo la lettura all’articolo dedicato a La Metafisica di Aristotele.
I cinque sensi
Invece, una porzione del De Anima di Aristotele su cui possiamo concentrare l’attenzione è la parte relativa ai sensi. Innanzitutto, lo Stagirita ne enumera cinque: vista, udito, olfatto, gusto e tatto. Infatti, egli afferma l’assenza di altri sensi dato che il corpo umano possiede gli organi per il funzionamento solo di questi. Dunque, dato che l’organismo è sprovvisto di altri organi legati ai sensi, è evidente che vi sono solo cinque sensi. Ancora oggi se parliamo dei sensi ci riferiamo a quelli elencati da Aristotele.
Tuttavia, anziché porli tutti sullo stesso piano, il filosofo li classifica in modo gerarchico. Infatti, tutti i sensi colgono le sensazioni perché sono altro rispetto a ciò che colgono. Cioè, ad esempio, percepiamo qualcosa come caldo perché il nostro corpo è meno caldo dell’oggetto che trasmette quella sensazione. Ancora, se percepiamo un odore è perché noi non siamo odore. Tuttavia, gli organi che permettono l’esperienza della sensazione hanno delle differenze e sono più o meno distanti dall’oggetto che li stimola.
Così, per Aristotele quegli organi che hanno una maggiore distanza permettono una conoscenza più esatta di quelli in cui è minore. Perciò, i sensi “imperfetti” sono il tatto, in quanto l’organo a esso abbinato è la carne dell’organismo, e il gusto, esperito tramite l’umido della lingua. Invece, al verso opposto troviamo l’udito, in quanto il suono arriva alle orecchie attraverso o l’aria o l’acqua. Infine, la vista, la quale ha come elemento di distanza lo spazio luminoso che è tra occhio ed oggetto osservato.
L’immaginazione
Anche se il De Anima di Aristotele contiene molti elementi di riflessione, dedichiamo un ultimo spazio alla sezione relativa all’immaginazione. Infatti, come abbiamo detto, secondo il filosofo l’immaginazione appartiene all’anima sensitiva. Ma in che senso? Aristotele afferma che l’immaginazione è altro dalle sensazioni e dall’intelletto. Difatti, possiamo immaginare qualcosa anche senza che gli organi dei sensi colgono ciò che immaginiamo. Invece, l’immaginazione deriva dai sensi, come dimostra il suo nome, “fantasia”, la cui radice è la parola faos, cioè “luce”, in riferimento a ciò che permette il funzionamento dell’organo più importante, la vista.
Tuttavia, l’immaginazione è altra cosa anche rispetto all’intelletto e all’opinione. Infatti, l’opinione è quando cogliamo qualcosa attraverso i sensi in modo errato. Cioè, ad esempio, quando il sole sembra più grande di quello che è. Al contrario, l’intelletto produce i ragionamenti, che sono visione della verità. Invece, l’immaginazione permette la visione di cose vere e false. Dunque, essa è intermedia tra sensazione e ragione. Perciò, Aristotele afferma che appartiene a certi animali, come api e formiche. Ma l’uomo possiede la ragione rispetto a questi. Quindi, l’immaginazione è un moto dell’anima come le sensazioni e l’intelletto. Però, oltre all’immaginazione l’uomo ha anche la facoltà di comprensione del mondo in modo corretto. Dunque, l’intelletto resta ciò che rende l’anima umana diversa. Inoltre, “sapiente” è colui che con l’intelletto ha fatto suo l’oggetto della conoscenza. Dunque, il suo intelletto è in atto per quanto riguarda la conoscenza degli enti che conosce.
il De Anima di Aristotele e i filosofi successivi
L’idea di un’anima che fa parte del mondo della materia, dopo la morte di Aristotele, tende col tempo a essere messa da parte o integrata col platonismo, e ciò segna l’ascesa di stoicismo, epicureismo e neoplatonismo prima e del cristianesimo poi. Inoltre, l’incontro tra pensiero greco-latino ed ebraismo arricchisce queste nuove dottrine. Così, la posizione aristotelica viene dimenticata e troviamo una svalutazione della ragione e una declinazione dell’anima in chiave spirituale. Poi, quando teologi come Bonaventura, Grossatesta e Tommaso traducono questi testi dall’arabo e dall’ebraico, lo Stagirita torna sulla scena. Ma questo primo momento, che vede ancora un forte legame tra filosofia e cristianesimo, sfuma nel Rinascimento con filosofi quali Ficino, Valla e Pomponazzi. Dunque, oggi possiamo dire che il De Anima di Aristotele è uno dei testi essenziali per la svolta culturale che ha luogo tra Medioevo ed età moderna.
Anche se la storia del pensiero vede l’avvicendarsi di altri cambiamenti nei secoli seguenti, Aristotele e la sua concezione sull’anima resta una tappa con cui tutti i filosofi successivi devono fare i conti. In effetti, Hegel afferma che proprio questi testi sono «l’opera migliore o l’unica di interesse speculativo intorno a tale oggetto».
Luigi D’Anto’
Bibliografia
L. Vanzago, Breve storia dell’anima, Il Mulino, 2009.
Aristotele, L’anima, a cura di G. Movia, Bompiani, 2010.
Sitografia
Francesco Fronterotta sul De Anima di Aristotele: https://www.youtube.com/watch?v=kmELTCDp1Ug
Nota: l’immagine di copertina è da Pixabay.com.