Il mondo come volontà e rappresentazione è il pensiero cardine di Arthur Schopenhauer. Egli è un uomo e un filosofo emblematico per quei tratti profondi che costituiscono la sua poliedrica personalità.
La filosofia schopenhaueriana è sintesi di differenti aspetti culturali che contraddistinguono ciascuna civiltà. Fra questi possiamo ricordare: la filosofia platonica, il criticismo kantiano, la fisiologia francese, il misticismo della filosofia indiana, etc.
Indice dell'articolo
«Nessun oggetto senza soggetto»
Arthur Schopenhauer dà avvio alla propria attività filosofica, dalla quale emergerà nel corso del tempo la sua disincantata visione della vita e del mondo, mediante la Dissertazione dottorale del 1813. Il titolo di quest’ultima è Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente. Essa indaga il principio di ragione sufficiente come fondamento di ogni scienza, ossia di un complesso organico di conoscenze connesse fra loro e non costituenti un mero aggregato.
Essa indaga il principio di ragione sufficiente come fondamento di ogni scienza, ossia di un complesso organico di conoscenze connesse fra loro e non costituenti un mero aggregato.
Soltanto nella Critica della filosofia kantiana (contenuta nell’Appendice de Il mondo come volontà e rappresentazione) si approderà all’asseverazione della verità così evidente e certa di un nesso inconfutabile: «nessun oggetto senza soggetto».
La facoltà dell’intelletto e la categoria della causalità
Affinché si dia un’esperienza completa, che esprime il mondo reale obiettivo, è necessario che le forme a priori della sensibilità (tempo e spazio), in cui si presentano i fenomeni, siano strettamente congiunte. Tale unificazione richiede oltre il contenuto sensoriale, che le rende percepibili, anche l’intervento dell’intelletto.
L’intelletto trasforma le pure sensazioni corporee/soggettive in intuizioni oggettive/ intellettuali attraverso la categoria della causalità. Quest’ultima risale immediatamente e inconsapevolmente (senza mediazione di concetti astratti) dall’effetto alla causa, producendo in questo modo oggetti mediati.
Il mondo reale obiettivo
Il punto di partenza per la “costruzione” della realtà empirica è dato dalle impressioni sensibili (limitate allo strato sottocutaneo). Il soggetto percepisce le impressioni sensibili in virtù della modificazione dei propri organi di senso. Esse sono colte dall’intelletto come effetto, proprio grazie alla sua forma a priori della causalità (presupposto di ogni esperienza).
La forma a priori della causalità riferisce le sensazioni a una causa, che viene posta mediante la forma dello spazio esternamente all’individuo. È così che ci troviamo dinanzi all’oggetto materiale inteso come causa delle sensazioni, come ciò che agisce sui sensi. Il complesso totale di questi oggetti è ciò che chiamiamo “il mondo reale obiettivo”.
Arthur Schopenhauer: il ruolo dell’intuizione intellettiva
Dall’analisi di questo processo conoscitivo emerge che l’intuizione non può essere sensibile, ma “intuizione intellettiva” (anche se non consapevole l’intuizione è propria anche degli animali). Essa è resa possibile soltanto dall’intelletto, in quanto la legge di causalità fondante il nesso causa-effetto rientra esclusivamente nel suo dominio e quindi la sua validità è legittimata solo mediante l’intelletto.
Inoltre, il soggetto ha la coscienza immediata dei mutamenti corporei, ossia delle sensazioni, grazie alla forma a priori del tempo. Quest’ultima è la forma universale della sensibilità, che permette la presenza alla coscienza delle rappresentazioni immediate, ovvero le sensazioni.
Le rappresentazioni immediate sono il frutto delle azioni esercitate dagli oggetti esterni sul corpo. Esso è l’oggetto immediato che media tutte le rappresentazioni e delle cui modificazioni abbiamo coscienza immediata nel tempo.
Arthur Schopenhauer e il rapporto tra soggetto e oggetto
In verità, secondo Schopenhauer, il soggetto conoscente non può limitarsi a conoscere solo gli effetti, le impressioni sensibili che gli oggetti provocano, altrimenti esisterebbe un unico oggetto, ossia quello immediato con i suoi stati variabili. Sicché è necessario conoscere anche la causa delle modificazioni corporee, cui si arriva attraverso l’attività dell’intelletto.
Se si restasse sul piano delle sole impressioni sensibili saremmo come delle piante, ovvero in grado di percepire diverse sensazioni, ma incapaci di andare al di là della loro presenza immediata. Saremmo una mera successione di stati corporei.
Il pensiero di Schopenhauer sembra subire una “correzione” all’interno della seconda edizione de La quadruplice radice: è inammissibile definire il corpo come “oggetto”. Esso è un susseguirsi di sensazioni, di cambiamenti registrati dai propri organi di senso e come tale è il riflesso di una dimensione prettamente soggettiva.
Data la natura più originaria del tempo rispetto allo spazio, in cui si percepiscono i dati sensibili spazializzati, il senso esterno è oggetto di quello interno. Inoltre, Schopenhauer pone il nesso tra oggetto e soggetto come condizione imprescindibile della conoscenza:
L’oggetto al di fuori della relazione con il soggetto è un puro nulla e, se lo si privasse di questa relazione non rimarrebbe assolutamente nulla, la sua esistenza in sé sarebbe un non senso e svanirebbe.
In questo nesso emerge un’essenziale differenza: l’oggetto è il conosciuto e non è mai conoscente, mentre il soggetto non è mai conosciuto ed è conoscente.
La corporeità in relazione al mondo come volontà e rappresentazione
Il corpo (oggetto fra gli oggetti, in quanto sottomesso alla legge di causalità) si presenta al soggetto conoscente come oggetto immediato quando il soggetto coglie le sue modificazioni, dovute all’azione di un oggetto esterno. Ad esempio la ruvidità di un tavolo non la riconosciamo come proprietà della cosa stessa, ma la percepiamo come sensazione tattile e quindi non l’avvertiamo nell’oggetto ma sulla nostra pelle.
Inoltre, come oggetto immediato il corpo è costituito da parti che sono oggetti mediati, in quanto ciascuna parte esercita un’azione causale sull’altra. Ad esempio la mia mano è oggetto mediato se la vedo, se i miei occhi (oggetto immediato) riconoscono la sua capacità di riempire lo spazio. A questo riguardo, si accenna a quella dimensione fisiologica, specchio della realtà volitiva, che subirà notevoli sviluppi nel pensiero dell’Autore.
Il rapporto soggetto–oggetto come nesso coscienza-organismo
La correlazione soggetto – oggetto è letta, oltre che in chiave trascendentale, anche in termini fisiologici. Arthur Schopenhauer, nel delineare il rapporto soggetto–oggetto come nesso coscienza-organismo, prende come punto di riferimento il fisiologo e filosofo francese Cabanis. La concezione dell’autore francese è fondata sull’articolata funzionalità del potere sensibile rispetto ai singoli organi di senso.
Questa linea di pensiero consente a Schopenhauer di trarre una comparazione tra la facoltà dell’intelletto e l’organo del cervello alla stessa maniera di quella che può essere riscontrata tra un qualsiasi organo sensibile e la sua funzione inerente. «Il mondo fenomenico non è altro se non una produzione del cervello», dal quale l’intelletto risulta continuamente condizionato. Infatti, se quest’organo cerebrale fosse messo da parte verrebbe meno anche la realtà empirica, perché sarebbe annullato quel nesso causale che unifica le forme sensibili dello spazio e del tempo.
L’intelletto è quindi una funzione del cervello, così come il vedere e il pulsare sangue sono rispettivamente peculiari degli occhi e del cuore.
Si riconosce nel filosofo l’utilità della gerarchizzazione della sensibilità al fine di circoscrivere quello “scarto” che intercorre tra intelletto e volontà. E proprio per questo motivo è opportuno distinguere i sensi più “soggettivi” (il gusto, l’odorato e il tatto) da quelli “oggettivi” (la vista e l’udito). Gli uni implicano un chiaro rimando alla volontà e come tali restano al livello di pure sensazioni di dolore e di piacere. Gli altri rinviano direttamente a quella specifica sensazione, sulla quale poggia la percezione della realtà esterna.
La facoltà sensibile per eccellenza: il senso della vista
Schopenhauer predilige il senso della vista; infatti egli lo considera il senso per eccellenza dell’intelletto. “Il vedere” (il risalire dall’effetto alla causa) è difatti un’operazione dell’intelletto, la quale avviene in modo tanto inconsapevole da indurre a credere che essa sia una semplice sensazione senza mediazione di questa facoltà conoscitiva.
Ma ciò è, appunto, soltanto un’illusione provocata dall’articolata costituzione dell’organo visivo. Esso è eccitato dalla luce, mediante la quale riceviamo sensazioni di colore, immagini rovesciate e doppie degli oggetti, etc.
Solo attraverso la funzione causale dell’intelletto, le molteplici sensazioni visive sono convertite in un mondo ordinato. Quest’ultimo è formato da oggetti, le cui immagini vengono percepite in maniera semplice e diritta.
Nella percezione visiva il passaggio dall’effetto alla causa è prettamente immediato e inconscio. Mentre nella percezione fondata sui restanti sensi è presente un certo grado di coscienza. Ad esempio se ci troviamo in un luogo buio e tocchiamo un oggetto, ci rendiamo conto di cosa si tratti solo in seguito al susseguirsi di sensazioni che la sua presenza determina sul corpo, in questo caso sulle mani.
L’intelletto come ancella della volontà in Arthur Schopenhauer
Ritornando al discorso sull’intelletto, esso appartiene nella sua forma generale, che consiste nel cogliere il nesso causale, sia agli uomini sia agli animali. Questa facoltà presenta diverse gradazioni di acutezza che possono favorire o non l’ampliarsi della conoscenza. Il livello più elevato è caratterizzato dal miglioramento apportato alla conoscenza, nel momento in cui l’intelletto diventa capace di cogliere oltre questo nesso, anche quello interposto tra i soli oggetti mediati.
Schopenhauer attribuisce maggior importanza a questo grado di acutezza. Come si chiarisce nel Libro I de Il mondo, esso non solo permette di comprendere quanto accade nel complesso mondo della natura, ma anche di manifestarsi nel mondo dell’agire pratico, calandosi nelle vesti di ancella della volontà. In tal modo, l’individuo si destreggia in particolari situazioni, come mandare a monte piani insidiosi volti a suo danno. È capace di proporre motivazioni che siano capaci di suscitare l’attenzione degli altri, in quanto oggetto del loro interesse, ma che in realtà mirano a realizzare esclusivamente i propri fini.
Arthur Schopenhauer: la ragione come spazio di libertà umana
Da queste considerazioni emerge una ragione pratica intesa come guida dell’agire. Tuttavia, ciò non significa che essa sia da interpretarsi come fonte della virtù, bensì come un suo strumento. La ragione pratica è la facoltà dei concetti e delle azioni ad essi conformi. La ragione così come guida al comportamento ponderato alla stessa maniera può condurre alla totale malvagità, alla condotta tirannica. Infatti, il fatto che essa sia presente esclusivamente nell’uomo non autorizza a riconoscerle un significato sproporzionato.
Schopenhauer, ne Il mondo, sostiene che la ragione può essere definita anche riflessione, in quanto la sua operazione non è altro se non lo specchio di rappresentazioni intuitive, con le quali è posta in un nesso indissolubile. E proprio questa sua caratteristica fa sì che i suoi concetti non siano un contenuto nuovo, ma una ripetizione di quelle rappresentazioni primarie che si conserva nel tempo grazie al linguaggio.
Esso è quel sistema di segni vocali che potenzia la struttura conoscitiva razionale dell’uomo al massimo grado attraverso la comunicazione dei pensieri, al punto tale da renderlo «signore della terra».
Maria Molvetti
Bibiliografia
La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, tr.it. a cura di A.Vigorelli, Guerini e associati, Milano, 1990.
La vista e i colori. E carteggio con Goethe, a cura di M.Montinari, Abscondita, Milano, 2002.
Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di S.Giametta, Bompiani, Milano, 2010. Id., Supplementi a Il mondo come volontà e rappresentazione.