Il Politico è l’ultimo dialogo della cosidetta “trilogia platonica”. Fulcro della sua argomentazione è la corretta definizione di uomo politico. Tuttavia, troviamo anche diverse digressioni tra cui un mito sull’origine del mondo. Nel seguente articolo analizziamo tutti questi aspetti del dialogo.
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Posizione de Il Politico nel corpus platonico
Innanzitutto, Il Politico appartiene a una trilogia. Cioè, ci sono tre dialoghi platonici che presentano una continuità narrativa. Il primo dialogo è Il Teeteto, in cui il filosofo Socrate inizia la conversazione con l’amico Teodoro e il giovane Teeteto. Poi, abbiamo Il Sofista, che aggiunge altri personaggi tra cui lo straniero di Elea e Socrate “Il giovane”. In effetti, questo secondo dialogo è una vicenda che avviene il giorno dopo rispetto alla conversazione del Teeteto. Infine, abbiamo Il Politico, che descrive le riflessioni compiute dopo quelle descritte nel Sofista.
Difatti tale ordine, rintracciabile all’interno dei dialoghi stessi, viene enfatizzato da Trasillo. Infatti questo filosofo neoplatonico dà un ordine preciso all’opera omnia dell’ateniese. Così, Trasillo suddivide i dialoghi in tetralogie, cioè gruppi da quattro. Perciò, nel secondo gruppo, insieme a Il Cratilo che apre la tetralogia, troviamo la trilogia nell’ordine descritto. In effetti, rintracciamo legami narrativi simili anche in altri dialoghi platonici. Cioè, ad esempio in tutti quelli della prima tetralogia, che inizia con L’Eutifrone e termina col Fedone. Infatti, essi descrivono l’arco temporale del processo e della morte di Socrate. Tuttavia, la trilogia narrativa del Politico costituisce l’unica presente nei dialoghi platonici.
Chi è il Politico?
Molte opere di Platone hanno come titolo il nome di un personaggio che partecipa o assiste alla conversazione di cui leggiamo. Invece, Il Politico, proprio come Il Sofista che lo precede, ha per titolo l’argomento del dialogo. Infatti, il testo cerca proprio la risposta alla domanda cosa fa di un uomo un politico. Ma anche questa titolazione è normale nel corpus del filosofo. Infatti, parecchi dialoghi platonici hanno un nome del genere.
Come evidenzia lo studioso Giovanni Reale, questo dialogo con la ricerca intorno alla figura del politico mantiene la “promessa” de Il Sofista. Cioè, quella per cui dopo l’analisi su che cosa fa di un uomo un sofista la ricerca prosegue poi col politico. Infatti, nel Sofista queste due figure appaiono, a una prima occhiata, come identità prossime. Invece, le riflessioni dei due dialoghi dimostrano il contrario. Tuttavia, nel Sofista troviamo anche la promessa di una trattazione sul filosofo. In effetti, nel corpus platonico un dialogo dedicato a tale argomento manca. Però, a ben vedere, questo argomento è presente proprio nel Politico. Infatti, come analizziamo più avanti, il giusto politico corrisponde al filosofo.
La circostanza descritta ne Il Politico
Dunque, questo dialogo appare come il prosieguo della conversazione tra Socrate e altri personaggi. Tuttavia, è interessante che Socrate partecipa ora solo in qualità di uditore. Così come Teodoro e Teeteto, i quali dialogano solo negli altri due testi della trilogia. Invece, qui prendono la parola “lo straniero di Elea” dal nome mai rivelato e Socrate “il giovane”. Ma quest’ultimo segue perlopiù i ragionamenti dello straniero.
In effetti, ciò viene motivato nell’introduzione. Infatti, Socrate afferma che ha già sentito il giovane Teeteto e ne ha saggiato le capacità. Invece, di Socrate il giovane non conosce ancora nulla. Perciò, lascia allo straniero la possibilità di dialogare con lui. Invece, nel finale il dialogo termina in modo veloce con la constatazione, da parte di Socrate il giovane, che lo straniero individua in modo chiaro la definizione di politico.
Il metodo diairetico
Innanzitutto, riguardo ai contenuti del dialogo, citiamo qui il metodo diairetico. Cioè, una forma di argomentazione che prevede la progressiva scomposizione di determinati insiemi definitori in due sottogruppi. Difatti, questo metodo è già presente ne Il Sofista. In effetti, questo è proprio il metodo che lo straniero utilizza durante le sue riflessioni in ambo i dialoghi. Così, ne Il Sofista egli individua la definizione di sofista proprio grazie a questo metodo. Poi, ne Il Politico, agisce nello stesso modo con quest’altra figura.
Tuttavia, va detto che rintracciamo la diairesi anche in altri dialoghi platonici in cui lo straniero è assente. Cioè, in primis nel Fedro e nel Filebo, e anche in altri in minima parte.
Scienze pratiche e scienze teoriche
Dunque, da dove inizia la ricerca della definizione dell’arte politica? Innanzitutto, da una divisione delle scienze in pratiche e teoretiche. Cioè, le scienze pratiche sono quelle che richiedono un esercizio del corpo. Ma nella scienza del governo questo aspetto è assente. Dunque, essa fa parte delle scienze teoretiche. Però le scienze teoriche presentano sia arti del dare giudizi sia arti del dare ordini. Dunque, la politica appartiene in modo chiaro a quelle degli ordini. Inoltre, l’ordine è o originato da chi lo dà o da qualcun altro, e il politico appartiene al primo gruppo. Ma perché i governanti danno ordini? Risponde lo straniero, “per la nascita di qualcosa”.
Dunque, la “nascita” così intesa è tanto delle scienze che producono cose prive di anima, come l’architettura, tanto degli enti animati. Dunque, la politica appartiene di certo al secondo gruppo. Però questo gruppo a sua volta raggruppa chi provoca una singola nascita e chi la provoca in un intero gruppo. Perciò il politico rientra nella seconda categoria. Così, già in questo primo esame, troviamo una certa vicinanza tra il politico e il pastore, come afferma lo straniero.
Digressione metodologica
Ma nonostante questo risultato, lo straniero arresta questa concatenazione logica e apre ad una digressione metodologica sul metodo diairetico. Cioè, egli afferma che è più facile l’errore se l’uso di questo metodo è compiuto in modo frettoloso. Infatti, la sua idea è che l’accostamento delle figure del politico e del pastore è forse un errore.
A tal proposito, evidenzia come è un errore la distinzione del popolo greco da tutto il resto dell’umanità quando consideriamo quest’ultimo “popolo barbaro”. Così come quando distinguiamo il diecimila da tutti gli altri numeri possibili. Cioè, l’errore consiste nella divisione di un gruppo in due sottogruppi in cui manca l’equità. Così, se tra diecimila e tutti i numeri c’è un’evidente disparità, così è tra Greci e barbari.
Quindi, se torniamo al rapporto tra il politico e il pastore, lo straniero afferma che prima bisogna distinguere tra animali selvatici e domestici. Dunque, l’arte politica rientra nell’addomesticamento di animali domestici, se definiamo l’uomo come tale. Ma questo non basta. Infatti, vanno distinti gli animali bipedi dai quadrupedi, e quelli piumati da quelli senza piume. Tuttavia lo straniero è ancora insoddisfatto. Così, inizia una nuova digressione con un mito su Crono.
Crono, il politico del cosmo
La cultura greca ci tramanda due diverse divinità col nome di Crono. La prima è quella presente nella Teogonia di Esiodo. Il poeta greco racconta che Crono è il dio del tempo, marito di Rhea e padre di tutte le divinità. Però, ogni volta che la moglie ha un figlio, egli lo divora per impedire la successione al trono. Ma Rhea quando nasce Zeus ella avvolge una pietra nelle fasce al posto suo e in questo modo lo salva. Così Zeus, una volta adulto, sconfigge Crono e lo esilia. La seconda divinità con questo nome deriva dalla tradizione orfica. Questo secondo Crono è un’entità ancora più antica della prima, in quanto padre di Urano, che la mitologia greca vuole nonno di Zeus. Ma anche questo Crono è una divinità del tempo.
La storia che racconta lo straniero di Elea ha per protagonista una divinità che si chiama Crono. Tuttavia, essa non corrisponde né alla versione esiodea né a quella orfica a noi note. Infatti, egli racconta che di tanto in tanto avvengono sulla Terra dei cataclismi che estinguono la gran parte dei viventi. Uno di questi risale all’epoca in cui Crono dirige il moto rotatorio del cosmo, un moto opposto a quello attuale. Inoltre, dato che il moto è opposto, gli uomini nascono dalla terra anziani e pian piano tornano giovani. Dunque, è un momento felice per gli uomini, che trovano il cibo con facilità e parlano tra di loro e con gli animali.
Ma tale periodo finisce quando Crono abbandona il comando “come un pilota che lascia il timone”. Dunque, il cosmo muta direzione e gli animali diventano fiere feroci. Così gli dei donano agli uomini, troppo deboli, il necessario per la sopravvivenza.
La cura e la tessitura
Così, dopo questa digressione, lo straniero afferma che l’arte politica è più del semplice comando del gregge. Infatti, essa è arte della cura. Cioè, l’affermazione di un’arte dell’allevamento degli umani non comporta in modo necessario anche la loro cura. Invece, l’arte di governo si distingue dall’allevamento proprio per questo. In effetti, in ciò risiede la differenza tra re e tiranno. Cioè, tirannica è la cura esercitata con l’imposizione. Invece, governo è “assistenza di animali bipedi che accettano con spontaneità”.
Perciò, lo straniero afferma che è meglio un altro paragone e accosta l’arte del governo all’arte della tessitura. L’arte della tessitura, cioè il confezionamento di indumenti, conta delle ripartizioni al suo interno. Ma queste compongono tutte la stessa arte. Così, in egual modo, i consiglieri e tutti gli aiutanti di chi governa hanno per compito varie sezioni dell’arte del governo. Ma non per questo esse non fanno parte della stessa arte, in quanto cercano il raggiungimento dello stesso fine. Tuttavia, a ben vedere, molte persone scelgono la sottomissione volontaria a un governante, e in tal modo perdono la loro libertà.
Tipologie di governo
Dunque, il sofista individua diverse tipologie di governo. Cioè la monarchia, l’oligarchia e la democrazia. Tuttavia, la causa del governo giusto va cercata al di là di questa divisione. Anche se è chiaro che questa ragione non può essere appresa da molte persone ma solo da poche, proprio come non possono esserci molti eccellenti giocatori di scacchi. Dunque, i governanti agiscono come i medici. Cioè agiscono, in base o meno alle leggi, per l’ottenimento della cura dei loro pazienti. Perciò, più delle leggi conta la capacità di chi governa. Infatti, le leggi sono predisposizioni generali che non tengono conto dei casi particolari, i quali di fatto costituiscono il mondo. Tuttavia, i cittadini devono rispettare le leggi, a meno che non sia il governante a dare al singolo indicazioni diverse per fargli raggiungere un più alto livello di virtù. Infatti, è impossibile per chi governa gestire in modo individuale ogni cittadino.
Dunque, il sofista recupera questi ultimi paragoni, quelli del mestiere del timoniere e del medico, per la descrizione dell’uomo politico. Infatti, entrambi possono decidere della sorte delle persone in base alle loro scelte. Ma gli uomini devono eleggerli a guide nei loro campi in modo necessario. Infatti, è impensabile la condizione in cui gli uomini, dopo aver ucciso tutti i medici e i timonieri, eleggono tra loro, non esperti, persone che li sostituiscono. Così come che tutte insieme le persone sostituiscono questi due specialisti. Tuttavia, la condizione ottimale è il governo di chi ha davvero scienza delle leggi, il “re”. Invece, quando al governo c’è l’ignoranza, allora abbiamo le altre tipologie di governo. Cioè tirannia, oligarchia, aristocrazia e democrazia prendono piede quando i sudditi depongono il re perché non corrisponde all’uomo che conosce questa scienza.
Il politico giusto
Dunque, riguardo alle tipologie di governo, queste sono sei in tutto. Cioè, tre sono monarchia, aristocrazia e democrazia che rispettano le leggi. Poi, le tre corrispondenti senza il rispetto delle leggi. Ma se la monarchia senza leggi, la tirannia, è la peggiore, la monarchia col rispetto delle leggi è la migliore. Però bisogna vedere come essa si realizza.
In effetti, l’opinione comune afferma che i politici devono possedere le virtù. Cioè, la temperanza e la forza, quest’ultima intesa come valore. Tuttavia, entrambe queste virtù se portate all’eccesso sono un male. Infatti, con la prima il politico finisce per lasciarsi soggiogare dai nemici e con la seconda finisce per essere troppo aggressivo. Dunque, la condizione ideale è un giusto intreccio tra queste due virtù, che è frutto dell’educazione ma anche di una predisposizione naturale del suo animo. Ma per il raggiungimento di questo risultato deve esserci scambio continuo tra caratteri temperanti e valorosi. In sintesi, questo intreccio, che riguarda in primis il politico, si estende poi a tutta la comunità e la rende così giusta.
Luigi D’Anto’
Bibliografia
Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.
Sitografia
C. Galli, Platone, la necessità della politica, discussione sul canale Youtube dell’Istituto per gli Studi Filosofici di Napoli: https://www.youtube.com/watch?v=RBpheNzcoqo.
Nota: l’immagine di copertina è ripresa da Wikipedia.org.