Lachete: Platone e Foucault

Il Lachete è un dialogo platonico in cui Socrate e altri personaggi riflettono sull’identità del miglior insegnante per i giovani. Infatti, ancor prima della sua identificazione, trova necessaria la riflessione sulla materia che questo insegnante trasmette ai giovani. In questo articolo analizziamo i contenuti di questo dialogo e approfondiamo l’importanza che ha avuto per le riflessioni di un filosofo contemporaneo, Michel Foucault.

Posizione del Lachete nel corpus platonico

Innanzitutto, va notato che il Socrate di questo dialogo non è ancora l’anziano ateniese che conosciamo attraverso Il Fedone o la maggior parte dei restanti dialoghi platonici. Invece, è un uomo che ha circa quarantacinque anni. Anche se questa informazione non è esplicita nel testo, la cogliamo da alcune informazioni che inducono gli studiosi a collocare la vicenda narrata tra il 424 e il 418 a.C. In effetti, questo non è un caso isolato. Infatti, anche nel Parmenide, ad esempio, troviamo un Socrate giovane.

Il filosofo neoplatonico Trasillo, che ordina le opere di Platone in una lista nella quale le divide in gruppi da quattro, colloca Il Lachete nella quinta tetralogia, cioè come diciannovesimo dialogo. In effetti, come è evidente, l’ordine di Trasillo non cerca la delineazione di una continuità cronologica, come a ripercorrere la vita del filosofo ateniese. Invece, in alcuni casi possiamo individuare dei nessi contenutistici tra i dialoghi che appartengono ad una medesima tetralogia. Nella quinta troviamo oltre al Lachete anche Il Carmide, Il Teage e a conclusione di questo gruppo Il Liside.

Proprio come Il Lachete, il racconto del Teage trova inizio con le preoccupazioni di un padre riguardo l’educazione di suo figlio. Invece nel Liside Socrate, ormai anziano, è in compagnia soltanto di giovani. Tuttavia, egli chiede ad uno di loro se i suoi genitori lo amano, e prova di ciò è proprio se lo stanno indirizzando verso una corretta educazione. Infine, nel Carmide Socrate, di ritorno da una battaglia, interroga un giovane insieme ad altri ateniesi per verificare il livello di educazione raggiunto dai fanciulli di Atene in sua assenza. Insomma, un filo rosso tra i dialoghi di questa tetralogia è di certo l’educazione dei più giovani da parte dei meno giovani.

Chi è Lachete?

Lachete
Ricostruzione del volto di Socrate sulla base delle sue statue di marmo. Fonte: Wikimedia Commons.

Molti dialoghi platonici portano il nome di uno dei personaggi con cui Socrate interloquisce e Il Lachete è tra questi. In effetti, oltre al dialogo platonico, abbiamo notizie di Lachete da Tucidide. Infatti, egli scrive che Lachete è un grande generale e uomo d’armi, morto nella battaglia di Mantinea, cioè, pochi anni dopo gli eventi del dialogo.

Ma Lachete non è l’unico militare presente nel dialogo. Infatti, lo affianca nel confronto con Socrate Lisimaco, stratega nella battaglia di Maratona del 490 a.C. Infine, vi sono altri due personaggi. Cioè un certo Melesia, che Tucidide ricorda parte del partito aristocratico ma di cui non sappiamo nulla. Poi, Nicia, fautore della famosa “pace di Nicia” tra Sparta e Atene.

La circostanza descritta nel Lachete

Innanzitutto, Socrate compare nel dialogo solo dopo tutti gli altri personaggi. Infatti, Lisimaco, Nicia, Melesia e Lachete sono in una palestra nella quale osservano alcuni atleti. Così, Lisimaco e Melesia rivelano agli altri due il motivo del loro incontro. Cioè, entrambi hanno due figli adolescenti, Aristide e Tucidide, che sono lì con loro. Perciò, dato che anche Nicia e Lachete hanno dei figli, sperano in una comune preoccupazione. Cioè, l’educazione dei giovani che possiedono quell’età. Infatti, Melesia e Lisimaco affermano di avere vari racconti sulle imprese dei loro padri. Invece, non hanno azioni degne di nota compiute in prima persona.

Così, Nicia e Lachete concordano, e anzi proprio quest’ultimo invita tutti i presenti nel coinvolgimento di Socrate, che ha riconosciuto tra le persone nella palestra. Infatti, Lachete afferma che Socrate ha procurato a suo figlio Damone un buon maestro di musica. Perciò, non dubita che farà lo stesso per altre forme di educazione come quella del corpo. Inoltre, Lachete ricorda l’onore di Socrate nella battaglia di Delio, vissuta da entrambi.

Le posizioni di Nicia e Lachete

Così, Socrate afferma che anche lui è giovane. Perciò, vuole interloquire in modo diretto anche coi giovani oltre che con loro. Nicia è d’accordo, e afferma che l’educazione del corpo è cosa buona in quanto prepara i giovani al combattimento individuale. Invece, Lachete rema contro la definizione di scienza che Nicia dà di questa pratica, proprio perché è più la pratica che insegna, piuttosto che lo studio. Infatti, come esempio riporta quello di un certo Stesileo, famoso per l’insegnamento del combattimento, che durante una battaglia navale combatte con una lancia ricurva. Durante il combattimento, la sua lancia resta impigliata nella nave nemica e la perde, mentre cade in modo rovinoso tra le risa dei suoi compagni.

Ma Socrate interrompe entrambi e afferma che all’inizio della discussione non si era concordato il tema preciso della conversazione. Invece, proprio questo va chiarito per trovare i maestri migliori. Così, Nicia afferma che il tema è in realtà chiaro, in quanto è l’apprendimento del combattimento. Però Socrate afferma che il tema è dato dal fine e non dallo strumento, come la cura degli occhi determina il farmaco migliore. Quindi, dato che Nicia concorda, Socrate prosegue e afferma che il fine è la cura dell’anima per i giovani.

Dunque, Socrate afferma che questa arte o si impara da sé o da qualche maestro, e i maestri o la imparano da altri maestri o da sé. Inoltre, lui non ha avuto maestri, anche se avrebbe voluto. Tuttavia, afferma che il contenuto della loro ricerca è l’insegnamento della virtù ai giovani. Dunque, sembra che il primo problema è la definizione di quest’ultima. Ma dato che una tale ricerca è troppo lunga, Socrate propone l’esame di quella parte della virtù che a loro interessa. Si tratta del coraggio.

Il coraggio

Così, Lachete e Nicia forniscono due differenti definizioni di coraggio. Infatti, per il primo il coraggio appartiene all’uomo che durante la battaglia non fugge. Però Socrate chiede se ha coraggio chi non fugge ma indietreggia. Infatti, i cavalieri spesso indietreggiano nelle loro manovre, e anche i fanti delle altre città. Insomma, Socrate afferma che la domanda verte sul coraggio non solo dei fanti di Atene bensì su quello di tutti.

Perciò, Lachete avanza una seconda definizione. Il coraggio è forza d’animo. Però Socrate afferma che la forza d’animo può essere buona o cattiva a seconda che essa sia accompagnata o meno dall’intelligenza. Quindi, visto che per Lachete il coraggio è una cosa bella, esclude dalla definizione di coraggio la forza d’animo priva di intelligenza. Tuttavia, una persona che spende in modo saggio il denaro in vista di un profitto è una persona coraggiosa? E chi in battaglia combatte coi più deboli nell’attesa astuta dell’arrivo dei rinforzi è coraggiosa?

Perciò, dato che la risposta come è ovvio è no, Lachete non sa più cosa rispondere e cede la parola a Nicia. Così, Nicia propone una nuova definizione di coraggioso. Cioè, coraggioso è chi possiede la scienza del coraggio. In effetti, afferma Nicia, questa definizione gli deriva proprio da affermazioni passate di Socrate. Infatti, Socrate afferma che ciascuno di noi è buono in ciò che è sapiente, mentre è cattivo in ciò che non conosce. Dunque, Socrate chiede a Nicia la definizione della scienza a cui egli fa riferimento.

La scienza del coraggio

Quindi, Nicia risponde che la scienza del coraggio è il discernimento delle cose che si possono osare da quelle che è meglio evitare, in guerra come in qualsiasi circostanza. Ma Lachete non è per nulla d’accordo. Infatti, afferma, i medici non sono coraggiosi solo perché conoscono cosa va evitato e cosa no per la cura del paziente, e lo stesso vale per i contadini e per chiunque. Invece, Nicia ribatte che i medici conoscono solo la differenza tra ciò che è sano e ciò che non lo è.

Così, Lachete perde la pazienza, perché Nicia non rivela chi secondo lui possiede questa scienza, e gli chiede se crede che gli animali sono più coraggiosi degli uomini. Ma Nicia spiega che gli animali, così come i bambini e i pazzi, non conoscono ciò che è pericoloso. Perciò non lo temono, ma questo non significa essere coraggiosi. Infatti, come è stato detto, il coraggioso possiede anche senno. Così, Lachete decide di non rispondergli più, in quanto il suo approccio alla conversazione gli sembra quello dei sofisti. Invece, Socrate prosegue la riflessione insieme a Nicia.

Dunque, i due concordano che le cose da temere sono i mali futuri e quelle da osare i beni futuri. Ma tale scienza riguarda non solo le cose passate e future, bensì anche quelle presenti. Ma questo significa che chi possiede tale scienza conosce i beni e i mali di ogni tempo. Dunque, una tale persona possiede non solo il coraggio, ma di certo ogni tipo di virtù. Perciò, Socrate afferma che non hanno scoperto la definizione di coraggio, dato che finiscono per parlare di un uomo che possiede tutte le virtù e non solo una parte del coraggio!

Conclusione

Lachete
L’Accademia di Platone in un mosaico. Fonte immagine: Wikipedia.org.

Così, Lachete e Nicia si fanno beffa l’uno dell’altro per l’insuccesso della loro ricerca. Tuttavia, giungono alla conclusione che Socrate è il maestro ideale per i loro figli. Così, Socrate ammette che è terribile rifiutare il compito di migliorare qualcuno, quando sai che puoi migliorarlo. Ma dato che la loro ricerca sul buon maestro è stata infruttuosa, nessuno può dire se Socrate è in grado di svolgere questo compito. Quindi, sentenzia Socrate, “prendiamoci cura insieme di noi stessi e dei ragazzi”.

 

Foucault, Lachete e la cura di sé

Abbiamo trattato del Lachete. Ma non possiamo non citare uno dei filosofi contemporanei che più ha avuto stimoli da questo dialogo: Michel Foucault. Egli tratta di un concetto dal sapore socratico che riattualizza nella sua filosofia, la cura di sé. Infatti, come egli espone, il concetto di “cura” è alla base della figura di Socrate descritta da Platone.

In effetti, lo troviamo nell’Eutifrone, il cui argomento è la cura che gli uomini hanno nei confronti degli dei. Poi, nel Carmide, dove con accento ironico Socrate afferma di avere un’erba magica e degli incantesimi per guarire un giovane, e la magia consiste nella riflessione su di sé. Infine, anche la frase che Socrate esclama in punto di morte nel Critone, “dobbiamo un gallo ad Asclepio”, va intesa così secondo Foucault. Infatti, Asclepio è il dio-medico. Dunque, Socrate lo ringrazia per aver liberato lui e i suoi discepoli dal male della vita grazie alla filosofia.

Ma tra tutti i dialoghi, Foucault pone un accento particolare sull’Alcibiade e sul Lachete. In effetti, ciò non stupisce, dato che il dialogo si conclude proprio con l’intenzione degli “adulti”, prima intenzionati ad educare i giovani, a prendersi cura di sé. Ma ciò avviene solo se Socrate è presente. Cioè, solo con l’aiuto della filosofia.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.

M. Foucault, Il coraggio della verità, Il governo di sé e degli altri, Feltrinelli 2016.

Sitografia

Nota: l’immagine di copertina è da Wikimedia Commons.