“Naruto“, celebre manga di Masashi Kishimoto, è da poco giunto (almeno in Giappone) alla sua conclusione, rendendo finalmente possibile compierne un’analisi accurata che ne evidenzi pregi e difetti. Per facilitare il compito l’opera verrà a tal fine suddivisa in tre macrosezioni, indicate rispettivamente come “Ascesa“, “Apice” e “Crollo” dalle proprie caratteristiche essenziali.
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Naruto: la prima parte
La prima parte di “Naruto” corrisponde grossomodo ai volumi relativi all’infanzia dei protagonisti e si conclude con il primo scontro tra Sasuke e Naruto alla Valle della Fine. Essa è descritta con il termine “Ascesa” fondamentalmente per due ragioni, una esterna al manga ed una interna ad esso. La prima si riferisce all’incremento costante della fama dell’opera e alla sua diffusione su scala mondiale. La seconda invece alla progressiva crescita qualitativa di “Naruto”, sia da un punto di vista grafico che contenutistico.
La storia inizia seguendo il giovane Naruto nel suo tentativo di guadagnarsi l’attenzione ed il rispetto degli abitanti di Konoha, il suo villaggio natale, che invece lo disprezzano a causa del Kyuubi, una pericolosa creatura sigillata nel suo corpo. I tentativi del ragazzo si rivelano inzialmente fallimentari e la sua volontà è più volte messa a dura prova dall’impatto con il vero mondo dei ninja, pericoloso e spietato. Fin dal primo arco narrativo infatti Naruto ed i suoi compagni di team, Sasuke e Sakura, rischieranno di perdere la vita affrontando il temibile Zabuza ed il suo letale seguace Haku, legati tra loro da un complesso rapporto al confine tra devozione, amicizia ed indifferenza.
E già dai primi antagonisti emerge la grande capacità introspettiva dell’autore e la sua volontà di dar vita a personaggi che non siano completamente neri o bianchi, ma ricchi di sfaccettature e dotati di motivazioni estremamente concrete.
Dall’analisi della seconda saga, il cosiddetto Esame Chunin, emerge un’altra caratteristica fondamentale di questa prima parte di “Naruto”: l’abilità di Kishimoto nel conferire centralità e dignità a quasi tutti i personaggi secondari evitando la tendenza, fin troppo diffusa, a concentrarsi unicamente sul gruppo dei protagonisti. Ogni personaggio appare quindi dotato di un’identità ben determinata, sottolineata dagli atteggiamenti e dalle espressioni oltre che dalle parole.
Ma il vero punto forte dell’“Ascesa” è la capacità di rendere alla perfezione i mutamenti psicologici dei personaggi sui quali ogni singolo avvenimento sembra produrre effetti concreti. L’esempio più eclatante in tal senso è fornito dal coprotagonista Sasuke, un ragazzo divorato dall’odio che, dopo aver ritrovato una parvenza di stabilità e di timida felicità grazie ai propri compagni, sprofonda nuovamente nell’abisso in seguito ad un nuovo incontro con suo fratello Itachi, sterminatore dell’intero clan Uchiha. Un incontro che lo segna al punto da convincerlo ad abbandonare i propri amici e la sua nuova vita vendendo (metaforicamente) la propria anima ad Orochimaru, nemico di Konoha, pur di ottenere il potere necessario a portare a compimento la propria vendetta.
In sintesi la prima parte di “Naruto” si configura come un ottimo inizio, caratterizzato da personaggi a tutto tondo, ritmo serrato, combattimenti in cui la tattica conta molto di più della mera forza bruta e tematiche sempre attuali, a partire dalle riflessioni sul destino a quelle sul profondo legame tra maestri ed allievi e tra padri e figli.
“Naruto” sembra dunque avere tutte le carte in regola per entrare nell’Olimpo degli shonen e divenire il “nuovo Shaman King”. Ma quali e quante di queste caratteristiche positive hanno effettivamente resistito alla prova del tempo?
Naruto: la seconda parte
L'”Apice” prende il via con la discesa in campo della Akatsuki, potente organizzazione criminale già nominata più volte nella prima parte del manga, dettaglio che sottolinea la premura di Kishimoto nel non far comparire nuovi nemici dal nulla, collocandoli invece all’interno della storia ben prima del loro effettivo momento di gloria.
La qualità sale soprattutto a partire dalla saga relativa ad Hidan e Kakuzu, capace di consegnare al lettore uno stupendo affresco sull’amore filiale, incarnato dalle figure di Shikamaru ed Asuma. La morte di quest’ultimo spingerà infatti il giovane ad una notevole crescita interiore, che trova il suo culmine in una brutale vendetta e nell’assunzione di un ruolo di guida nei confronti del figlio non ancora nato del suo mentore. Ben gestita anche l’apparente dipartita di Orochimaru per mano di Sasuke, così come il tattico scontro tra quest’ultimo e Deidara e la morte di Jiraiya per mano di Pain. Le emozioni suscitate da quest’ultimo avvenimento, che oscillano tra il rimpianto per un eroismo mancato e gli ultimi tentativi di redenzione, rendono estremamente realistica la figura del grande ninja leggendario, uomo come gli altri, triste e solo come tutti, che soltanto nell’ultimo istante di vita trova il riscatto per la sua intera esistenza. Dopotutto, come egli stesso afferma, una vita è come un libro; non può essere giudicata prima di averne letto l’ultima pagina.
Il crescendo delle aspettative dei fan di “Naruto” raggiunge il climax nell’attesissimo scontro tra Sasuke, aspirante vendicatore che ha sacrificato tutto in vista di questo momento, ed Itachi, dipinto come un mostro che ha lasciato in vita il proprio fratello in seguito ad un vero e proprio genocidio unicamente per poterne rubare gli occhi. Al di là dello scontro spettacolare ed estremamente tattico, che si conclude con la dipartita di Itachi, a sconvolgere il lettore è la scoperta, fatta in contemporanea con Sasuke, della verità sul suo ormai defunto fratello e sulle sue motivazioni, tutt’altro che egoistiche: egli aveva sterminato il clan Uchiha per prevenire un loro colpo di stato ed una conseguente guerra civile, non riuscendo però ad uccidere il fratello a causa del loro profondo legame. Egli aveva quindi imposto a Sasuke l’obiettivo di eliminarlo soltanto per renderlo un eroe accettato da tutti in modo da morire da cattivo per il suo bene, proteggendolo al tempo stesso dalla verità. Ed è proprio con questa rivelazione che “Naruto” raggiunge il suo punto più alto.
Le saghe successive seguono un andamento altalenante, passando da piccoli capolavori come l’assalto di Pain a Konoha, del quale soltanto il finale risulta criticabile, ad archi narrativi più modesti come il meeting dei Kage. Gli scontri sembrano in parte perdere la loro componente tattica, come avviene ad esempio nel combattimento tra Sasuke e Killer Bee, ma a tratti paiono ritrovarla, come nella lotta tra lo stesso coprotagonista e Danzo, mandante principale dello sterminio degli Uchiha. Queste saghe però, nonostante la loro difformità, possono essere comunque inserite a pieno titolo nell’”Apice” dato che il calo qualitativo, sebbene presente, non è affatto sufficiente a parlare di un crollo del manga, come invece accadrà con l’ultimo arco narrativo.
L’”Apice” , nonostante la sua bellezza, non è quindi esente da difetti, il principale dei quali è la messa in secondo piano di molti ninja apparsi nella prima parte della storia ed ormai relegati al rango di comparse. Ciononostante il giudizio sull’”Apice” resta positivo, dato che le sue qualità superano nettamente i difetti.
Naruto: la terza parte
La terza parte di “Naruto” è magistralmente sintetizzabile nella parola adoperata per definirla: “Crollo”. Nel passaggio dal Meeting dei Kage alla Quarta Grande Guerra Ninja, che occupa l’intera sezione, non vi è un lieve declino fisiologico, comune a tante opere, ma un peggioramento qualitativo tale da mettere in dubbio l’intero giudizio positivo finora espresso sul manga.
In primis vi è un ulteriore peggioramento nell’utilizzo dei personaggi secondari, di cui la morte di Neji Hyuga, molto importante nella prima sezione, totalmente assente nella seconda e ricomparso unicamente per perire in modo discutibile, costituisce un caso emblematico.
Altro grave difetto è rappresentato dal continuo cambio dell’antagonista finale, con il passaggio da Tobi a Madara e da questi a Kaguya. L’idea di per sé non è malvagia, anzi piacevolmente innovativa; il problema è rappresentato dal calo nelle qualità intrinseche e dal contemporaneo mostruoso aumento in termini di potenza che si ha nel passaggio da un avversario all’altro.
Se con Tobi, anche grazie alla rivelazione del suo passato e della sua reale identità, si riesce infatti ad ottenere un personaggio complesso, chiaroscurale, sospeso tra follia e razionalità, stracolmo di umanità e rimpianti, lo stesso non avviene con Madara.
Quest’ultimo infatti, benché discretamente analizzato e dotato di un buon carisma, non vanta le qualità di Tobi, riuscendo però a guadagnarsi almeno la sufficienza essendo inserito nel tessuto narrativo da lungo tempo ed avendo un background soddisfacente.
Il tracollo si ha con Kaguya, personaggio mai nominato prima, che compare dal nulla (unico caso nell’opera di Kishimoto) usurpando il posto di Madara e mostrandosi dotato di poteri completamente fuori scala e privi di senso, fastidiosi quasi quanto la sua caratterizzazione praticamente nulla. Una ripresa si ha soltanto con la sua morte e l’assunzione del titolo di antagonista finale da parte di Sasuke, sebbene troppo tardi e per pochissimi capitoli.
Altro elemento di disturbo è rappresentato dai continui power up, nel migliore dei casi eccessivamente velocizzati (controllo totale del Kyuubi da parte di Naruto), nel peggiore, totalmente campati in aria (i poteri conferiti da Hagoromo, defunto da secoli, a Naruto e Sasuke, l’Eternal Mangekyou Sharingan donato a Kakashi da un Obito ormai morto). Tali aumenti di potenza inoltre danno il colpo di grazia alla componente tattica degli scontri.
Al “Crollo” del manga contribuiscono anche altri elementi, quali la sparizione di varie tematiche importanti, la banalizzazione dei personaggi e della loro evoluzione psicologica (riscontrabile nella conversione di Obito al bene, avvenuta grazie a poche frasi che capovolgono convinzioni radicate nel personaggio da una vita) e l’eccessiva centralizzazione del protagonista, il cui intervento diviene indispensabile per la salvezza del mondo.
In concluzione la terza parte, escludendo poche sequenze quali i flashback di Obito e Madara e lo scontro finale tra Naruto e Sasuke con il suo bagaglio tematico, è molto al di sotto della sufficienza e snatura completamente l’ottimo manga delle prime due parti, tramutandolo in una mera fonte di guadagno priva delle qualità che l’avevano reso grande.
Un giudizio complessivo
Alla luce di quanto emerso dall’analisi di “Naruto” è possibile affermare che l’opera di Kishimoto, in virtù delle sue prime parti (che costituiscono più dei 2/3 del totale), resta comuqnue un buon manga sebbene debba rinunciare a qualsiasi pretesa all’eccellenza, accontentandosi di una posizione modesta nel mondo degli shonen a causa della sua pessima fase conclusiva.
Paradossalmente la caduta nella mediocrità di quello che avrebbe potuto essere un capolavoro è riassumibile proprio con la stessa frase con cui, all’interno di “Naruto”, Jiraiya sancisce, attraverso l’ultimo atto prima della morte, la riabilitazione della propria intera esistenza:
“Una storia non si può giudicare prima di averne letta l’ultima pagina”.
Alessandro Ruffo