In questo articolo scopriremo cosa hanno in comune l’Epifania e la tradizione popolare della figura della Befana e della strenna natalizia, attraverso un viaggio indietro nel tempo fino alle tradizioni dei Romani e dei Celti. Vedremo anche cos’è la strina.
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Epifania e Befana
Il 6 gennaio la Chiesa celebra la Epifania. La parola viene dal greco epifàinomai cioè “manifestarsi” e ricorda la manifestazione di Gesù ai tre Magi che si recano a far visita al piccolo portando in dono oro, incenso e mirra. Dal greco Epifania è derivato, con corruzione popolare del termine e passaggio da Pifania a Bifania, Befana a indicare la vecchia signora che vola a cavallo di una scopa e porta doni, dolciumi e pezzetti di carbone (zucchero) ai bambini.
La tradizione popolare, dunque, riprende il simbolo del dono proprio di quella religiosa. In realtà, però, già gli antichi Romani si scambiavano doni dal 17 al 23 dicembre, periodo in cui celebravano i Saturnalia, la festa in onore di Saturno e li chiamavano strenne, da cui il termine ancora oggi in uso di strenna natalizia.
La dea Strenia
La parola strenna verrebbe dalla lingua sabina, ma è da mettere in relazione anche con il latino austrinus “del freddo rigido” o con il greco strenòs “forza”, e significava “salute” (Elpidiano), da cui anche l’aggettivo italiano “strenuo”. La tradizione dello scambio di strenne discenderebbe da Tazio (o forse da Romolo), re sabino, che per primo avrebbe colto dei ramoscelli nel bosco sacro a Strenia o Strenua per farne dono come buon augurio per il nuovo anno (Varrone). Questo bosco si trovava tra Celio ed Esquilino, secondo Varrone, ai piedi del Celio, secondo Ovidio.
I Romani usavano regalare statuette bianche di Strenia in occasione delle nascite, nere per una morte. Durante i Saturnalia, si donavano ai bambini biscotti di marzapane che raffiguravano la dea Strenia con tre seni. Questi dolcetti ci ricordano certamente i dolciumi che la Befana porta in dono ai bambini.
Deverra e i ramoscelli sacri
Sul Mons Viminalis c’era anche il bosco di salix viminalis, sacro a Deverra, con i cui ramoscelli si costruivano scope per spazzare le abitazioni, le soglie soprattutto, al fine di tenere lontani gli spiriti maligni.
Le scope erano anche poste alla ianua (porta) di casa come protezione da questi spiriti, alla fine del vecchio e inizio del nuovo anno (confrontiamo l’etimologia di ianua con Ianuarius, gennaio). Certamente a noi tutti queste scope richiamano alla mente i piccoli oggetti a forma di scopa, di diverso materiale, che usiamo scambiarci come portafortuna in questo periodo di inizio d’anno.
Diana, Perchta: tradizione greca e celtica
I Romani credevano che nei dodici giorni dopo il Solstizio di inverno (circa 23 dicembre – 5 gennaio), Diana (l’Artemide greca) o anche Abundia o Satia (c’è una sovrapposizione di più figure nella tradizione) volasse al di sopra dei campi per rendere fertili i futuri raccolti. Anche nella tradizione celtica, però, esisteva la figura di Perchta anche detta Berchta o Berta, divinità protettrice degli animali e dei campi, dall’aspetto di una vecchia, che si credeva si mostrasse negli stessi giorni a cavallo tra la fine e l’inizio dell’anno. Una divinità certamente assimilabile alla dea della Luna cioè a Diana.
La Befana, Strenia e Perchta
Possiamo, dunque, facilmente ravvisare nella figura della Befana caratteristiche che sono appartenute a Diana/Luna, che sorvola sui campi, a Perchta, con il suo aspetto di vecchina, a Strenia per i doni ai bambini e a Deverra per la scopa di cui si serve per volare. La Befana è sostanzialmente l’erede di una tradizione molto antica e composita. Consideriamo anche che la parola “strega” potrebbe essere fatta risalire a Strenia e che la Befana ha tutte le caratteristiche di una strega, sebbene buona.
La strina
Per finire questo viaggio nelle tradizioni dell’inizio dell’anno che affondano le radici in un passato lontano, vorrei parlarvi della strina. Nel Centro e nel Sud d’Italia, specialmente in Calabria, in Sicilia, come anche in Grecia, soprattutto l’ultima notte dell’anno, c’è la tradizione di girare il paese fermandosi davanti alle porte delle abitazioni per fare la strina ossia per intonare canti augurali in cambio dei quali si ricevono doni che consistono, soprattutto, in dolciumi.
Simona Sagnotti