L’Alcibiade primo è uno dei tanti dialoghi di Platone in cui leggiamo le riflessioni di Socrate. Però qui, come il titolo dell’opera suggerisce, l’anziano filosofo conversa a quattr’occhi con Alcibiade, altro personaggio reso famoso dai dialoghi platonici. In questo articolo illustriamo questo testo.
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Posizione dell’Alcibiade primo nel corpus platonico
Innanzitutto, secondo l’ordine dei dialoghi platonici che stabilisce il filosofo Trasillo secoli dopo Platone, L’Alcibiade Maggiore costituisce il tredicesimo dialogo platonico. Inoltre, dato che Trasillo divide i vari dialoghi in gruppi da quattro, questo è anche il primo dialogo della quarta tetralogia. Ma, ricordiamo, l’ordine di Trasillo non segue la cronologia della composizione dei vari dialoghi. Infatti, gli studiosi oggi ritengono che questo è uno dei primi dialoghi mai scritti da Platone.
In effetti, in passato alcuni ritenevano l‘Alcibiade primo un dialogo spurio, in quanto tocca temi trattati da filosofi posteriori al periodo di Platone. Inoltre, anche la caratterizzazione dei due protagonisti è alquanto particolare. Infatti, in “questo” Alcibiade domina l’arrendevolezza, caratteristica ben lontana dall’Alcibiade di altri dialoghi quali Il Simposio. Invece Socrate, che sempre nel Simposio appare distaccato, qui dichiara tutto il suo trasporto amoroso per Alcibiade.
Però, oggi si tende a credere che il fenomeno sia alla rovescia. Cioè, in quanto ai contenuti, questo dialogo funge da spunto per le riflessioni dei filosofi successivi. Difatti, i neoplatonici lo considerano fondamentale per la loro filosofia. Invece, riguardo alla caratterizzazione dei personaggi, va detto che il corpus platonico presenta molte incongruenze, anche tra dialoghi la cui paternità platonica è indubbia. Insomma, oggi gli studiosi considerano l’Alcibiade primo un dialogo platonico a tutti gli effetti.
Alcibiade primo e Alcibiade secondo
Ma perché l’Alcibiade primo ha questo nome? Innanzitutto, come molti altri dialoghi platonici, esso prende il nome da uno dei personaggi con cui Socrate dialoga. Tuttavia, vi è anche un altro dialogo in cui questi due ateniesi conversano. Cioè, l’Alcibiade secondo. Infatti, è sempre lo stesso Alcibiade in ambo i dialoghi, proprio come Ippia nei due dialoghi in cui Socrate dibatte con quest’altro personaggio. Così, come abbiamo L’Ippia maggiore e L’Ippia minore, allo stesso modo anche questi due dialoghi sono noti come Alcibiade Maggiore e Alcibiade minore.
Di fatto, L’Alcibiade minore, o Alcibiade secondo, è nell’ordine di Trasillo il dialogo subito successivo all’Alcibiade primo o maggiore. Ma ciò non sembra casuale. Innanzitutto, l’Alcibiade minore è più breve. Inoltre, la tematica che tratta la troviamo già nell’Alcibiade maggiore. Infine, anche i personaggi e la loro conversazione ricalcano il modello del dialogo che lo precede. In effetti, gli studiosi ritengono che l’Alcibiade minore è un dialogo spurio proprio per tutti questi motivi. Cioè, esso è troppo simile all’Alcibiade primo, che ne risulta così il modello.
La circostanza descritta nell’Alcibiade primo
Innanzitutto, a differenza di altri dialoghi platonici, qui manca una descrizione delle circostanze che determinano l’incontro tra gli interlocutori. Infatti, Socrate inizia da subito il suo discorso con Alcibiade. Comunque, un’introduzione sembra in questo caso inutile, in quanto abbiamo due personaggi storici ben noti agli Ateniesi. Inoltre, è Socrate stesso che fornisce alcune informazioni per la comprensione delle circostanze nell’incipit del suo discorso.
Infatti, egli dichiara che tutti gli amici di Alcibiade hanno abbandonato quest’ultimo. Inoltre, forse Alcibiade è stupito dal fatto che proprio Socrate, che non gli ha rivolto la parola per anni, è lui ora a parlargli, come ipotizza l’anziano filosofo. Così, egli vuole spiegargli le ragioni di ciò. Innanzitutto, Alcibiade dichiara ora di non aver bisogno di alcuno, in quanto con le sue ricchezze può vivere fino alla fine dei suoi giorni. Inoltre, egli è bello e vigoroso, e ha diversi parenti ricchi pronti ad aiutarlo. Ma proprio queste ragioni sono la causa del suo male, in quanto tutto ciò lo ha insuperbito.
Tuttavia, dice Socrate, Alcibiade aspira a qualcosa di più. Cioè, dimostrare ad Atene il suo valore. Ma ciò non è possibile senza l’ausilio di Socrate, che solo ora decide di donargli. Infatti, finora il dio che guida Socrate non gli ha permesso di farlo, mentre ora sì. Così, Alcibiade dichiara la sua disponibilità verso l’aiuto di Socrate, che inizia con lui il dialogo.
Cosa è meglio per la città
Dunque, Socrate evidenzia che a breve Alcibiade parlerà in tribuna agli Ateniesi. Perciò, il giovane comunicherà loro qualcosa in cui si sente superiore. Quindi, gli chiede se questo qualcosa lo ha imparato da sé o tramite qualcun altro. Anche se, è ovvio, si tratta di cose imparate da altri. Infatti, come si può voler conoscere da soli qualcosa, se non si sa di non averne conoscenza? Comunque, dice Socrate, che per quanto egli ricorda, Alcibiade ha imparato a leggere, scrivere, lottare e suonare la cetra. Dunque, nient’altro.
Perciò, perchè gli Ateniesi devono ascoltare Alcibiade nel momento in cui riflettono su cosa è meglio per la città? Così, Alcibiade spiega che ciò riguarda la pace e la guerra, e altre questioni pubbliche. Però, replica Socrate, la definizione di “guerra” è “la scelta appropriata dell’entità con la quale iniziare un conflitto”. Dunque, chi può dare migliori consigli a tal riguardo è un esperto come un pugile e un maestro di ginnastica. Così come chi dà migliori consigli sul suonare è il maestro di cetra. Dunque, se il meglio riguardo alla musica è ciò che chiamiamo “musicale”, come chiamiamo il meglio nell’arte della guerra? Ma a questa domanda Alcibiade non trova risposta.
Dunque, Socrate afferma che è una vergogna che Alcibiade non sa dare il nome proprio a ciò che ritiene di conoscere. Perciò, Socrate prosegue tale ragionamento e gli chiede se la guerra da consigliare va fatta contro chi è giusto o contro chi è ingiusto. Così, Alcibiade ammette che bisogna consigliarla contro chi è ingiusto, perché il contrario non è bello e va contro la legge. Dunque, risulta che il meglio in tale ambito riguarda la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
La giustizia
Così, l’argomento verte ora intorno alla giustizia e Socrate chiede ad Alcibiade chi è stato il suo maestro riguardo questo tema. Ma Alcibiade pone la possibilità che ha imparato tutto da solo. Dunque, Socrate rimarca che chi impara da solo qualcosa ha autocoscienza della sua ignoranza su quell’argomento e ciò lo spinge verso la conoscenza. Perciò, chiede ad Alcibiade quando si è reso conto di non avere conoscenza della giustizia.
Così, Alcibiade riflette sulla sua infanzia, ed esclama che già da bambino, quando affermava che altri bambini gli facevano ingiustizia, poteva dirlo in quanto conosceva la differenza tra giusto e ingiusto. Dunque, riafferma Socrate, Alcibiade non sa quando ha imparato tale differenza, se da bambino già la conosceva.
Perciò, Alcibiade riconsidera la possibilità che ha imparato tali cose da qualcun altro. Cioè, dalla maggior parte della gente. Ma Socrate afferma che questa non è una fonte autorevole, dato che “la maggior parte della gente” non sa insegnare nemmeno cose meno importanti come le regole di alcuni giochi da tavolo. Però, afferma Alcibiade, egli ha imparato il greco dalle conversazioni con la gente. Tuttavia, afferma Socrate, questo è normale. Infatti, la lingua parlata non è altro che frutto dell’accordo tra la maggior parte della gente. Quindi, è normale che questa è anche appresa dalla maggior parte. Invece, le persone litigano fin dai poemi omerici sulla differenza tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Difatti, Omero racconta proprio come per il disaccordo su queste tematiche sono sorte guerre terribili. Perciò, è chiaro che la maggior parte della gente non conosce per davvero la giustizia.
Parentesi di Socrate sul metodo dialogico
Ma a questo punto del dialogo Socrate pone l’attenzione sul metodo con cui avviene una conversazione. Cioè, afferma, c’è una persona che interroga e una che risponde. Dunque, la persona che risponde è colui che conosce l’argomento di cui si parla. Infatti, se Socrate chiede al giovane se è maggiore l’uno o il due, e Alcibiade risponde il due, è chiaro che è lui colui che sa. Dunque, se il giovane non risponde alle domande sulla giustizia, è chiaro non che Socrate è colui che sa intorno questo argomento ma che Alcibiade non lo sa.
L’utile
Ma a questo punto, Alcibiade afferma che di rado gli Ateniesi discutono su ciò che è giusto e ingiusto. Invece, a loro interessa ciò che è utile. Inoltre, anticipa Socrate sulla domanda sul come e quando ha imparato a distinguere l’utile dall’inutile e afferma che non vuole affrontare questo argomento. Perciò Socrate gli chiede solo la differenza tra giusto e utile, ammesso che esista. Invece, il giovane rovescia le regole della discussione e afferma che è Socrate a dover parlare.
Così, Socrate afferma che un’azione volta al bene è bella, mentre una malvagia è brutta. Dato che buono e bello coincidono, e che le azioni giuste sono belle, e che utile e giusto coincidono, allora anche utile e buono coincidono. Ma non sempre abbiamo una visione chiara su queste cose, e per avere tale visione, bisogna seguire l’ammonimento dell’oracolo di Delfi: “conosci te stesso“. Perciò, Socrate afferma che il suo tutore, il dio, è migliore di quello di Alcibiade, Pericle.
Dunque, il giovane chiede a quali studi deve dedicarsi, e Socrate gli risponde che devono essere gli stessi degli uomini migliori, cioè i saggi, e quelli che sono uomini di valore, cioè in grado di comandare la città. Quindi, la scienza del consigliare bene mira proprio a questo, a governare bene la città. Ma ciò comporta il prendersi cura di sé.
La cura di sé
Dunque, come ci si prende cura dei piedi in due modi, con l’arte del calzolaio che fabbrica le scarpe e con la ginnastica che cura il piede stesso, così ci si prende cura tanto del corpo quanto dell’anima. Cioè, quando ti prendi cura di ciò che ti riguarda, dice Socrate, non ti prendi cura di te stesso. Perciò bisogna conoscersi, perché solo così ci si prende cura di sé. Dunque, l’attenzione va riservata non ai corpi ma alle anime.
Ma conoscersi vuol dire essere temperanti, e prima di aver raggiunto la virtù bisogna farsi comandare da chi è migliore. Tuttavia, questo condizione non è da servi, perché stato servile è la cattiveria. Invece, la conoscenza di sé è una condizione di libertà. Così, il dialogo si conclude con Alcibiade che afferma di voler ora dedicarsi ad apprendere tutto ciò, e Socrate che, preoccupato, afferma che Atene forse non darà loro il tempo necessario per riuscirci.
In effetti, come è evidente, vi è qui un rimando alla sorte reale di entrambi. Cioè, la condanna a morte di Socrate e lo scandalo delle erme che coinvolge Alcibiade e che gli fa correre lo stesso pericolo. Comunque, è da segnalare come questo dialogo, così lucido e al tempo stesso ricco di patos nei confronti dei due personaggi, è un importante momento filosofico per la riflessione sulla cura di sé, come evidenzia nei suoi studi Foucault. Infatti, insieme ad altri dialoghi come Il Fedone in primis e poi Il Lachete, questo è uno dei testi platonici più importanti per la riflessione del filosofo francese sul concetto di cura di sé.
Luigi D’Anto’
Bibliografia
Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.
M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II, Feltrinelli 2016.
Sitografia
Lettura dell’Alcibiade primo sul canale youtube di Valter Zanardi: https://www.youtube.com/watch?v=FacpklbB2po
Nota: l’immagine di copertina è da GetArchive.net.