Leviatano: Hobbes e lo Stato moderno

Il Leviatano è un testo ritenuto tra i più importanti nel settore della filosofia politica. Infatti, esso viene spesso individuato come linea di demarcazione tra la concezione antica dello Stato e quella moderna. In questo articolo ne analizziamo i contenuti e contestualizziamo l’opera.

Introduzione al Leviatano

Innanzitutto, il filosofo britannico Thomas Hobbes pubblica il suo libro nel 1651. Cioè, quando la Gran Bretagna ancora mostra i segni della guerra civile iniziata nel 1642 e durata a fasi alterne per quasi dieci anni. Tale guerra, che vede la caduta della famiglia regale degli Stuart e la scalata al potere del militare e politico Oliver Cromwell, contrappone su due schieramenti opposti diverse famiglie dell’aristocrazia inglese con le rispettive milizie. Insomma, è un momento della storia inglese che non può non produrre una riflessione sul potere politico, in particolare i motivi per i quali uno Stato deve esistere.

Leviatano
Ritratto di Thomas Hobbes. Fonte immagine: Picryl.com.

Inoltre, siamo in un periodo storico in cui in Europa la visione medievale del mondo tende a esaurirsi, sostituita da un approccio di tipo scientifico. Questo cambiamento coinvolge anche la filosofia e la politica, non a caso è in questo periodo che rintracciamo un ideale politico etichettato di solito come “contrattualismo“. Cioè, l’idea che il potere di chi governa deriva non dalla volontà di un Dio, e nemmeno dal risultato di una conquista violenta o da una prova di forza, bensì da un contratto stipulato tra governati e governanti. Nel caso di Hobbes, che rientra in questo gruppo di pensatori, egli ritiene che lo Stato deriva dalla necessità di reprimere la malvagità umana, e Il Leviatano è l’esposizione di tale idea, che trova così nuovo senso all’esistenza dello Stato.

Prima parte del Leviatano: L’uomo

Innanzitutto, Hobbes fornisce indicazioni sulla natura umana, in quanto afferma che solo avendo chiaro ciò si comprende il resto. Egli illustra la posizione secondo cui ciò che deriva dai sensi, e di conseguenza anche l’immaginazione, non è frutto di identità esterne all’uomo. Invece, sono i corpi stessi che possiedono dei meccanismi che li producono, proprio come i sogni. Tale premessa è importante per la comprensione delle religioni del passato: esse, ponendo l’esistenza di creature collocate tra veglia e sogno, quali ninfe, fauni, streghe, fate e fantasmi, soggiogavano l’uomo con tali storie.

In realtà, la capacità di immaginare, ricordare e ragionare, deriva dalla natura, la quale conferisce a ogni specie degli strumenti per la lotta alla sopravvivenza, e all’uomo, anziché un’arma fisica, fornisce in primo luogo il linguaggio. Si tratta della facoltà di dare nomi a qualsiasi cosa, sia particolari (come i nomi propri) sia universali (come l’idea di estensione). Dunque, l’atto del ragionare non è altro che una somma o sottrazione di tante particelle, le parole. Così, grazie a questa facoltà, l’uomo comprende qualsiasi causa ed effetto delle sue azioni, se applica al meglio la ragione. Perciò, Hobbes critica tanto i religiosi tanto quei filosofi che usano parole scollegate dalla realtà, che impediscono di compiere ragionamenti corretti. Invece, il vero filosofo è colui che ragiona nel modo proprio della scienza.

A ciò, per una comprensione maggiore della specie umana, va aggiunto il desiderio e l’odio. Cioè, ciò che gli uomini vogliono per sé e che chiamano “bene” e ciò che allontanano da sé che chiamano “male“. La religione, timore di una potenza costruita dalla mente umana, reca l’idea dell’esistenza di spiriti che si impossessano dell’anima, generando un’errata comprensione delle dinamiche naturali.

La guerra di tutti contro tutti

Dunque, senza Stato l’uomo teme in modo costante la morte perché vige la guerra di tutti contro tutti. Infatti, cause di conflitto sono la competizione (l’ottenimento del profitto), la diffidenza (la sicurezza) e la gloria (la reputazione). In effetti, in tale condizione la guerra di ciascuno contro l’altro non è definibile come ingiusta in quanto la giustizia e l’ingiustizia non esistono. Invece, forza e frode sono delle virtù. Ma tale condizione rende la vita dell’uomo “solitaria, misera, ripugnante, brutale e breve”. Quindi, sia per il timore della morte, sia per il desiderio di una vita comoda, l’uomo fonda lo Stato. Se la condizione naturale è quella in cui ognuno ha diritto di fare qualsiasi cosa, lo Stato non contempla questo scenario. Ma, dato che tale diritto lo si riceve dalla natura, l’uomo deve rinunciarvi tramite contratto.

Difatti, ogni contratto è “reciproca traslazione o scambio di diritto”, cioè esso prevede che ambo le parti offrano qualcosa. Perciò, per renderlo saldo, o si predispone una pena per chi non lo rispetta, o un premio per chi lo rispetta. Dunque, si definisce “giustizia” mantenere i patti e “ingiustizia” romperli. Ma quali sono i suoi principi? In effetti, essi sono le leggi di natura volte all’autoconservazione dell’individuo, sintetizzabili, come Hobbes stesso afferma, nell’espressione “non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te”.

Ma, siccome il contratto è sempre tra due viventi, non è possibile stipulare un patto con un essere inanimato. Invece, è possibile la presenza di un rappresentante di una delle due parti in causa, un mediatore tra i due contraenti. Ecco perché la sacra Alleanza tra Dio ed ebrei è un contratto: gli ebrei lo stipulano con i sacerdoti, rappresentanti di Dio. Difatti, una moltitudine come l’intero popolo ebraico equivale a una delle due parti.

Seconda parte: Lo Stato

«Dunque, considero come inclinazione comune a tutto il genere umano un perenne ed insaziabile desiderio di sempre maggiore potere che si estingue soltanto con la morte [e] il più debole ha sempre la capacità di eliminare il più forte.»

Anche se, nota Hobbes, vi sono creature oltre l’uomo che sembrano vivere in società, cioè contro l’idea che solo l’uomo evade dalla condizione naturale, è bene fare delle precisazioni. Innanzitutto, formiche, api e altri vivono in aggregati perché non vi è differenza per questi esseri tra la sfera individuale e la sfera collettiva, come è per l’uomo. Inoltre, gli uomini lottano per l’onore e la dignità, concetti sconosciuti al di fuori dell’umano. Ancora, le bestie non hanno un linguaggio come quello umano che può scambiare il bene per il male e viceversa.

Quindi, in cosa consiste quel patto che garantisce agli uomini lo Stato? Nell’investire di tutto il proprio potere e forza un uomo (o un’assemblea) che può ridurre tutte le varie opinioni a una sola voce. L’identità investita di tali poteri può sfociare in più forme come una monarchia, o in una aristocrazia, o in una democrazia (tirannia, oligarchia e anarchia sono queste, ma diventate spregevoli). Ma in ogni caso il suo potere deve essere assoluto. Perciò, una volta che un popolo ha stabilito un patto sociale, nessuno si può opporre a esso senza commettere ingiustizia. Inoltre, le azioni del sovrano non possono essere criticate dai sudditi o punite. Tuttavia, la legittimità del potere sovrano decade nel momento in cui questa non è più in grado di difendere i propri sudditi (origine stessa del patto).

Dunque, la libertà che ogni cittadino possiede non è fare tutto ciò che è in suo potere ma ciò che è necessario che faccia più ciò che è al di fuori del concordato nei patti. Quindi, il diritto è la libertà consentita dalle leggi civili, le leggi civili sono l’obbligo che sottrae la libertà concessa dalle leggi di natura, e il delitto è la colpa del fare ciò che è vietato.

Terza parte: Uno Stato cristiano

Dunque, una volta chiarito cosa è uno Stato, Hobbes riflette in particolare sullo Stato cristiano. Infatti, Dio parla agli uomini o senza mediazioni o con la mediazione di un altro uomo, come è descritto nei Testi Sacri. Tuttavia, questo mediatore (profeta, apostolo o altro) potrebbe essere un impostore. Da qui parte un’attenta analisi delle Sacre Scritture, nella quale Hobbes chiarisce il significato dell’espressione “Regno di Dio“. Infatti, esso è, più che un vero e proprio regno, un patto che Dio rinnova di volta in volta con vari esponenti dell’umanità (Adamo, Abramo, Mosè) per poi stabilirlo con una porzione di essa, il popolo ebraico.

«Tutti i popoli del mondo sono miei […] in conseguenza del mio potere. Ma voi sarete miei perchè mi darete il vostro consenso stipulando con me un patto.»

Dunque, il popolo ebraico e la Terra Santa sono tali non perché gli appartengono, dato che gli appartiene tutto, bensì perché vi è tale patto. Quest’ultimo non viene messo in discussione neanche da Cristo. Infatti, egli predica un Regno di Dio celeste, che non si scontra con quello ebraico. Tuttavia, Cristo viene accusato proprio di agire contro il regno ebraico proclamandosi “Re dei giudei”. Ma come è chiaro questa accusa è infondata, in quanto Cristo è rappresentante di Dio in tale regno come lo è Mosè per gli ebrei. Del resto Cristo non è un re. Ma ciò significa anche che Cristo non ha lasciato ai Papi nessun potere di governare in questo mondo. Difatti, l’opera dei ministri di Cristo, fin dagli apostoli, è l’evangelizzazione, cioè l’insegnamento della dottrina cristiana. Perciò, il vero compito del papa non è quello di governare, bensì di insegnare.

Ma, dato che la nomina degli insegnanti dipende da chi amministra lo Stato, anche coloro che indottrinano nella religione dovrebbero essere scelti dal capo dello Stato. Ecco perché il potere ecclesiastico spetta ai sovrani cristiani. Invece, il Papa non ha il potere di comandare, giudicare e punire.

Finale del Leviatano: Il regno delle tenebre

Leviatano
Frontespizio del Leviatano. Fonte immagine: Wikipedia.org.

Così, a conclusione del suo libro, Hobbes tratta del “regno delle tenebre“, quel regno descritto nei Testi Sacri come dominato da forze maligne e oscure, il regno di Satana. Ma, come chiarisce nel testo, in realtà si tratta del regno di uomini ingannatori che vogliono garantirsi il dominio degli uomini in questo mondo e impedire loro di prepararsi alla venuta del regno di Dio. Dunque, le tenebre, intese come oscurità della mente, si realizzano con una cattiva interpretazione dei Testi Sacri, per mezzo della quale riteniamo che la volontà di Dio si manifesta per bocca di persone quali il Papa, e che solo quest’ultimo legittima i governi politici.

Del resto, questi errori riguardano, oltre la sfera religiosa, anche quella filosofica. Cioè, quella conoscenza che non è acquisita per mezzo del ragionamento, e che deriva dall’esperienza, è una conoscenza primitiva che porta a false conclusioni. Tuttavia, anche i ragionamenti degli antichi filosofi sono errati, perché più simili a fantasticherie che ragionamenti scientifici.

Come è ovvio, chi ne trae vantaggio sono i “dottori della Chiesa”, che si arrogano il diritto di governare. Un’accusa forte lanciata contro la Chiesa. Ma, come Hobbes ammette, egli non vede nulla, in ciò che ha detto, in contrasto con la parola di Dio, per questo sono affermazioni legittime.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Thomas Hobbes, Il Leviatano, a cura di R. Giammarco, Unione tipografico-editrice torinese 1955.

Sitografia

Il filosofo Roberto Esposito parla del Leviatano al Festival Filosofia nel 2009.

Giacomo Marramao sul Leviatano durante il Festival Filosofia nel 2016.

Carlo Galli tratta dell’opera di Hobbes durante il Festival Filosofia nel 2018.

Nota: l’immagine di copertina è tratta da Wikimedia.org.