Ritratto della giovane in fiamme è il quarto lungometraggio di Céline Sciamma, uscito nelle sale nel 2019. Ecco un’analisi del film nel quadro della complessa poetica della regista francese.
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Céline Sciamma: biografia e formazione
Cèline Sciamma nasce in un piccolo sobborgo del nord della Francia, Pontoise, il 12 novembre 1978. La sua passione per il cinema nasce fin da bambina. Frequenterà infatti il corso di sceneggiatura alla Fémis, una tra le scuole di cinema più importanti al mondo. La transizione alla regia avviene quasi per caso, quando il regista e commissario d’esame Xavier Beauvois la invita a dirigere da sé il suo primo progetto.
Céline Sciamma esordisce proprio con un lungometraggio: Naissance des pieuvres, uscito nel 2017. Il suo primo film ottiene un riscontro straordinario, vincendo il premio Louis-Delluc come migliore opera prima al Festival di Cannes. Nel 2009 dirige un cortometraggio per una campagna contro l’omofobia, Pauline, e diventa co-sceneggiatrice per la serie televisiva Les Revenants.
Nel 2011 dirige il suo secondo film, dal titolo Tomboy, cui seguirà Bande de filles nello stesso anno. Entrambi entreranno a far parte della cosiddetta trilogia della giovinezza, inaugurata con Naissance des pieuvres. Céline Sciamma mostra un particolare interesse per le soglie liminari della vita, rappresentate dall’infanzia e dall’adolescenza. Questo aspetto si coniuga indubbiamente con uno dei cardini della sua poetica: l’attenzione per le dinamiche del gender e la decostruzione delle dicotomie maschile/femminile.
Contemporaneamente, Sciamma lavora anche come sceneggiatrice per il film di animazione in stop-motion La mia vita da zucchina, di Claude Barras. Collaborerà poi con André Téchiné per il film Quando hai 17 anni.
I suoi ultimi lavori sono: Ritratto della giovane in fiamme e Petite Maman, girato in piena pandemia e uscito proprio nel 2020.
Ritratto della giovane in fiamme: l’analisi del film
Ritratto della giovane in fiamme esce nelle sale nel 2019 e diventa quasi subito un cult femminista. La regista, al suo quarto lungometraggio, conquista la fama internazionale e diventa conosciuta anche negli Stati Uniti, ambito in cui spesso le registe europee sono poco considerate.
La trama e il contesto di Ritratto della giovane in fiamme
Il film racconta di Marianne, una pittrice interpretata da Noémie Merlant, incaricata di eseguire il ritratto di Héloïse (Adèle Haenel) per un nobile milanese. Il quadro viene commissionato in segreto dalla madre, perché la figlia si rifiuta di posare. Induce quindi Marianne a fingersi una dama di compagnia e dipingere Héloïse di nascosto. Le due instaureranno una relazione ma, una volta terminato il ritratto, saranno costrette a separarsi per sempre.
Per la prima volta, Céline Sciamma rinuncia all’età di transizione rappresentata dall’infanzia e dall’adolescenza per rivolgersi alle varie generazioni di donne. Ritratto della giovane in fiamme è un film in costume abbastanza atipico che veicola contemporaneamente più piani narrativi. La storia d’amore qui raccontata non è solo la storia d’amore tra due donne ma è anche, e soprattutto, una messa in scena dello sguardo non eteronormativo. In questo senso, l’epoca di ambientazione della storia, attorno al 1770, funge da specchio della contemporaneità.
Il female gaze e il rapporto musa/artista
Fin dall’incipit, la chiave di lettura di Ritratto della giovane in fiamme sembra essere proprio la ricerca dello sguardo che, attraverso la prassi pittorica, diventa prassi cinematografica. Il film si sviluppa come un flashback, a partire dalla scena iniziale in cui Marianne sta dando lezione di pittura nel suo atelier ad una classe di ragazze. La storia del misterioso quadro fa da cornice narrativa al racconto.
Il film ripropone un tema di lunga durata nella letteratura come nell’arte, il rapporto musa/artista, sganciandolo dalle dinamiche di dominio che questo ha rappresentato nel corso dei secoli. Sciamma ci ricorda come nell’arte le donne siano state soltanto assoggettate allo sguardo maschile. Il rifiuto di Héloïse di posare per il suo ritratto è il rifiuto del matrimonio e, di conseguenza, di un’immagine di sé che non ha scelto. Lo sguardo di Marianne è lo sguardo di un’artista ma è anche lo sguardo di una donna[1]. La poetica del female gaze è sempre stata centrale nel cinema di Sciamma e, proprio in Ritratto della giovane in fiamme, diventa tematica portante. La teoria dello sguardo, proveniente dalla critica femminista, riguarda il ribaltamento della logica del male gaze che, al contrario, pone il femminile in posizione passiva e subordinata.
il female gaze […], come ha ben spiegato Soloway, non significa ribaltare l’oggettificazione dei corpi, ponendo il maschile in posizione passiva e subordinata, ma orientare la macchina da presa sui sentimenti, un modo di feeling seeing intersezionale che, sopra ogni altra cosa, restituisce lo sguardo. Ed è appunto questo che Sciamma presenta in modo potente nel Ritratto della giovane in fiamme, in cui lo sguardo non si iscrive più, appunto, nel registro (maschile) dell’oggettificazione della donna, […], ma in una relazione tra pari. Lo sguardo femminile sottrae alla vista per puntare sul sentire. [2]
In questo senso, la narrazione del film si presenta come duale: il ritratto è anche autoritratto. L’artista e la modella si scambiano continuamente di posto, in un complesso gioco di rimandi. Ritratto della giovane in fiamme mostra il mondo attraverso gli occhi di una donna, ribaltando l’immaginario visuale che per secoli ha incasellato il femminile.
Regia e Fotografia nel Ritratto della giovane in fiamme
Céline Sciamma articola il discorso narrativo e poetico attraverso un sapiente uso del dispositivo cinematografico. La regista si pone in maniera critica nei confronti di un genere sostanzialmente romantico per riflettere sullo spazio della visione. Gli occhi di Marianne sono anche quelli di Sciamma che si inserisce nella traiettoria della donna-artista. Non è un caso quindi che abbondino le soggettive, dal punto di vista della protagonista, attraverso cui lo spettatore forma progressivamente la sua immagine di Héloïse .
Si può dire quasi che il volto dell’amante prenda vita soltanto nel momento in cui è guardata da Marianne. Sciamma costruisce l’inizio del racconto nascondendo Héloïse allo sguardo, in un meccanismo hitchockiano che ricorda molto da vicino Vertigo. Nell’incipit, il ritratto della giovane in fiamme nell’atelier di Marianne la mostra di spalle, immersa nel paesaggio mentre il dipinto del pittore a lei precedente è semidistrutto. Nel suo primo incontro con Marianne, è di spalle. La rivelazione del suo volto avviene soltanto dopo la sua metaforica corsa verso il precipizio.
Il lavoro sulla fotografia va nella stessa direzione. Céline Sciamma collabora con la Claire Mathon che, proprio per Ritratto della giovane in fiamme, vincerà il Premio César. I rimandi al mondo pittorico sono chiari nell’utilizzo delle luci: Rembrandt per le scene notturne, Friederich nei paesaggi in tempesta. L’elemento acquatico ha una particolare rilevanza nel suo cinema. Il mare diventa un luogo di negoziazione di diverse dimensioni: trasformazione e rinascita, ma anche memoria e lo scorrere impetuoso del tempo. Qui la direttrice della fotografia, con cui lavorerà anche nel film successivo Petite Maman, compie un’opera di rilettura femminile dell’immaginario visuale, attraverso una decisa e abbagliante contrapposizione di colori: rosso per Marianne, verde/blu per Héloïse.
Il finale di Ritratto della giovane in fiamme: il mito di Orfeo ed Euridice
In Ritratto della giovane in fiamme, il famoso mito di Orfeo ed Euridice funge da messa in abisso dell’intero film. La storia è esplicitamente citata in più parti. In una scena, Marianne, Héloïse e la domestica Sophie discutono sulla scelta di Orfeo che, voltandosi prima del tempo, perde per sempre la sua amata negli inferi. Sciamma propone, attraverso Marianne, un’efficace rilettura della storia che è insieme chiave narrativa del film stesso. Secondo la protagonista, Orfeo si volta consapevolmente: fa la scelta del poeta perché sceglie il ricordo di Euridice.
In fondo, è quello che fa la stessa Marianne, nel momento in cui termina il ritratto che sancisce la separazione da Héloïse. La ragazza ha ormai accettato il suo destino: prima che Marianne se ne vada, le chiede di voltarsi e a compiere quest’ultimo gesto simbolico. È interessante osservare come il mito venga riproposto anche in un quadro realizzato dalla pittrice che ha ritratto i corpi di Orfeo ed Euridice l’uno di fronte all’altra, reinventando completamente la rappresentazione tradizionale.
Nella meravigliosa scena finale a teatro, la protagonista rincontra la sua amata, ma la guarda soltanto da lontano mentre piange di gioia ascoltando l’Estate di Vivaldi. Marianne, proprio come Orfeo, sceglie di vivere nel ricordo di Héloïse, il cui ritratto rimane testimonianza persistente.
Note e Bibliografia
[1] Tutti i dipinti presenti nel film sono stati realizzati dall’artista Hélène Delmaire.
[2] (a cura di) Federica Fabbiani e Chiara Zanini, Architetture del desiderio, il cinema di Céline Sciamma, Asterisco Edizioni, Milano 2021, pp. 9-10.
Daniela Brogi, Immagine e destino, Ritratto della giovane in fiamme, in (a cura di) Federica Fabbiani e Chiara Zanini, Architetture del desiderio, il cinema di Céline Sciamma, Asterisco Edizioni, Milano 2021.
Elena Porciani, Céline Sciamma, Ritratto della giovane in fiamme, in “Arabeschi”, n.15.
Martina Pedata