La morte a Venezia di Thomas Mann: la storia, il significato

“La morte a Venezia” è considerata come una delle opere più significative di Thomas Mann, ed è certamente una delle più note al grande pubblico grazie all’omonimo film del 1971 per la regia di Luchino Visconti. Viene redatta dopo un soggiorno con la moglie a Venezia, dove lo scrittore tedesco ha avuto modo di conoscere ed osservare un ragazzino che sarà poi d’ispirazione per il personaggio di Tadzio. Si tratta probabilmente del barone polacco Wladislaw Moes, all’epoca in vacanza con la madre e le sorelle al lido di Venezia.

Thomas Mann è considerato uno degli scrittori più importanti della letteratura tedesca e europea del Novecento. Nasce a Lubecca nel 1875 in una delle principali famiglie dell’aristocrazia commerciale anseatica. Dimostra sin dall’adolescenza una grande vocazione letteraria. Nel 1914 aderisce al movimento nazionalistico, che sostiene l’entrata in guerra. nel 1929 riceve il premio Nobel.

Nel 1933 con l’avvento di Adolf Hitler, approfitta di un giro di conferenze all’estero, per non rientrare in Germania. Durante la guerra condusse un’attiva campagna contro il nazismo acquisendo la cittadinanza americana nel 1944. Torna in Europa verso la fine della Seconda guerra mondiale e si trasferisce a Zurigo dove muore nel 1955.La morte a Venezia

Il protagonista de “La morte a Venezia” è Gustav von Aschenbach, scrittore di Monaco, che raggiunte ormai fama e rispettabilità, sente improvvisamente una strana inquietudine e il desiderio di viaggiare. Parte per Venezia dove alloggia all’Hotel des Bains al Lido, frequentato dall’alta società internazionale. Qui incontra un bellissimo adolescente polacco di nome Tadzio, verso il quale prova un’irresistibile e morbosa passione.

Tra Aschenbach e il giovane Tadzio nasce un rapporto fatto di sguardi e gesti, mai di parole. Intanto a Venezia, in un’atmosfera disfatta e decadente, si manifestano i primi casi di colera, che le autorità tentano di nascondere. Aschenbach se ne accorge, ma non avverte la famiglia polacca nel timore che Tadzio parta. Si ammala lui stesso e infine trova la morte a Venezia.

Apollineo e dionisiaco secondo Friedrich Nietzsche

apollineo e dionisiacoThomas Mann scrive “La morte a Venezia” seguendo la teoria nietzschiana sul conflitto tra apollineo e dionisiaco ne La nascita della tragedia dallo spirito del­la musica. Friedrich Nietzsche attribuisce la nascita della più complessa forma poetica prodotta dai Greci all’opposizione fra due forze che egli riconduce a due divinità: Apollo, dio della luce, della chiarezza, misura, forma e Dioniso, dio della notte, ebrezza, del vino, del caos, tutto ciò che non ha misura e forma. Apollineo si esprime nella forma perfetta così come nell’arte grega. Il dionisiaco esprime l’eccesso, carica istintiva, furore orgiastico, l’impulso dell’abbandonarsi. Espressioni artistiche dell’apollineo sono le arti figurative, come la scultura mentre per il dionisiaco è la musica, che genera passione.

Tutta l’arte greca è apollinea o dionisiaca, è caratterizzata da questo dualismo che sono per lui due impulsi artistici, estetici. La straordinaria forza vitale della tragedia greca antica nasce, secondo Nietzsche, dal loro incontro: nelle tragedie di Eschilo e Sofocle è avvenuta l’unione tra l’accettazione della vita che si esprime nell’ebbrezza creativa e nella passione sensuale (dionisiaco) e il tentativo di risolvere e superare il caos in forme limpide e armoniche (apollineo).dionisiaco Ma secondo Nietzsche, l’unione ebbe vita breve: già a partire da Socrate prevale nella cultura greca l’atteggiamento apollineo, ossia l’incapacità di sostenere la tragica realtà della vita – con i suoi dolori, le sue assurdità, le sue insensatezze – e il desiderio di rappresentarsela come una vicenda ordinata, razionale, dotata di senso.

La perdita dell’elemento dionisiaco è all’origine, secondo il filosofo tedesco, della decadenza del mondo occidentale, che trova espressione nell’allontanamento dai valori vitali (bellezza, salute, forza, potenza) e nella lunga serie di ‘menzogne’ (la più grande delle quali è Dio) con le quali gli uomini hanno ingannato sé stessi per secoli. Il dionisiaco rivela all’uomo tutto l’abisso della sua esistenza. Nel dionisiaco l’uomo infrange regole imposte dalla cultura, l’uomo dice sì alla vita se partecipa anche alla dimensione dionisiaca.

Incontro tra apollineo e dionisiaco in “La morte a Venezia”

“La morte a Venezia” è suddivisa in cinque capitoli, come la tragedia, caratterizzata da cinque atti. Lo scrittore Gustav von Aschenbach è l’artista apollineo per eccellenza. Per tutta la sua vita non ha fatto altro che inseguire e praticare l’arte classicheggiante, improntata al dominio della forma. Figlio di un funzionario della magistratura, non ha mai conosciuto ozio, cresciuto da solo, senza amici, sempre a distanza dal caos, dalle passioni, dall’irrazionalità della vita, consacrando la sua esistenza all’arte.

Durante il suo “ultimo viaggio” fa diversi incontri che sono tutte incarnazioni dello straniero. Lo straniero è un aspetto tipico della dimensione dionisiaca, perchè Dioniso non fa parte degli dei greci dell’Olimpo ma proviene dall’Oriente, è considerato dio straniero. Il primo inquietante incontro avviene nel cimitero di Monaco. Un uomo dal cappello di rafia, il cui volto viene descritto come una maschera, elemento tipico della tragedia, rimandando a un teschio:“labbra ritratte che denudavano denti”. Dopo l’incontro con la maschera della morte, in lui nasce un desiderio irrefrenabile di partire.

Aschenbach parte per Venezia. Va sulla nave e qui incontra altre figure dionisiache. All’imbarco si imbatte in un uomo dal pizzo caprino e dall’aspetto che ricorda un direttore da circo, fuori moda, che registra i dati dei viaggiatori e rilascia i biglietti. Il pizzo caprino è un tratto tipico del satiro, figura mitologica, metà uomo e metà animale con zampe caprine, che accompagna Dioniso. Il terzo incontro avviene sulla nave. Vede un gruppo di giovani e scopre con raccapriccio che tra di loro c’è n’è uno che è un falso giovane.

La morte a VeneziaHa il volto truccato, baffi finti, denti gialli, i capelli non erano altro che una parrucca, con cappello di paglia e anelli alle mani.  Il falso giovane è altra variante del dionisiaco, perchè Dioniso è principio dirompente che sovverte l’ordine, rompe le gerarchie sociali. Rompe le gerarchie tra schiavi e padroni  tra giovani e vecchi e mira a fusione degli individui di diversa età provenienza, nella totalità del gruppo. C’è dissoluzione dell’io nella totalità. Sempre a Dioniso è attribuito un effetto ringiovanente grazie alla danza, al vino, alle pratiche orgiastiche.

Dopo questo incontro Aschenbach  sente che le cose si stanno allontanando dai canoni abituali: “gli sembrava che non tutto prendesse una piega abituale, che cominciasse a diffondersi uno straniamento onirico, una defiormazione del mondo verso l’insolito”. Il terzo incontro lo allontana sempre più dalla sua vita misurata ed equilibrata, perchè si addentra in questa realtà nuova, diversa, estranea. A Venezia avviene il quarto incontro con il gondoliere che lo accompagna al Lido di Venezia.

Anche il gondoliere come le altre figure incontrate in precedenza, è incarnazione dell’estraneo. Vestito alla marinaio, con cappello di paglia, ma con fisionomia brutale, naso schiacciato e qualche volta per lo sforzo di remare la gondola nera come una bara, denudava i denti. Sulla gondola Aschenbach si ritrova sotto l’influsso del gndoliere. Egli gli chiede di essere portato alla fermata del vaporetto, ma il gondoliere non gli obbedisce e lo porta al Lido. Lo scrittore si abbandona alla volontà del gondoliere, non ha alcun modo di opporsi e si lascia andare a “un incatesimo di pigrizia”.

L’ultimo incontro prima che Aschenbach perde il controllo di sè è quello con un gruppo di musicisti. Nel giardino dell’hotel si esibisce un gruppo di cantanti girovaghi. Il chitarrista suscita in Aschenbach estraneità perturbante associata a brutalità. Non sembra un veneziano ma comico napoletano, con un logoro cappello di feltro, esile e con pomo d’adamo vistosamente grande. La sua esibizione termina con dialetto incomprensibile per Aschenbach e alla fine abbandona musica e parole e si abbandona a una risata sfrenata quasi simile a un urlo. Aschenbach non prende parte alla risata e cerca di difendersi da questo contagio.

Il dionisiaco prende il sopravvento sull’apollineo

L’incontro decisivo è quello con un giovane ragazzo di straordinaria bellezza, appartenente a una famiglia aristocratica polacca, che alloggia nello stesso albergo di Aschenbach. Il suo nome è Tadzio e Aschenbach rimane colpito da meraviglia e quasi da sgomento per la bellezza divina del giovane. Tadzio viene descritto da Aschenbach come un’opera di stampo classico: “viso ornato da riccioli color miele, naso dritto, bocca soave, ricordava le sculture greche […] una testa di Eros, che aveva la lucentezza eburnea del marmo pario.”

Nel giro di pochi giorni lo scrittore è completamente assorbito dal giovane, non fa altro che osservarlo. Aschenbach si apre a dimensione dell’ebrezza per la prima volta dopo che ha tentato di scacciar via dalla propria esistenza estetica. Non fa altro che inseguire l’oggetto del desiderio che lo infiamma, lo sogna quando non lo vede. Non si scambiano mai la parola ne si toccano. Col passare del tempo non riesce più a controllare il susseguirsi dei giorni, il tempo è come sospeso e non controlla più i suoi spostamenti nei vicoli della città di Venezia, dove si addentra per seguire il ragazzo.

La morte a VeneziaDurante il soggiorno di Aschenbach a Venezia, scoppia un epidemia di colera, che viene nascosta dalle autorità veneziane per non compromettere gli interessi economici. La malattia viene definita dai locali come colera indiano. La descrizione del propagarsi del colera e la sua migrazione dall’Oriente all’Occidente, richiama il diffondersi del culto di Dioniso in quanto dio straniero. Dopo l’ultimo incontro con il gruppo di musicisti, Aschenbach ha una visione onirica, sogna un baccanale orgiastico, tipica espressione rituale del culto dionisiaco. Nel sogno c’è dissoluzione del linguaggio e predominano soltanto rumori e un urlo.

All’inizio prova paura ma poi le resistenze di Aschenbach si dissolvono e alla fine si abbandona alla dimensione dionisiaca. Dopo il sogno va dal parruchiere e si fa tingere i capelli e truccare per sembrare più giovane. Se il falso giovane gli aveva suscitato tanto orrore, ora è diventato proprio come lui. Il giorno in cui la famiglia lascia Venezia, Aschenbach, malato, muore sulla spiaggia, dove vede per l’ultima volta il giovane Tadzio. Tadzio nella sua rappresentazione è apollineo ma ha una funzione ermetica perchè proprio come Ermes, conduce Aschenbach verso la morte e in lui c’è la fusione dell’apollineo e del dionisiaco, caratteristica principale della tragedia greca.

Carmen Imperatore

SITOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

  • Mann T., La morte a Venezia, Einaudi, 2020/21