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1300 – Inferno dantesco

La Divina Commedia di Dante Alighieri è uno dei più celebri capolavori del Medioevo, e
forse l’opera di spicco dell’intera letteratura occidentale. Dante
esprime al meglio la Firenze tra fine ‘200 e inizio ‘300, una città che, con l’emergere della classe mercantile,
stava vivendo numerosi cambiamenti. Nella Commedia, però, ad essere descritti sono i tre mondi ultraterreni: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, tappe del viaggio di Dante nell’Aldilà.

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L’Inferno: lasciate ogni speranza…

Nelle credenze popolari l’Inferno è un luogo di punizione; un luogo in cui le anime dei defunti sono rinchiuse per aver compiuto azioni cattive o in qualche modo peccaminose verso il prossimo o verso sé stessi, oppure per aver commesso offese nei confronti delle divinità.
L’Inferno interpretato come luogo di sofferenza eterna dopo la morte è un concetto presente in diverse religioni del mondo. Lo troviamo infatti sia in quelle politeiste che in quelle monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islam).

Viene quasi sempre identificato come un immenso luogo oscuro e sotterraneo, ed è da questo che nasce il nome “inferno”. Infatti, il termine deriva dal latino “infernus”, cioè “che si trova in basso”, quindi lontano dalla luce della divinità creatrice e adombrato dalla volontà del “maligno” (divinità antitetica alla misericordia delle altre divinità).

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Divina Commedia

Guida alla Divina Commedia

La Divina Commedia è un poema allegorico-didascalico scritto da Dante Alighieri (1265-1321) mentre si trovava in esilio, fra il 1306 e il 1321, che racconta in prima persona il viaggio dell’autore (che è anche il protagonista) nei tre regni dell’aldilà cristiano. L’opera mescola due generi diffusi nel medioevo, quello del viaggio allegorico-didattico con quello della visione dell’aldilà.

La Divina Commedia si divide in tre parti definite dallo stesso autore “cantiche”: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ciascuna di queste è a sua volta divisa in 33 canti, ad eccezione dell’Inferno che ne conta 34 (perché il primo ha una funzione introduttiva). In totale si contano 100 canti, numero perfetto nella numerologia medievale.

Ogni canto è composto da terzine incatenate di endecasillabi, con lo schema metrico ABA, BCB, CDC … YZYZ. Tale schema, che può proseguire all’infinito, consente di variare a piacere la lunghezza dei canti, che infatti oscillano tra i 115 e i 160 versi.

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scelta

Gli Ignavi e la non-Scelta

Nell’Antinferno sono relegate le anime degli ignavi, caratterizzati dalla non scelta, perché Dante considera queste anime immeritevoli non solo del Paradiso ma persino dell’Inferno stesso. Attraverso le parole di Virgilio, Dante le descrive in questi termini:

QUESTI NON HANNO SPERANZA DI MORTE,
E LA LOR CIECA VITA È TANTO BASSA,
CHE ‘NVIDÏOSI SON D’OGNE ALTRA SORTE.

FAMA DI LORO IL MONDO ESSER NON LASSA;
MISERICORDIA E GIUSTIZIA LI SDEGNA:
NON RAGIONIAM DI LOR, MA GUARDA E PASSA.

Questa è la condizione degli ignavi che, non facendo mai alcuna scelta, hanno arrecato un danno a sé stessi e alla società. La setta dei cattivi, così la definisce Dante, conta coloro che non si sono mai schierati né da una parte né dall’altra.
La non scelta li rende più vili dei peccatori e per questo alla terribile punizione divina, che li vede costretti a rincorrere eternamente una insegna girevole che non riescono mai a toccare, se ne aggiunge un’altra tutta umana: l’impossibilità di essere ricordati dai vivi.

L'avarizia

Avari e usurai all’Inferno

L’avarizia non poteva passare di certo inosservata neanche a Dante Alighieri. Nell’Inferno il poeta fiorentino colloca i personaggi avari nel quarto cerchio, assieme a un altro gruppo di peccatori legati al denaro: i prodighi, coloro che sperperarono i propri denari in futilità. La pena a cui sono sottoposti è descritta nel settimo canto. I dannati sono costretti, divisi in due schiere opposte, a percorrere un semicerchio spingendo un enorme masso con i propri petti e arrivando a scontrarsi tra di loro, rinfacciando l’avarizia degli uni e la mania spendacciona degli altri.
Quello che il Dante protagonista nota è che ci sono più anime lì che in ogni altro cerchio e che si trattino soprattutto di uomini di chiesa, proprio quegli uomini che condannavano l’eccessivo attaccamento al denaro. Virgilio gli fa notare questo particolare, distinguendo le due diverse schiere dei personaggi avari e di quelli prodighi.

Dante dedica un canto anche all’usura, il diciassettesimo. I personaggi avari colpevoli di usura vengono collocati nel terzo girone del settimo cerchio, quello dei violenti. Il loro peccato è talmente immondo che viene addirittura paragonato a una violenza contro lo stesso Dio. Infatti, gli usurai non si sono arricchiti con sacrificio e fatica, ma rubando il denaro altrui. La pena a cui sono sottoposti è tremenda: intrappolati nella sabbia ardente, vengono colpiti da una pioggia di fuoco e si distinguono per portare al collo un’enorme borsa (l‘iconografia medievale raffigurava gli usurai con questa immagine), emblema della loro colpa: come in vita la quantità delle ricchezze sottratte agli altri fu enorme, così il loro peccato è pesante da costringerli a stare seduti e a soffrire la propria colpa.

Il mondo classico nell’Inferno

Non c’è alcun dubbio che l’opera di Dante Alighieri risenta di influenze e ispirazioni provenienti dal mondo classico. Dalla Vita Nova al Convivio, la produzione letteraria del “sommo” ha sempre avuto un confronto diretto con i grandi nomi della letteratura latina e greca, e raggiunge il proprio apice in quel caleidoscopio letterario, religioso, politico, filosofico e scientifico che è la Divina Commedia, e soprattutto nell’Inferno.

Attraverso l’opera più rappresentativa della nostra tradizione letteraria, Dante intende celebrare e pagare tributo a tutti quegli autori che lo hanno formato nei suoi studi e che lo hanno accompagnato nei momenti non sempre facili della sua esistenza.

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Ulisse e il canto delle sirene

Ulisse: la curiosità che porta al peccato

Dante parla dell’ eroe omerico nel canto XXVI dell’Inferno, confinato nel cerchio dei consiglieri fraudolenti (l’ottavo delle Malebolgie).

Ulisse è avvolto, assieme a Diomede, dentro delle fiamme e Dante è interessato a parlare con l’eroe, desideroso di sapere i particolari dell’ultimo viaggio da lui intrapreso.
L’Ulisse dantesco è un uomo spinto dalla curiosità, che lo porta a lasciare i comodi confini di Itaca e a lanciarsi in nuove avventure. L’eroe decide infatti di spingersi oltre le “Colonne d’Ercole”, cioè lo stretto di Gibilterra, che la geografia medievale poneva come limiti invarcabili, oltre le quali si trovava solo l’oceano e nessuna terra abitabile.

Ma è proprio questa curiosità a rappresentare una disgrazia per Ulisse. Assieme ai suoi compagni riprende il mare e, giunto alle colonne, non può che andare incontro al suo destino.

Dante rappresenta Ulisse come l’incarnazione dell’uomo desideroso di superare quei limiti che la natura divina gli ha imposto. Tuttavia il fallimento del “folle” viaggio dell’acheo è un’allegoria che serve per rammentare il fatto che il volere di Dio non è mai arginabile.

Lucifero Dorè

Lucifero: il “portatore di luce”

“Vexilla regis prodeunt inferni” (“Le insegne del re dell’inferno avanzano”).

Così inizia il trentaquattresimo canto, l’ultimo, dell’Inferno dantesco, con l’unica citazione latina della prima cantica. Data la complessa stratificazione plurilinguistica della Commedia, possiamo azzardare che l’uso del latino servisse a conferire solennità al personaggio, ipotesi suffragata dal fatto che la citazione riprendesse un inno religioso.

Ci ritroviamo così, da subito, in un clima di orrore religioso, di solennità biblica: nella Giudecca ogni cosa è statica, tutto tace, l’unico movimento è dato dal vento gelido generato dalle ali di Lucifero.

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Mondo classico

Il Purgatorio e il mondo classico

Mano a mano che il viaggio di Dante prosegue, la presenza del mondo classico nella Commedia diminusice sempre di più.

Nel Purgatorio il pellegrino incontra due figure emblematiche della classicità: Catone e Stazio.

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paradiso

Il Paradiso e il mondo classico

Si giunge infine nel regno dei cieli. Considerato anche l’ambiente ormai cristiano che gli angeli e i beati contribuiscono a esaltare, il mondo classico si fa da parte e, come già aveva fatto Virgilio nel paradiso terrestre del Purgatorio, torna nel proprio limbo.

Tuttavia nel canto XX del Paradiso Dante fa un’eccezione per soli due personaggi dell’antichità.

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Becchina

Dolce Stil Novo: I’ mi son un che, quando Amor mi spira…

Uscito dal Purgatorio, Dante sarà guidato, nel suo cammino in Paradiso, da Beatrice. Qui si vede il legame con il dolce stil novo, una corrente poetica nata in Toscana nella seconda metà del XIII secolo e vicino alla lirica provenzale.

Il fulcro di questa poesia è l’amore cosiddetto “cortese”. Il movimento stilnovista prende il nome proprio dalla definizione che Dante ne fa all’interno del XXIV canto del Purgatorio.

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Annibale Gatti -

Dante e l’esilio: il discorso con Cacciaguida

Durante il suo viaggio descritto nella Divina Commedia, Dante tratta anche del suo esilio. Ne parla, infatti, nel XVII canto del Paradiso. Si tratta del penultimo dei quattro canti (dal XV al XVIII) in cui prende la parola Cacciaguida, trisavolo del poeta discendente da una nobile famiglia e soldato nella seconda crociata.

In questo ampio dialogo, dopo che il suo antenato ha celebrato gli antichi fasti di Firenze e ne ha tristemente constato la sua decadenza a causa delle lotte politiche interne, Dante gli chiede cosa il futuro gli riservi.

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San Francesco Dante

Santi in Paradiso: Francesco d’Assisi secondo Dante

Come sono descritti, invece, i personaggi del Paradiso? Il tipo di descrizione cambia radicalmente. Tra i più importanti c’è senza dubbio il San Francesco di Dante, non solo un punto di una sequenza di beati incontrati nel viaggio ultraterreno, ma come abbia un preciso ruolo nella Chiesa e nella Storia.

Dice Dante che la Provvidenza “due principi ordinò in suo favore, / che quinci e quindi li fosser per guida“.

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dante, italia

Dante prima della Commedia

La fama di Dante in tutto il mondo è legata soprattutto alla Divina Commedia, ma questa naturalmente non è l’unica opera che ha scritto. La Vita Nuova, il Convivio, il De Vulgari Eloquentia, il De Monarchia, le Rime, sono solo alcune delle più importati opere scritte da Dante sia in latino che in volgare.

Queste, seppur in parte adombrate dalla grandezza della Commedia, sono così rilevanti che da sole avrebbero comunque garantito a Dante un posto di primo piano nella storia della letteratura italiana.

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