In questo articolo ricostruiremo la storia della disciplina che si occupa di rispondere a queste (e altre) domande, facendolo attraverso l’interpretazione dei fossili. A tale scopo ripercorreremo le tappe fondamentali per cui è passata la teoria che si propone di raccontare le origini di Homo sapiens e la sua diffusione in tutto il mondo.
Le ricerca delle nostre origini è (da sempre) una redditizia fucina di interrogativi. Ogni cultura ha dato le proprie risposte, basilari per determinarne carattere ed identità. Il palcoscenico della storia del pensiero ha visto avvicendarsi oracoli, pastori, filosofi e scienziati. Che risultati ha prodotto l’indagine? Scopriamolo.
Indice dell'articolo
Come inizia la paleoantropologia?
C’è un luogo e un momento preciso in cui inizia la ricerca delle tracce concrete e discrete delle nostre origini. La paleoantropologia comincia in Germania, un’estate. Correva l’anno 1856 quando da una cava di calcare vennero fuori dei reperti dall’aspetto umano, ma non del tutto. Nonostante la forte somiglianza con l’anatomia di Homo sapiens, i fossili presentavano delle caratteristiche uniche.
Le peculiarità fenotipiche riscontrate nelle prime analisi spinsero gli esperti a pronunciare la coraggiosa diagnosi di una nuova specie, a noi affine ed evolutivamente vicina. Questo nostro parente finalmente ritrovato prese il nome di Homo neanderthalensis, dalla valle dov’è sita la grotta in cui fu scoperto.
L’esistenza di una forma di umanità diversa dalla nostra – seppur in un remoto passato – apriva nuovi scenari concettuali. Se da un lato Homo sapiens poteva sentirsi meno solo, dall’altro era stato spodestato della sua unicità. Si delineò in fretta la necessità di ripensare l’uomo stesso, trovandogli un nuovo posto in quella natura che iniziava a vederlo sempre più animale fra gli animali.
I paleontologi capirono subito che un solo fossile non sarebbe bastato a capire granché: c’era da barcamenarsi in ogni angolo della Terra per trovarne di nuovi. Si era accesa la miccia di un fuoco che da allora non si sarebbe più spento.
Quando e dove è nato Homo sapiens?
Homo sapiens non è che l’ultimo arrivato di un gruppo ben più vasto ed antico: gli Hominina. Questa sottotribù annovera l’uomo moderno e tutti i suoi predecessori estinti. La storia di questo ramoscello dell’albero dei Primati inizia quando la specie capostipite (attualmente ancora putativa) diverge dall’antecessore che abbiamo in comune coi Panina (ovvero gli scimpanzé).
Sia gli studi operati sui fossili che le analisi genetiche sono concordi sul datare l’inizio della filogenesi umana a (circa) 6 milioni di anni fa. E se oggi sembra banale rispondere “Africa” se interrogati circa l’origine geografica, ciò non lo era due secoli fa. La ricerca delle nostre radici, infatti, ebbe come prima meta l’Asia. La scelta fu dettata dalla falsa convinzione che i nostri rapporti di parentela fossero più stretti con l’orango (endemico in Malesia) piuttosto che col genere Pan.
È importante premettere – prima di trarre giudizi affrettati sui ricercatori del diciannovesimo secolo – che la letteratura scientifica dell’epoca era davvero scarsa in materia di paleoantropologia. Il primo testo con in calce una firma autorevole, quella di Thomas Huxley, vide la luce soltanto nel 1863. Darwin ebbe modo di prendere posizione solo otto anni più tardi, suggerendo finalmente il Continente Nero come culla della vita.
Come si delinea il lignaggio umano?
I ritrovamenti fossili rinvenuti in Africa nel corso del ‘900 sembrerebbero dar ragione a quanto sostenuto dal padre dell’evoluzionismo moderno. Fu nella Great Rift Valley che comparvero i primi ominidi, circa 6-7 milioni di anni fa, divergendo da progenitori arboricoli. La pressione selettiva che ne determinò il successo fu uno sconvolgimento ambientale che portò alla “savanizzazione” di una grossa parte del territorio.
Quando il record cominciò a diventare quantitativamente abbastanza cospicuo da poterlo utilizzare per ricostruire una linea filetica, si pose una nuova questione: quali sono i criteri sui quali basarsi per includere o meno una specie nel lignaggio umano?
Adattamenti morfologici
Studi in materia di anatomia comparata evidenziano due (principali) tendenze evolutive nella filogenesi umana:
- Bipedismo, con una postura progressivamente più eretta
- Encefalizzazione, ovvero un rapporto cervello/massa corporea gradualmente maggiore
Questi processi hanno determinato un’altra serie di cambiamenti che nel corso del tempo hanno delineato l’aspetto moderno. Per raggiungere un risultato sufficientemente performante è spesso necessaria la concertazione di più caratteri fenotipici. Inoltre l’evoluzione di certe strutture porta con sé la comparsa di alcuni sottoprodotti.
La postura eretta richiede un adattamento della colonna vertebrale, che acquista una nuova curvatura. Il punto di intersezione nel cranio si verticalizza rispetto a quanto si riscontra negli altri primati. Proprio lo spostamento in basso del foramen magnum segna (idealmente) l’inizio della linea degli Hominina.
Se è stato relativamente semplice ricostruire il percorso delle trasformazioni scheletriche, la stessa cosa non si può dire per quelle encefaliche. Il cervello infatti poco si presta, per sua natura istologica, a lasciar traccia nel tempo. Le misurazioni sono state possibili solo attraverso il confronto delle capacità craniche esibite dai reperti costituenti il record. È ragionevole pensare che teste più grandi possano ospitare più litri di materia grigia.
Le implementate capacità cognitive hanno un impatto rilevante soprattutto a livello etologico, sociale e culturale. Testimonianze credibili sono i reperti fossili associati all’impiego degli utensili.
Adattamenti tecnologici
Il criterio che i paleontologi hanno scelto per inquadrare il nostro genere è lo sviluppo tecnologico, inteso come progresso nella capacità di realizzare e manipolare utensili. L’evoluzione culturale – molto più rapida di quella morfologica – è stata la vera chiave di volta per il nostro successo.
La specie più antica catalogata come appartenente a Homo è H. habilis. I resti sono frammentari e pure eterogenei. La sua comparsa è documentata da fossili riportati alla luce in Tanzania. Si ritiene risalgano a circa 2,5 milioni di anni fa. Tuttavia i ritrovamenti scheletrici si accompagnano spesse volte ad attrezzi complessi.
Anche altre specie sono in grado di interagire con utensili. Tra i primati è un comportamento diffuso, ma è stato osservato anche fra alcuni uccelli. Ciò che rende però unico il genere Homo è la capacità di costruire un attrezzo usando un altro attrezzo. Testimonianza di questa abilità è l’industria olduvaiana, trovata in associazione ai resti di Homo habilis.
Quali sono le origini di Homo sapiens?
L’evoluzione del genere Homo non è stata lineare. Sintetizzata in un grafico somiglia piuttosto a un cespuglio. Dalla popolazione capostipite dovettero divergere diversi demi, i quali – isolandosi l’uno dall’altro – speciarono in molteplici umanità più o meno diverse tra loro.
Una di queste è proprio Homo sapiens. La sua comparsa è ancora oggetto di dibattito: è certo che fu (ancora una volta) in Africa. Ma con precisione alle domande “Dove?” e “Quando?” ancora non si può rispondere. I paleontologi sono soliti far risalire le prime forme a circa 200.000 anni fa, localizzandole nei pressi dell’attuale Etiopia. Tuttavia le (controverse) datazioni dei ritrovamenti di Jebel Irhoud (in Marocco) la anticiperebbero a 300.000.
Questi nostri antenati erano sorprendentemente simili a noi. I resti ritrovati esibiscono strutture anatomicamente moderne. Il cranio è sferoidale e allungato in senso longitudinale. È nettamente distinguibile da quello delle altre specie, complice pure la discreta accentuazione del mento.
Questa umanità produsse fin da subito utensili sofisticati in confronto alle altre industrie litiche. Spiccano nel record archeologico i manufatti non utilitaristici, testimonianza di pensiero astratto. La loro diffusione è ampiamente documentata e la datazione la pone a 70-50.000 anni di distanza da oggi. Sono la prova tangibile di un processo culturale (e neurologico) conosciuto come “Rivoluzione cognitiva“.
Come si è diffuso Homo sapiens nel Mondo?
La conquista del bipedismo è stata una delle tappe fondamentali dell’evoluzione umana. Spostare ogni responsabilità deambulatoria sugli arti posteriori ha permesso di affrancare quelli superiori, liberi di specializzarsi nell‘interazione ambientale.
La locomozione eretta ha garantito non solo più agilità (sulla terra ferma) ma rappresenta una via metabolicamente più sostenibile. Divennero così possibili spostamenti su larga scala geografica. Il suo impatto non va ridotto al mero livello locale, ma osservato nell’ottica delle nuove possibilità espansionistiche che si aprirono alla specie da quel momento in poi.
I flussi migratori
Le esigenze in termini di risorse sono proporzionali al successo riproduttivo. Una popolazione può far fronte alla questione allargando la propria diffusione all’interno dell’areale attraverso la migrazione. I vantaggi immediati sono fondamentalmente due:
- Accesso a nuove risorse
- Abbattimento della competizione
Homo sapiens ha raggiunto nel corso del tempo una dispersione globale. I paleoantropologi hanno elaborato diversi modelli per ricostruire la storia di tale successo. Ne riassumiamo qui i principali prima di concentrarci su quello attualmente accettato: l’“Out of Africa“.
Il modello multiregionale
Il primo modello è del 1946, e deve la sua paternità a Franz Weidenreich.
La sua ipotesi assume una diffusione globale durante il Pleistocene. Le sottopopolazioni avrebbero però continuato a scambiare materiale genetico tra loro. I flussi genici costanti tra i nuclei le avrebbero col tempo uniformate, portando così alla comparsa dell’uomo moderno.
Lo studioso tedesco inquadra la varianti regionali di Homo sapiens come il risultato dell’evoluzione coordinata di diverse sottospecie. La comunità scientifica non supporta questa ricostruzione, in quanto in disaccordo con la maggior parte dei dati fossili e molecolari.
Il Candelabro
Il modello multiregionale è spesso confuso con quello del Candelabro, proposto da Carleton Coon nel saggio del 1962 “The origin of races“. Come Weidenreich, anche lui ipotizzava il mondo colonizzato dalla prima specie migrante del genere Homo. L’antropologo statunitense però esclude la persistenza dell’interfecondità tra i nuclei sottopopolazionistici. Li immaginava riproduttivamente isolati tra loro.
La forza proponderante sarebbe stata quindi la deriva genica; il risultato cinque evoluzioni indipendenti. Nel testo l’umanità è divisa in razze, ognuna derivante a sua volta da una variante locale differente. Posizioni dalle quali si sono prese ben presto le distanze.
Homo sapiens “Out of Africa”
Il modello attuale teorizza una una singola evoluzione relativamente recente, avvenuta in Africa, da Homininae arcaici a uomo moderno. Quest’ultimo avrebbe rimpiazzato tutti gli altri in un tempo compreso tra 55.000/200.000 anni fa. La sostituzione avvenne attraverso ondate migratorie
Se l’ipotesi di base mette facilmente d’accordo gli studiosi, lo stesso non si può dire dei dettagli riguardo le specifiche modalità. Il dibattito sul percorso seguito dal flusso resta acceso.
I ritrovamenti fossili evidenziano la cosiddetta Rotta Nord, che passa attraverso la penisola del Sinai. Alcuni dei reperti più antichi attribuiti a Homo sapiens sono stati rinvenuti in Levante (l’attuale Israele). Le datazioni ricostruiscono migrazioni avvenute tra i 110.000 e i 90.000 anni fa.
I dati molecolari sembrano invece sembrano raccontarci di viaggi attraverso il Mar Rosso. Da lì poi Homo sapiens avrebbe proseguito verso il Sud Est Asiatico e l’Oceania. Secondo questi studi la dispersione sarebbe iniziata più recentemente, circa 60.000 anni fa.
Alcuni esperti sono conviti che l’Out of Africa dell’uomo moderno avvenne in più flussi migratori. Secondo le loro ricostruizioni la divergenza tra Euroasiatici orientali e occidentali mostrerebbe uno scenario più complesso di quello supposto dall’ipotesi della singola ondata. Le stime indicherebbero che l’Europa e l’Asia siano state occupate da migrazioni distinte.
Chi incontrò Homo sapiens fuori dall’Africa?
Homo sapiens non fu la prima specie umana ad uscire dall’Africa. Appena divenne possibile cercare fortuna altrove, Homo iniziò a spostarsi. I paleontologi si riferiscono alla migrazione dei primi Hominina bipedi col termine di Out of Africa I. La nostra, avvenuta assai dopo, è detta Out of Africa II.
Quando l’uomo moderno varcò i confini africani trovò un mondo già colonizzato da altre umanità:
- In Europa, Homo neanderthalensis
- Nella Russia asiatica, Homo di Denisova
- Nelle Filippine, Homo luzonensis
- In Indonesia (isola di Flores), Homo floresiensis
- A Giava, Homo eraectus.
Nessuna di queste specie è arrivata ai giorni nostri. È però interessante provare a immaginarne la convivenza. Perché Homo sapiens è l’unica sopravvissuta? Le domande sono ancora molte, e la ricerca ancora lunga.
Lorenzo Di Meglio
Referenze
- Guido Barbujani, Andrea Brunelli – Il giro del mondo in sei milioni di anni – Il Mulino
- Guido Barbujani – L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana – Bompiani
- Charles Darwin – L’origine dell’uomo e la selezione sessuale – Newton Compton Editori
- Thomas Henry Huxley – Il posto dell’uomo nella natura – UTET
- https://www.treccani.it/enciclopedia/ominidi/
- https://journals.sagepub.com/doi/10.4137/EBO.S33489
- http://darwin-online.org.uk/converted/pdf/1889_Descent_F969.pdf