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1643 – India Moghul

Prima del progressivo infiltrarsi degli Inglesi in India, che portarono alla colonizzazione del subcontinente indiano, l’India era governata dalla dinastia Moghul (1526-1857): la parola ricorda l’origine mongola della dinastia, che era al contempo di religione musulmana. L’incontro tra diverse culture portò a soluzioni artistiche uniche, come il famosissimo Taj Mahal.

Taj Mahal

Taj Mahal India

Agra: la città del Taj Mahal

La dinastia Moghul ebbe diverse capitali nel lungo periodo in cui governava sull’India, come l’Antica Delhi. Ma la capitale più rappresentativa di questo periodo è senz’altro Agra, che ospita il Taj Mahal. Si tratta di un gigantesco mausoleo fatto costruire dall’imperatore moghul Shāh Jahān in onore della sua moglie preferita, Mumtaz Mahal. Proprio questo monumento è il simbolo dell’incontro di più culture, dato che incorpora elementi dell’architettura islamica, indiana, persiana e turca.

donna illuminata

Induismo: la religione degli Indiani

Con oltre un milione di aderenti, l’Induismo è la quarta religione al mondo. La stragrande maggioranza degli induisti, oltre 900 milioni, abitano in India, costituendo oltre l’80% della popolazione indiana. Il termine Induismo è comunque occidentale e i fedeli indù si riferiscono alla propria religione col termine “Sanātana Dharma”, ossia la “Via Eterna”.

Si tratta di una delle religioni più antiche al mondo, traendo le sue radici nella cultura Veda del subcontinente indiano.
Per mettere ordine al complesso di credenze legate alla parola Induismo, potete leggere i nostri articoli al riguardo.

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Buddha

Buddha: il risvegliato

Buddha शाक्यमुनि (Il Risvegliato), conosciuto anche come Siddhārtha Gautama, è il fondatore del Buddhismo. Egli visse durante il 566 a.C. e viene identificato in quanto più famoso monaco, filosofo, asceta e mistico indiano.

Secondo la tradizione, la vita di Gautama fu preceduta da innumerevoli Jataka rinascite (vite anteriori), non dettate da trasmigrazioni o reincarnazioni di anime bensì dalla successione di vite legate tra loro dalla trasmissione degli effetti del karma.

Il Buddhismo conta oltre 500 milioni di fedeli al mondo ed è la quarta religione più diffusa sul pianeta. Nonostante sia nato in India, in realtà solo l’1% degli Indiani pratica il Buddhismo, che invece conta la maggior parte dei suoi aderenti tra Cina e penisola indocinese. Il Buddhismo è comunque considerato una religione indiana per le sue origini e per l’affinità del suo messaggio con le altre religioni indiane.

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Giainismo: la religione che influenzò Gandhi

Pochi sanno che il Mahatma Gandhi fu fortemente influenzato da una religione minoritaria indiana chiamata Giainismo. Si tratta della più antica dottrina spirituale della non violenza e dell’amore universale. Esso si basa sugli insegnamenti del profeta Mahavira e conta circa 8-10 milioni di fedeli in tutto il mondo.

Non ci sono sacramenti o riti di iniziazione. Il Jainismo invita alla riflessione affinché tutti gli esseri viventi riescano ad abbandonare l’egocentrismo, la vanità, l’egoismo, le passioni per poi fondersi con la Divinità raggiungendo la pace eterna.

Questa filosofia di vita propone un prototipo di vita religiosa all’insegna dell’autocoscienza e dell’armonia spirituale ottenuta rispettando tutti gli esseri viventi e praticando l’etica della non violenza ( in indiano Ahimsa). È bene vivere in equilibrio con tutti amando e rispettando tutti.

Predicando un’assoluta non-violenza, il giainismo prevede una forma estrema di vegetarianesimo: la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l’acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. Per vivere bene è inoltre necessario alzarsi prima dell’alba ed è vietato mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto.

Il Giainismo ebbe, appunto, grossa influenza sul Mahatma Gandhi, nella cui lotta per l’indipendenza dell’India adottò l’etica dell’Ahimsa, riuscendo nell’impossibile intento di vincere gli Inglesi senza praticare violenza su un solo uomo.

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Tè

Il tè: un motore dell’economia indiana

In India si attesta la conoscenza del tè sin dal 750 a. C. che però veniva consumato come verdura e non come bevanda. La coltivazione dalla Camellia sinensis nel Paese è legata al periodo coloniale inglese quando per i britannici, considerando l’aumento della sua domanda in Gran Bretagna, l’acquisto di questo prodotto cinese e giapponese divenne troppo costoso. Gli inglesi dopo essersi appropriati delle tecniche di coltivazione della Camellia sinensis tè iniziarono intorno agli anni Quaranta dell’Ottocento a produrlo in India raggiungendo la massima abilità.

Per secoli l’uso di questa bevanda da parte degli indiani era esclusivo delle élite del Paese che durante il periodo coloniale era la parte della popolazione maggiormente soggetta alla diretta influenza inglese. Dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Gran Bretagna questa élite rimase depositaria di questo retaggio socio-culturale.

Negli anni Cinquanta del Novecento per far fronte all’esigua domanda interna fu ideata e lanciata un’imponente campagna pubblicitaria e promozionale del prodotto grazie alla quale la domanda crebbe molto. Inoltre si ampliò considerevolmente anche il numero dei fruitori indiani che appartenevano a segmenti eterogenei di popolazione.

L’aumento del consumo di questo infuso in India da parte della gente locale è notevolmente aumentato negli ultimi settant’anni. Attualmente è possibile osservare nei pressi delle stazioni del Paese i numerosi esercizi commerciali, chioschi, venditori ambulanti, bancarelle che servono tè ai viaggiatori.

L’industria del tè è la seconda voce più importante dell’economia indiana dopo il turismo. L’ospitalità domestica ed ogni altro tipo d’accoglienza indiana è caratterizzata dall’offerta di questa bevanda.

Il Velo di Maya

Un concetto chiave per capire le filosofie indiane è quello di “velo di Maya”. Il termine Maya significa illusione, magia. Il filosofo tedesco Schopenhauer sosteneva che:

“È Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente.”

In altre parole, tutto ciò che ci circonda in realtà non esiste in forma percepibile, e se esiste, è distorto. La percezione che abbiamo delle cose non è reale bensì effimera e banale. Le filosofie orientali, a differenza di quelle occidentali che cristianizzano la diversità celando l’ignoto, non amano piangersi addosso e conservano molte tradizioni mistiche atte alla ricerca e alla comprensione di ciò che ci circonda.

Per gli indù, come per molti altri asiatici, la natura, l’arte e la magia conservano, a loro modo, dei gradi di realtà relativa, se non proprio assoluta.

Bharatanatyam: la danza sacra indiana

Il Bharatanatyam è una particolare danza sacra indiana di espressione spirituale come l’Odissi, il Khatak, Mohini Attam, Kuchipudi e il Khatakali.

In India tutte le forme d’arte hanno delle origini sacre e alludono ad una forma di devozione e adorazione più alta nei confronti del Divino, sia in ambito religioso che letterario.

Nelle coreografie prevalgono movimenti simmetrici e definiti; esse sono composte da una gran varietà di ritmi, elaborate espressioni del volto, gesti delle mani e movimenti del corpo con differenti articolazioni.

Secondo la tradizione, la danza Bharatanatyam nasce direttamente da Shiva Nataraja, il Signore dei danzatori. Egli, con la sua danza, crea tutto l’universo:

“Quando una danzatrice danza, una distinta tradizione letteraria e religiosa prende vita: essa esprime tramite il movimento del suo corpo, ciò che uno scrittore vuole descrivere attraverso le parole.”

La tradizione mitologica indiana, nel corso dei secoli, ha testimoniato che la danza è un’attività prettamente divina che le divinità stesse amano ammirare e a cui partecipano con un trasporto psicofisico, come se i danzatori fossero posseduti, avvolti dallo spirito divino che li guida.

Un passo del Vishnudharmottarapurana afferma a tale proposito:

“Quando qualcuno danza questo è considerato un atto rituale di adorazione della divinità; gli dei sono compiaciuti di tale atto più delle offerte di fiori e delle oblazioni.

Gioielli nell'antica India

I gioielli nell’antica India

I gioielli nell’antica India avevano una grande ricchezza e varietà di forme e di pietre. Per la loro produzione venivano abbondantemente impiegate le perle, la cui pesca era praticata fin dai tempi più remoti. Inoltre si utilizzavano frequentemente smalti e delle paste vitree.

Nel corso della storia dell’India furono diversi luoghi e le epoche in cui le condizioni generali favorirono lo sviluppo di una notevole varietà di gioielli.

Nelle regioni indiane e nei maggiori centri d’espansione, l’incastonatura, e la foratura delle gemme ebbero una rapida evoluzione. Il taglio invece tardò molto ad essere accettato. In Oriente infatti fino a tempi relativamente recenti si è sempre preferito lasciare, il più possibile, alla pietra la sua forma naturale.

Gioielli nell’antica IndiaIn generale nel corso della storia del gioiello indiano si succedettero varie influenze esterne al Paese. Ciò è riscontrabile nei reperti archeologici. Per esempio ci sono forti apporti stilistici provenienti dall’Iran achemenide e dall’antica Grecia ma anche dal buddismo e dall’islamismo.

Ciononostante queste influenze esterne non riuscirono ad intaccare profondamente i tradizionali e fondamentali caratteri della gioielleria indiana. In un primo momento tali influenze erano molto forti. Con il tempo, però, grazie ad un abilissimo artigianato indiano, ricco di risorse tecniche ed inventiva, si venne a creare uno stile autonomo di gioielleria di alto livello.

L’impiego molto diffuso di utilizzo delle tecniche della filigrana, dello sbalzo, dello smalto movimentava i supporti aurei delle pietre colorate contribuendo a creare intorno al gioiello un gioco di luci lampeggianti.

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Mango: una pianta legata all’India

Il mango è una pianta strettamente legata all’India. Avendo origini indiane, intorno al IV secolo a. C. grazie a dei monaci buddisti i semi di questa pianta, provenienti dall’India, vennero introdotti nella parte orientale dell’Asia. Esistono testimonianze archeologiche sulla presenza del mango risalenti a 5000 anni fa nell’area compresa tra l’India orientale ed il sud della Cina. Attualmente questa pianta è coltivata principalmente in tutti i Paesi tropicali e subtropicali. Il maggiore produttore resta però l’India.

Tutt’oggi nell’Induismo la figura della divinità Ganesha viene rappresentata con in mano questo frutto perfettamente maturo e che simboleggia perfezione. Le infiorescenze di mango vengono usate nei riti della dea Saraswati. Le foglie di mango vengono usate per decorare architravi e porte durante i matrimoni e le celebrazioni dei templi indù. Inoltre motivi a forma di mango sono ampiamente utilizzati in diversi stili indiani di tessitura. Il mango è il frutto nazionale dell’India, del Pakistan e delle Filippine.

Il mango viene festeggiato in Oriente con festival ed eventi. In India questo frutto ha una sua festa che si svolge in varie zone del Paese. Ad esempio nella città indiana di Ahmedabad per questa occasione ci sono bancarelle sparse per le strade della città da marzo a giugno di ogni anno, periodo che coincide con la stagione di maturazione del mango. Pare che attualmente in India ci sia ancora la tradizione, diffusa tra gli agricoltori che vogliono suggellare la propria amicizia, di organizzare cerimonie in cui due alberi di mango vengono uniti tra loro.

Loto

Loto: il fiore dell’Induismo

Nell’Induismo, questo modello floreale è associato alla prosperità, alla bellezza e all’eternità. Molte divinità infatti sono raffigurate con in mano un fior di loto o sedute in cima ad un tale esemplare e, in quanto simbolo stesso dello Yoga e della persona realizzata, esso è associato ai sette Chakra. Il settimo Chakra, che è quello più alto, rimanda al loto dai mille petali e corrisponde alla totale trasparenza e innocenza del cuore e della mente.

darshana