Quando si parla di Assolutismo o di periodo dell’assolutismo si fa riferimento ad una fase della storia europea continentale in cui il sovrano è considerato il fulcro dello Stato, con un potere centralizzato che può esercitare liberamente.
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Cosa significa Assolutismo?
La parola “assoluto” deriva dal latino ab solutus, ovvero sciolto. Dire che un monarca è assoluto significa dire che è sciolto, slegato dalle leggi del diritto positivo, cioè le leggi degli uomini. Il sovrano assoluto non doveva sottostare alle leggi dello Stato, solo a quelle di Dio. Generalmente l’Assolutismo si fa risalire al regno di Luigi XIV (1660-1715), detto il Re Sole, e termina invece con la Rivoluzione Francese, 1798. Queste date non vanno intese come termini definitivi, ma come punti di riferimento entro cui sul suolo europeo si è costruito un nuovo modello di Stato, lo Stato Assoluto.
Il termine “Assolutismo” però non è contemporaneo al fenomeno ma fu creato nel Settecento e diventò popolare nell’Ottocento per indicare i sistemi di governo precedenti alla Rivoluzione Francese. In origine aveva un’accezione negativa, che interpretava l’Assolutismo come un dominio arbitrario e incontrastato del re. In realtà la teoria assolutistica è più complessa di così e vede sì il re al centro dello Stato, ma non per questo libero di agire a proprio piacimento.
Cosa c’era prima dell’Assolutismo?
Oggigiorno, nell’immaginario comune, siamo abituati a pensare al potere del re come un potere centralizzato: il sovrano è colui che ha il potere di decidere le leggi, di disporre della vita e della morte dei suoi sudditi, di comandare l’esercito e così via. In realtà questa visione è falsata, soprattutto se facciamo riferimento ai sovrani medievali o della prima età moderna. Il concetto stesso di monarca, e del suo ruolo, era diverso da come è generalmente immaginato. Per questo la teorizzazione e poi la messa in pratica dell’Assolutismo rappresentano un elemento di novità.
Lo Stato premoderno era costituito da una pluralità di attori che dialogavano tra loro e scendevano a compromessi. Il ruolo del sovrano in questo contesto non era di fare nuove leggi secondo un progetto che voleva portare avanti, ma giudicare secondo un diritto già stabilito. Dobbiamo calarci in una realtà fortemente gerarchica e strutturata, in cui la prima cosa da rispettare è l’ordine naturale e farlo rispettare è compito del sovrano. Per citare Bartolo da Sassoferrato, un famoso giurista del XIV secolo: “Iurisdictio et potestas idem sunt”.
Un altro elemento che la nostra immagine falsata trascura è la rappresentatività. Ovviamente non dobbiamo intenderla nel senso contemporaneo, ma il sovrano doveva confrontarsi con delle assemblee rappresentative, cetuali o territoriali. Queste non si esprimevano sull’interesse generale, ma solo sul loro interesse. Lo stesso potere centrale si legittimava provvedendo a dare ad ognuno ciò che gli spettava, secondo il sopracitato ordine naturale.
Verso l’Assolutismo
Con il tempo l’equilibrio di poteri tendeva a favorire sempre più il monarca. In particolare, un passaggio importante si ha quando le assemblee cetuali, e questo accade un po’ in tutte le monarchie, acconsentono ad un’imposta militare permanente pretesa dal re e svincolata dal controllo delle assemblee. Che significa? Che il re ha il controllo di una forza armata ordinaria con cui può imporre la sua autorità. Ricordiamo che per Max Weber (1864-1920) lo Stato si caratterizza per avere il monopolio legittimo della coercizione fisica, cioè della violenza. Quindi il potere nelle mani del re si avvicina sempre più al potere proprio di uno Stato.
Chi sono i teorici dello Stato assoluto?
I principali teorici dell’assolutismo sono Jean Bodin (1529-1596) e Thomas Hobbes (1588-1679), le cui opere maggiori, in cui affrontano l’argomento, sono rispettivamente I sei libri dello Stato e Il Leviatano. Bisogna innanzitutto contestualizzare questi autori, che vivono nel periodo di rottura della cristianità occidentale, dopo la Riforma di Lutero e tutto ciò che ne consegue, guerre di religione comprese. In questo clima di scontri e intolleranza il ruolo del sovrano diventa sempre più contrale per gestire la situazione emergenziale.
Secondo Bodin: «Chi è sovrano, insomma non deve essere in alcun modo soggetto al comando altrui, e deve poter dare la legge ai sudditi, e cancellare o annullare le parole inutili in essa per sostituirne altre, cosa che non può fare chi è soggetto a leggi o a persone che esercitano potere su di lui»[1]
Il sovrano è l’unico interprete della legge, a cui non è soggetto. Ma ciò non significa che la sua volontà sia legge. Si deve sempre attenere alla legge naturale e alla volontà di Dio, a cui invece è soggetto. Neanche il re può fare ciò che vuole ma deve rispettare le “leggi fondamentali” ovvero il diritto consuetudinario, ad esempio non è in suo potere alienare i beni di Stato.
Hobbes compie, poi, un altro passo avanti. Da lui in poi si inizia a considerare il potere non più come qualcosa che discende da Dio, ma come frutto di un accordo tra uomini, di un patto. Molti aspetti della vita sociale vengono riletti come costruzioni umane, non naturali, e quindi “artificiali”. Lo stato naturale dell’uomo per Hobbes è uno stato di conflittualità e pericolo, riassunto nella famosa frase: homo homini lupus, “ogni uomo è lupo per l’altro uomo”. Per proteggersi gli uomini hanno quindi dato potere al Sovrano e si sono sottomessi a lui. Questa forma di protezione scelta dall’uomo, non più per causa divina, è la giustificazione dell’Assolutismo.
L’Assolutismo e Luigi XIV
Tra la seconda metà del Seicento e i primi decenni del Settecento si può notare nei sovrani europei una spinta accentratrice che cerca di concretizzare l’Assolutismo. Il tentativo più riuscito è quello di Luigi XIV, tanto da essere considerato il simbolo dell’Assolutismo.
Le politiche portate avanti dal Re Sole miravano ad accentrare nelle sue mani il controllo della burocrazia e dell’esercito, due aspetti che sono molto importanti per la gestione di uno Stato. Il fatto che un re si interessasse delle questioni di governo, anzi, che governasse egli stesso, era qualcosa di nuovo, diverso dal modo di procedere dei re precedenti, che di solito delegavano ai primi ministri. Così si spiega il grande potere di Stato affidato fino ad allora a personaggi come Richelieu o Mazzarino.
Un altro fronte importante per rimarcare la superiorità del potere regio era quello ecclesiastico. Come già accennato la questione religiosa non era solo un problema personale, ma collettivo. La religiosità in età moderna era molto più pubblica di oggi: aderire ad una religione significava appartenere ad un gruppo sociale diverso da un altro, spesso visto come gruppo rivale. In questo clima astioso Luigi XIV cercò di unificare il culto cattolico combattendo il giansenismo e gli Ugonotti.
Versailles: Simbolo dell’Assolutismo
La sfarzosa Reggia di Versailles rappresenta in concreto il potere raggiunto da Luigi XIV. Il Re Sole mise appunto una complicata etichetta di corte, ben studiata da Norbert Elias nel libro La società di corte[2], che serviva proprio a presentarsi come il fulcro attorno al quale ruotava non solo la corte regia, ma lo Stato stesso. Anzitutto costringendo i nobili a spostarsi nella Reggia con lui indeboliva il loro potere: per avere una posizione non potevano trovarsi nei luoghi che amministravano. Inoltre, erano in competizione tra loro per ricevere i favori e l’approvazione del re.
Quelli che potevano sembrare frivoli cerimoniali di corte erano in realtà il modo di Luigi XIV di tenere in mano la nobiltà, il suo primo rivale nella gestione dello Stato. Anche se probabilmente mai pronunciata, la celebre frase attribuita a lui “Lo Stato sono io” riassume bene ciò che Luigi XIV ha compiuto politicamente e Versailles era al contempo lo strumento e il simbolo di questo potere assoluto.
Il Settecento e l’Illuminismo
Nel Settecento, quasi paradossalmente, l’Assolutismo raggiunge la sua maturità. Durante il XVIII secolo si forma e si diffonde una nuova corrente culturale: l’Illuminismo, fondato sul primato culturale della ragione. Gli illuministi si scagliavano contro i privilegi di nascita, di status e il pregiudizio religioso, cioè la superstizione.
In campo politico l’Illuminismo criticava aspramente il regime tradizionale chiedendo un rinnovamento radicale delle istituzioni, a partire del sistema dell’Assolutismo. Uno dei bersagli preferiti della critica illuministica era il ceto nobiliare. Così come aveva fatto Luigi XIV, anche altri sovrani esautorarono i nobili dal portare avanti una propria politica indipendente, in questo modo però la nobiltà era diventata un peso per la società. Viveva nel lusso senza però partecipare al miglioramento della società, alimentando così un sistema di privilegi e sfruttamento.
Cos’è l’Assolutismo illuminato?
Tradizionalmente si indicava la seconda fase dell’Assolutismo come “dispotismo illuminato”, espressione usata in particolare dalla storiografia Ottocentesca. Oggi si tende a preferire “assolutismo illuminato”, per evitare la contraddittorietà che il termine “despotismo” solleva, dato che, come si è già detto, non si può parlare di un potere totale e volubile del sovrano.
I sovrani vengono incontro alle istanze dell’Illuminismo, attuando una serie di riforme volte a modernizzare lo Stato. Il sistema di riforme aveva tra gli obiettivi principali ridurre i privilegi del clero e della nobiltà, così come eliminare i residui di particolarismi feudali. Tra gli studiosi alcuni hanno parlato di un uso strumentale dell’Illuminismo da parte dei sovrani per indebolire la nobiltà e il clero e accentrare il potere, altri invece, hanno visto nell’Illuminismo un supporto ideologico per le riforme assolutistiche.
Comunque sia grandi sovrani illuminati come Caterina II di Russia, Federico II in Prussia, Maria Teresa d’Asburgo, Pietro Leopoldo in Toscana promossero riforme per rafforzare lo Stato. In particolar modo si affermò il giurisdizionalismo, ovvero quella dottrina politica che affermava la superiorità del potere statale su quello ecclesiastico. Un’altra tendenza trasversale era quella di modernizzare e accentrare la burocrazia. I sovrani illuminati migliorarono l’istruzione pubblica ed il regime fiscale, estendendo le tasse e iniziando ad istituire i primi catasti.
Anche se tali riforme migliorarono le condizioni di vita dei sudditi, questi erano sempre soggetti all’autorità del sovrano, che emanava sì le riforme ma in modo paternalistico. Anche se il potere regio non aveva più un’aura di sacralità i provvedimenti erano comunque considerati quelli di un padre di famiglia che si prende cura dei propri figli.
Quando finì l’Assolutismo?
Le riforme dei sovrani illuminati non bastarono però ad evitare il cambiamento senza precedenti che fu la Rivoluzione Francese. Per questo motivo il 1789 è considerato l’anno che pone fine al periodo dell’Assolutismo. Da qui in poi il suddito diventerà cittadino e il re perderà del tutto l’aura di sacralità che già si era indebolita. Ovviamente non sono cambiamenti che avvengono in un giorno né bisogna sottovalutare le novità che ha introdotto l’Assolutismo, ponendo le basi per le nuove teorie dello stato moderno.
Miriam Campopiano
Bibliografia e sitografia
- L. Mannori, Le istituzioni politiche dell’antico regime, in Storia delle Istituzioni politiche. Dall’antico regime all’era globale, (a cura di) M. Meriggi, L. Teodoldi, Roma, Carocci 2014.
- https://www.treccani.it/enciclopedia/assolutismo_%28Dizionario-di-Storia%29/
- https://www.treccani.it/enciclopedia/assolutismo_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/#:~:text=I%20maggiori%20teorici%20dell%27assolutismo,rappresentato%20da%20un%20Parlamento%20e
- M. Cattaneo, C. Canonici, A. Vittoria, Manuale di storia. Seconda edizione, Bologna, Zanichelli 2012
- Brancati, T. Pagliarini, Dialogo con la storia e l’attualità, Firenze, La Nuova Italia 2012
[1] Bodin J., I sei libri dello Stato (1576), 3 voll., a cura di M. Isnardi Parente, D. Quaglioni, Torino, UTET 1980.
[2] Cfr. N. Elias, La società di corte, Bologna, il Mulino 2006.