Giovanni Scoto Eriugena e le tre teologie nel De divisione naturae

Quest’oggi ho una chicca particolare per voi: parleremo di colui che è considerato da molti, tra cui annoveriamo anche il famoso medievalista Étienne Gilson – di chiare origini pugliesi; scherzo, era francese – il primo grande filosofo del Medioevo: Giovanni Scoto Eriugena.

Giovanni Scoto Eriugena tra le due teologie

Giovanni Scoto Eriugena
Il bellissimo Giovanni Scoto Eriugena, detto l’irlandese pazzo

Giovanni Scoto Eriugena (810 circa – 870 circa, cominciamo bene) era di origini irlandesi; scoto, infatti, era l’abitante della Scotia Maior, nome dell’Irlanda a quel tempo. Inoltre, siccome essere irlandesi era figo in quel periodo, egli si firmava appunto Eriugena, cioè nato in Irlanda; la sua maggiore opera è De divisione naturae (la divisione della natura) ed è una parte di essa che prenderemo ora in considerazione. No, tutta no perché così ho deciso.

Uno degli elementi chiave di questo testo è la distinzione tra teologia affermativa e teologia negativa: di che stiamo parlando?

(…) se uno comincia a discuterne (della possibile predicazione delle categorie a Dio, NdA), necessariamente arriverà a conclusioni verosimili in molti modi e con molte argomentazioni, usando le due parti principali della teologia: affermativa (…) e negativa (…).

La teologia affermativa o catafatica – non è una parolaccia; dal greco καταϕατικός, catafaticòs, cioè affermativo – attribuisce a Dio i nomi contenuti nelle Sacre Scritture; lo definiamo, quindi, buono, giusto, vivente, saggio e così via. Quando, però, ci rendiamo conto dell’enorme distanza di Dio rispetto alle cose del mondo allora capiamo che non siamo in grado di attribuirgli alcun predicato; in altre parole, non possiamo descriverlo. Siamo scemi, Dio è troppo oltre per noi; che fare? Possiamo – anzi dobbiamo – ricorrere all’opposto della teologia affermativa: ci serviremo dunque della teologia negativa. Questa teologia, detta anche apofatica – sempre dal greco, ἀποϕατικός, apofatico, cioè negativo – secondo Giovanni Scoto Eriugena “nega che la divina essenza o sostanza sia una delle cose che sono, ossia che si possono esprimere o intendere”. In sostanza, tale teologia nega tutti quei predicati che precedentemente avevamo attribuito a Dio. Questa distinzione tra teologie, per così dire, non è un’invenzione di Giovanni Scoto Eriugena: costui l’ha ripresa da Dionigi Aeropagita – di cui forse parleremo poi o forse no.

Giovanni Scoto Eriugena
Dio, molto provato da queste continue discussioni sulla Sua natura, espelle maestro e discepolo

Linguaggio metaforico: perché?

Già la teologia affermativa si serve di un linguaggio analogico, si limita difatti a predicare di Dio ciò che da Dio deriva senza affermare nulla in positivo su di Lui: calmi, non è uno scioglilingua. Il principio cui facciamo riferimento è quello secondo cui la causa – Dio – contiene in sé la ragione dei suoi effetti – ovvero la motivazione, il perché, di ciò che crea o produce; insomma Dio è, sì, origine di ogni essere ma bisogna fare molta attenzione a non confonderlo con un essere qualsiasi. Così facendo, si cadrebbe nell’errore di antropomorfismo che già fu dei pagani, come i greci o i romani, i quali attribuivano a Dio predicati anche volgari – pensate, ad esempio, che Dioniso, il Bacco dei Romani, veniva definito anche folle o ubriaco. Provate ad entrare in chiesa dicendo che Dio è ubriaco, poi venite a dirmi che succede.

Ma come mai gli attributi sublimi – buono, giusto, sapiente – hanno anch’essi un significato metaforico? Giovanni Scoto Eriugena chiede al suo discepolo:

(…) vorrei che tu mi dicessi se puoi pensare qualcosa di opposto o di necessariamente connesso con Dio. Dico opposto o per privazione o per contrarietà o per relazione o per assenza; intendo poi per «connesso necessariamente con Dio» qualcosa che si pensi essere insieme eternamente con Lui, pur senza essergli coessenziale.

La risposta al primo quesito trae origine dalla filosofia neoplatonica: bisogna fare distinzione tra ciò che è nel tempo e l’eterno. Ci siete ancora? Gli opposti indicano cose che “insieme cominciano ad essere e smettono di essere”, soggetti quindi al divenire; al contrario, l’eternità indica l’essere come principio e fine di tutte le cose. Dio, ovviamente, non è nel tempo ma è eterno e nulla gli si può opporre. Per quanto riguarda la seconda domanda, se ciò che è eterno insieme a Dio non facesse parte anche della Sua essenza avremmo un secondo Dio, un altro principio dell’essere e così all’infinito con un sacco di Dei e un nulla come causa di tutti gli esseri; e questa è una cosa molto brutta nonché in contrasto con la metafisica greca.

Ecco la terza teologia: quella superlativa

Abbiamo parlato delle due teologie; ma come si conciliano queste due? Rullo di tamburi: Giovanni Scoto Eriugena ci dice che la teologia simbolica è la chiave! Essa è anche detta superlativa non perché sia bellissima ma perché si parla di superlativi: a Dio si attribuiscono la super-essenza, la super-bontà, la super-sapienza e così via. In tal modo si supera, in Dio, qualsivoglia opposizione e si conciliano le due teologie in quanto quella affermativa sostiene sia possibile chiamare Dio metaforicamente in un tal modo anche se non ci specifica questo modo; la seconda, la teologia negativa, afferma che Dio non è esattamente in quel determinato modo anche se, metaforicamente, può indicarsi così. I due procedimenti, grazie alla teologia superlativa, si rafforzano a vicenda.

Spero che anche voi siate riusciti a conciliarvi senza particolari danni: se non siete impazziti tra le teologie, pensate a quanto tempo rimarremo ancora nel medioevo filosofico. Non siete contenti?

Luigi Santoro

Fonti

Fonte immagine in evidenza

Fonte immagini media I; II

Fonte citazioni: Giovanni Scoto Eriugena, De divisione naturae