I complottisti, cioè i sostenitori delle teorie del complotto sono ormai al centro del dibattito pubblico. Negazionisti dei cambiamenti climatici o della pandemia COVID-19, no-vax, oppositori del 5G, estremisti di varia estrazione politica. Ognuno ritiene che ci siano verità nascoste che vanno portate alla luce o macchinazioni ai danni della popolazione. Ma qual è la psicologia alla base del complottismo? Davvero riguarda solo paranoici e creduloni? Nel libro Menti sospettose. Perché siamo tutti complottisti, Rob Brotherton, studioso delle teorie del complotto, analizza il fenomeno da un punto di vista psicologico. La sua tesi: in potenza, siamo tutti complottisti.
Indice dell'articolo
Che cos’è una teoria del complotto? L’analisi di R. Brotherton
Innanzitutto, bisogna chiarire di cosa si parla, quando si parla di complottismo. Le teorie del complotto sono numerose ed eterogenee, ma è possibile indicarne dei tratti comuni. Solo delineando queste caratteristiche diventa possibile studiare il fenomeno da una prospettiva psicologica.
Se consideriamo i complotti solo come ipotesi infondate, non riusciamo a tracciarne un quadro generale. Brotherton suggerisce piuttosto di considerarle teorie che, costitutivamente, non possono essere provate. I complotti reali, una volta smascherati, finiscono sui giornali e i libri di storia. Le teorie del complotto, invece, alludono a verità nascoste che possono essere intuite, ma mai portate del tutto alla luce. Si tratta quindi di questioni irrisolte.
Il secondo punto ha a che fare con la veridicità delle “versioni ufficiali”. I complottisti mettono in discussione l’autorità del governo e degli organi d’informazione. Per loro, nulla è come appare. Le spiegazioni propinate all’opinione pubblica sono una copertura ad una presunta realtà dei fatti.
Il bersaglio della teoria del complotto, il nemico che trama nell’ombra, è sempre capace di portare avanti i propri piani. Ogni evento è pianificato nei minimi dettagli e non esistono incidenti di percorso. Il cospiratore ha tutto sotto controllo.
Infine, i complottisti si investono del ruolo di investigatori capaci di collegare i punti e notare anomalie. In genere, rispetto agli scettici, raccolgono un numero molto maggiore di dati. Ciò li induce a cercare e trovare ogni incongruenza, che diventa subito un indizio rivelatore. Oppure, se le prove sono insufficienti o la teoria viene confutata, è proprio per nascondere un complotto in atto. Seguendo questa linea, il complotto diventa così inconfutabile.
Perché siamo tutti complottisti?
Ciò che fanno i complottisti non è sbagliato in termini assoluti. Mettere in discussione ciò che ci viene detto o pretendere chiarezza su questioni ambigue è perfettamente legittimo. Il problema sorge quando si mette questo desiderio al servizio di spiegazioni universali. La storia ci insegna che è improbabile che tutto dipenda da un unico disegno, prodotto dalla volontà di pochi. La tendenza complottista a dare un senso a qualsiasi cosa è stata infatti considerata una dipendenza. Generalmente colpisce persone con bassa autostima, ansia, alienazione dal contesto sociale.
Una lettura patologica del complottismo non è però molto esaustiva poiché la maggioranza dei complottisti vivono normalmente in società. Sviluppare comportamenti antisociali o basare la propria vita su una teoria del complotto non rispecchia la maggioranza dei complottisti. Gli eventi del 6 gennaio negli USA sono un’eccezione che vede coinvolte frange estremiste di questi gruppi.
Brotherton preferisce quindi descriverlo come un fenomeno comune, che può riguardare chiunque. I meccanismi coinvolti sono infatti radicati nell’evoluzione della nostra specie e rispondono a esigenze volte alla sopravvivenza. Per quanto la tesi dell’autore sia volutamente provocatoria, tenta di spostare il discorso sul complottismo in una direzione più proficua. Deridere o smontare le teorie del complotto non porta lontano. È opportuno interrogarsi sui meccanismi neurologici e psicologici sottesi ad esse. Complottisti o meno, scopriamo così che applichiamo tutti gli stessi processi mentali per orientarci nel mondo e formare le nostre convinzioni.
Senza scadere nella paranoia o nell’ossessione, tutti abbiamo creduto a qualcosa senza raccogliere prove concrete. È come se il nostro cervello prendesse delle scorciatoie, consolidando delle credenze che non abbiamo mai davvero messo alla prova. Vediamo quali sono i principali meccanismi che, spesso inconsapevolmente, mettiamo in atto.
Psicologia del complottismo
Ordine nel caos
Un fenomeno rivelatore è la capacità del nostro cervello di individuare pattern e fare ordine nel caos. Il triangolo di Kanizsa ne è un esempio lampante. Nonostante si tratti di un insieme di figure geometriche incomplete, subito individuiamo due triangoli equilateri sovrapposti. La nostra capacità di individuare schemi e collegamenti in tempi brevi è sempre stata un ottimo mezzo per riconoscere pericoli o collegare cause ed effetti.
Oggi più che mai, orientarsi nel mondo è molto complicato. Se dovessimo vagliare ogni elemento passeremmo le giornate a leggere e informarci. La nostra mente ci aiuta quindi a colmare i vuoti, tramite le nostre esperienze e conoscenze, per rendere organica la nostra visione del mondo.
In questo ci aiuta anche la nostra capacità innata di dedurre le intenzioni del prossimo. Spesso ci basta uno sguardo per capire cosa sta pensando una persona. Intuire e capire le intenzioni degli altri è ciò che rende possibile qualsiasi interazione sociale.
Bias e pregiudizi
Tuttavia, non è sempre detto che riusciamo a intuire le intenzioni nel modo giusto. Tendiamo a illuderci che tutti la pensino come noi, fraintendendo le azioni altrui. Inoltre, a volte scorgiamo intenzioni anche dove non ce ne sono. Per spiegarci eventi poco chiari, ipotizziamo che siano guidati da uno specifico disegno, anche quando esso non sussiste. Cadiamo così in un pregiudizio di intenzionalità.
Non è l’unico caso in cui maturiamo convinzioni erronee o abbiamo una percezione sfalsata delle nostre reali conoscenze. Il pregiudizio (o bias) di conferma può darci l’impressione di valutare le cose oggettivamente. In realtà, stiamo solo cercando conferme a ciò di cui siamo già convinti.
Alcuni studi hanno anche dimostrato che, quando ci siamo già formati un’opinione su un argomento, è difficile cambiarla. Se abbiamo prove contrastanti riguardo ad una certa tesi, spesso non le valutiamo oggettivamente. Il pregiudizio di assimilazione ci spinge a valorizzare ciò che assomiglia di più alle conoscenze che abbiamo già.
Tutti questi meccanismi ricalcano bene l’atteggiamento dei complottisti. La ricerca di coincidenze significative da notare e collegare, come la tendenza a attingere informazioni sempre dalle stesse fonti, è ciò che rende così difficile dissuadere un teorico del complotto. Ma in realtà, sono habitus psicologici universali. Siamo tutti poco inclini a mettere in discussione le nostre convinzioni, qualsiasi esse siano, o accettare prove che le smentiscano del tutto. Formalmente, ragioniamo e ci comportiamo in modo analogo ai complottisti che tanto biasimiamo.
Viviamo nell’era dei complottisti? Un esempio di no-vax del passato
Secondo Brotherton, è opportuno inoltre sfatare un mito: non viviamo nell’epoca dei complotti. È frequente infatti la domanda “come mai al giorno d’oggi ci sono tutti questi complottisti?”, e spesso si additano i social network di essere responsabili dell’apparente esplosione di complottismo negli ultimi anni.
I politologi Uscinski e Parent (2015) hanno mostrato invece che le teorie complottiste sono una costante che subisce rare oscillazioni. È probabile che la rete abbia reso il fenomeno più evidente e riconoscibile. Tuttavia, sfogliare un libro di storia aiuta a guardare le cose in prospettiva.
Dall’antica Roma alla propaganda nazista sui Protocolli dei Savi di Sion, i secoli abbondano di teorie del complotto. Non è poi difficile individuare alcuni topoi come la paura di piani nascosti, di associazioni segrete che controllato le sorti del mondo o di incidenti insabbiati per celare verità scomode.
Esemplare è l’ondata di anti-vaccinisti che si ribellò alla somministrazione del primo vaccino della storia. Nel 1796, il medico inglese Edward Jenner scoprì il vaccino contro il vaiolo. La scoperta avvenne grazie all’osservazione di persone che avevano contratto il vaiolo bovino (da ciò il termine “vaccino”, dal latino vaccinus, “di vacca”) e risultavano immuni al vaiolo umano. Nei primi anni dell’800, la pratica della vaccinazione era già ampiamente diffusa.
I problemi iniziarono quando il governo inglese rese obbligatoria la vaccinazione. Così come oggi i no-vax sostengono che i vaccini contengono sostanze tossiche, causano autismo e servono a far arricchire le case farmaceutiche, all’epoca si additava il vaccino come inutile, una truffa o addirittura un composto di “veleno di vipera, sangue, interiora ed escrementi di pipistrelli, rospi”. Né mancava un certo scetticismo sulla malattia stessa, ritenuta uno strumento per ottenere fama e controllare le persone.
Nel 1900, esistevano circa duecento gruppi contrari al vaccino in Inghilterra e due anni prima il governo era stato costretto a concedere la possibilità di non fare la vaccinazione.
Complottismo e storytelling
Il fascino che il complottismo esercita su molte persone dipende anche dalla forza delle grandi narrazioni, capaci di dare un senso al mondo. C’è un archetipo narrativo in paricolare che ci influenza profondamente: la lotta del bene contro il male.
Secondo il giornalista Christopher Booker, le storie possono essere ridotte a sette strutture di base. In questo caso, ci interessa quella chiamata “sconfiggere il mostro“. Come illustra Brotherton, è un archetipo che ritroviamo in molte saghe mitiche, come quella di Gilgamesh o Beowulf. Si articola così: la tranquillità iniziale viene turbata dalla presenza o dall’arrivo di un mostro e l’ordine viene ristabilito solo con la sua sconfitta.
Il complottismo segue schemi del tutto analoghi. Prendiamo l’esempio di David Icke. Secondo Icke, l’umanità era sempre stata in pace e in armonia con la natura. Ma ad un certo punto è apparsa una razza di alieni mutaforma, i Rettiliani (o Arconti). Per nutrirsi dei sentimenti negativi delle persone, i rettiliani hanno segretamente sottomesso l’umanità, prendendo il controllo del nostro mondo. Il loro dominio, però, può essere spezzato portando alla luce delle loro manipolazioni. Solo così l’umanità potrà di nuovo vivere in pace.
Il fatto sorprendente è che la “saga” dei rettiliani non attira solo i complottisti più incalliti. Icke coinvolge un vasto pubblico, arrivando a riempire spazi come la Wembley Arena di Londra. La ragione è da rintracciare nella sua capacità di toccare archetipi narrativi profondamente inscritti nella cultura umana. Non solo, fa anche sentire ognuno protagonista di una grande lotta contro il male. La teoria di QAnon sfrutta meccanismi simili. Ognuno può contribuire a portare alla luce e fermare l’ultima incarnazione del male, una setta di pedosatanisti che uccidono bambini e controllano il mondo.
I complottisti sono gli ultimi illuministi?
Numerose ricerche hanno dimostrato che il complottismo non dipende dal grado d’istruzione o dal QI. Lo stereotipo del complottista oscurantista e ignorante non è una buona chiave di lettura.
Al contrario, queste teorie hanno spesso un elevato grado di complessità e avanzano una pretesa di valore scientifico. Chi le sostiene, lo fa alla luce di ricerche approfondite. Al pari degli illuministi, i teorici del complotto mettono in discussione l’ordine costituito e il sapere ortodosso.
Il loro obiettivo è la ricerca della verità in modo autonomo. Basta citare l’opera di Kant sull’illuminismo per notare la somiglianza: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!“.
Il problema, come rilevano gli studiosi Fleming e Jane (2014), è che i tempi sono cambiati. Prima dell’età dei lumi era la Chiesa a controllare gran parte del sapere ortodosso e le conoscenze tecnico-scientifiche erano relativamente ristrette. Uscire dalla “stato di minorità” e proclamarsi pensatori del tutto autonomi era una scelta più accessibile.
Con la specializzazione dei saperi, oggi ci affidiamo sempre più a professionisti del settore. Più passa il tempo e più ci sentiamo in balìa di ciò che dicono gli esperti, senza poterci formare opinioni indipendenti. L’orizzonte complottista offre la possibilità di recuperare quest’autonomia intellettuale, senza dipendere da ciò che dicono gli altri.
Inoltre, il fatto che molte teorie complottiste siano chiaramente frutto dell’immaginazione non significa che i complotti non esistano. Restare vigili e cercare indizi di macchinazioni segrete che sfuggono alla maggioranza non è un atteggiamento da biasimare in sé. Proprio una lettura eccentrica e originale dei fatti può portare a scoperte inaspettate.
Capire il complottismo
Il complottismo è dunque un fenomeno complesso, che attraversa le epoche storiche ed è radicato nei nostri meccanismi psicologici. Liberarsene come se fosse un’epidemia recente è un approccio non solo inefficace, ma che fraintende la natura stessa della questione.
L’obiettivo della ricerca di Brotherton è l’abbandono della netta distinzione tra chi è complottista e chi non lo è. Indubbiamente le teorie del complotto con derive pericolose e problematiche vanno tenute d’occhio e arginate. Tuttavia, la soluzione non è demonizzare un fantomatico spettro complottista. Guardare con sdegno i complottisti può creare l’illusione di essere sempre razionali nelle proprie valutazioni. Le ricerche psicologiche dimostrano invece l’esatto contrario.
Complottista o meno, nessuno dovrebbe sentirsi assolto dal rischio di cadere in convinzioni infondate ed erronee. È necessario invece avere maggiore consapevolezza di come formiamo le nostre convinzioni.
Giovanni Di Rienzo
Bibliografia
- Menti sospettose. Perché siamo tutti complottisti, R. Brotherton, Bollati Boringhieri, Torino 2017
- American conspiracy theories, J. Uscinski & J. Parent, Oxford University Press 2014
- Modern Conspiracy – The importance of being paranoid, C. Fleming & E. Jane, Bloomsbury USA Academy 2014