La visione dualistica dell’individuo, che si sublima nelle celebri parole («Due anime, ahimè, albergano nel mio petto!») pronunciate dal Faust di Goethe, conosce già dagli inizi del Novecento un inesorabile declino. Lo sa bene Pirandello, che meticolosamente analizza le innumerevoli fratture dell’interiorità; lo sa altrettanto bene Hermann Hesse, che nel suo Lupo della steppa stigmatizza peraltro la sopracitata asserzione goethiana. Due anime sono fin troppo poche, e l’uomo può unicamente vantarsi d’unità del corpo: ciò che vi risiede all’interno è, per contro, plurima confusione. Empiricamente conscio dell’interna spaccatura umana, Fernando Pessoa (1888 – 1935) coniuga lo spazio letterario al concreto con seminale coerenza.
Cultura inglese ed occultismo
La vita dell’uomo Pessoa appare, a detta di Octavio Paz, «irreale rispetto alla realtà della sua finzione» (della quale si tratterà ampiamente nel prossimo paragrafo); alcuni interessi che colgono l’autore nel quotidiano plasmano tuttavia il suo operato e ne permettono una seppur parziale contestualizzazione.
La formazione anglosassone avuta durante la permanenza giovanile a Durban è indubbiamente elemento caratterizzante. La tensione drammatica sospesa tra Milton e Shakespeare, così come l’enigmaticità gotica di Poe ed il surrealismo di Coleridge si ripropongono costantemente nelle carte pessoane, pregne in particolare di lavori di saggistica e traduzione.
Tale esplicita disposizione verso la lingua e la letteratura inglese è pertanto elemento di quotidianità per Pessoa, che esercita la professione di «corrispondente straniero in imprese commerciali», come egli stesso dichiara in alcuni cenni autobiografici stesi nel 1935. Ciò non confluisce affatto, tuttavia, in una perdita d’identità nazionale e culturale: nella raccolta poetica Messaggio, l’enfasi sulla storia del Portogallo e sulla sua futura rinascita spirituale avviene con processualità descrittive a tratti vicine all’esperienza gnostica.
Impossibile è, difatti, tralasciare la componente esoterica che colloca Pessoa su un particolare sentiero che pochi altri, come Yeats, hanno percorso (seppure con diverse modalità). Cultore della «Tradizione Segreta del Cristianesimo» e correlato alla Rosa Croce e alla Massoneria, Pessoa è nei suoi scritti soggettivista e certo astruso; preserva e valorizza, eppure, il fascino di un sapere oscuro, che ben si adegua alla sua ottica nazionalistica.
Gli eteronimi: la finzione di Pessoa
Nonostante le tracce rade e disperse che lascia in vita al grande pubblico, la produzione letteraria di Pessoa è quanto mai prolifica. Non molti scritti, tuttavia, sono a suo nome: l’innovazione dell’autore risiede difatti nell’utilizzo degli eteronimi, identità edificate ex novo e caratterizzate in modo da divenire completamente autonome artisticamente rispetto all’autore stesso.
Contrariamente al distacco che può offrire uno pseudonimo (si ricordi, ad esempio, l’ironia pseudonimica di Kierkegaard), l’eteronimo è di fatto completamento ed annichilimento dello scrivente in personalità ben delineate, nel caso di Pessoa addirittura con dettagliate biografie, complete con date di nascita e morte.
Álvaro de Campos, il più preminente eteronimo pessoano, si spinge nel suo iter poetico dal dinamismo di Marinetti e Whitman, notabile nell’Ode marittima, al nichilismo di Tabaccheria:
Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.
Ma fanno capolino anche Alberto Caeiro, magister rigorosamente anti-metafisico di tutti gli eteronimi; Ricardo Reis, monarchico e classicista, che si stabilisce in Brasile a seguito della proclamazione della Repubblica in Portogallo, e la cui data di morte non viene specificata (José Saramago colmerà a suo modo la lacuna col romanzo L’anno della morte di Ricardo Reis); António Mora, il cui fervente paganesimo che sconfina in follia pare addirittura porsi l’obiettivo di sovrastare Nietzsche.
Il Pessoa ortonimo, autore del già menzionato Messaggio e di altre opere (alcune incompiute) quali Il marinaio, s’inserisce appieno in quest’affollata moltitudine serbando soprattutto la propensione mistica e patriottica dell’uomo Pessoa. Dall’ortonimo si dirama inoltre la figura di Bernardo Soares, impiegato d’ufficio ed autore del Libro dell’inquietudine, vero e proprio zibaldone inorganico intriso di esistenzialismo.
La finzione di cui Pessoa si riconosce fautore non è meramente scenica, ma attraversa i confini della metatestualità fino ad abbattere le convenzioni che muovono il quotidiano. Scrive egli stesso, in una delle sue poesie più celebri:
Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
Riprendendo la critica di Paz, «il Poeta è un uomo vacuo che, nella sua impotenza, crea un mondo per scoprire la sua reale identità»: e Pessoa, nella sua finzione dissimulata, si ritrova ad essere quello stesso Nulla che tenta, forse riuscendoci, di esternare.
Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.
Ma fingi senza fingimento.
Non sperare niente che già in te non sia,
ognuno con se stesso è triste.
Ha il sole se c’è sole, rami se i rami cerchi,
fortuna, se fortuna è data.(6.4.1933)
Pierluigi Patavini