Il “Somnium Scipionis” nel De Republica di Cicerone

Il Somnium Scipionis (“Il sogno di Scipione”) è l’ultima parte del sesto libro dell’opera De Republica di Cicerone, un dialogo che ha come principale argomento la tematica politica.

Questa sezione tratta, in modo particolare, il sogno di Scipione l’Emiliano, famoso generale e politico romano, che rievoca il suo avo Scipione l’Africano. Quest’ultimo gli mostra, dall’alto del cielo, la piccolezza e l’insignificanza di tutte le cose umane e gli mostra la beatitudine, nell’aldilà, delle anime dei grandi uomini di Stato.

Trama del Somnium Scipionis

Da un punto di vista narrativo, il Somnium Scipionis è un unico flash-back: Scipione l’Emiliano racconta un sogno che aveva fatto vent’anni prima, quando era ospite alla corte del re numida Massinissa. Quest’ultimo aveva ricordato i detti e le imprese del suo benefattore, Scipione l’Africano, nonno adottivo dell’Emiliano.

Durante il sogno, probabilmente per la viva suggestione dei discorsi fatti, all’Emiliano era comparsa la figura dell’avo che, nell’alto dei cieli, gli aveva illustrato l’assetto dell’universo.

Il sogno si conclude con la deduzione che il cielo, la Via Lattea, è il premio che attende gli uomini di Stato: lì godranno della vita beata.

L’inizio del Somnium Scipionis: la visita a Massinissa

Scipio: “Cum in Africam venissem M.’ Manilio consuli ad quartam legionem tribunus, ut scitis, militum, nihil mihi fuit potius, quam ut Masinissam convenirem regem, familiae nostrae iustis de causis amicissimum. Ad quem ut veni, complexus me senex collacrimavit aliquantoque post suspexit ad caelum et: ‘Grates’, inquit, ‘tibi ago, summe Sol, vobisque, reliqui Caelites, quod, antequam ex hac vita migro, conspicio in meo regno et his tectis P. Cornelium Scipionem, cuius ego nomine ipso recreor; ita numquam ex animo meo discedit illius optimi atque invictissimi viri memoria.’ Deinde ego illum de suo regno, ille me de nostra re publica percontatus est, multisque verbis ultro citroque habitis ille nobis consumptus est dies.

(Scipione disse): «Quando giunsi in Africa in qualità di tribuno militare, come sapete, presentandomi agli ordini del console Manio Manilio alla quarta legione, non chiedevo altro che incontrare Massinissa, un re molto amico della nostra famiglia, per fondati motivi. Non appena mi trovai al suo cospetto, il vecchio, abbracciandomi, scoppiò in lacrime; poi, dopo qualche attimo, levò gli occhi al cielo e disse: “Sono grato a te, Sole eccelso, come pure a voi, altri dèi celesti, perché, prima di migrare da questa vita, vedo nel mio regno e sotto il mio tetto Publio Cornelio Scipione, al cui nome mi sento rinascere; a tal punto non è mai svanito dal mio cuore di quell’uomo eccezionale e davvero invitto”. Quindi io gli chiesi notizie del suo regno, egli mi domandò della nostra repubblica: così tra le tante parole spese da parte mia e sua, trascorse quella nostra giornata».

Il significato dell’introduzione

L’introduzione serve come cornice, funzionale per poter inquadrare i fatti straordinari successivi, come il sogno e la visione celeste. A narrare è Scipione Emiliano nel 129 a.C., che, con l’espediente del flash-back, tratta un fatto accaduto vent’anni prima; quando era ancora tribuno militare, Scipione l’Emiliano venne accolto al palazzo regale di Cirta, in Numidia.

somnium scipionis
Publio Cornelio Scipione Emiliano

L’anziano re Massinissa si era legato già precedentemente alla famiglia degli Scipioni, all’epoca della seconda guerra punica, in particolare con Scipione l’Africano, nonno dell’Emiliano.

Per tale motivo, dal punto di vista della voce narrante, ossia quella di Scipione, Massinissa viene presentato come una sorta di “vecchio saggio“. L’atmosfera è molto calorosa ed intima, perché a legare Massinissa agli Scipioni non è un semplice legame di amicizia politica, ma anche di profonda ammirazione.

Forte è, inoltre, la contrapposizione tra la repubblica romana e il regno di Massinissa. Gli aggettivi “suo”, riferito a “regno”, e “nostra”, riferita a “repubblica”, non fanno altro che confermare ancora di più la differenza di sistema politico tra queste due realtà.

La caratteristica di Massinissa, che guarda verso il cielo e fa riferimento al Sole, inteso come divinità, inizia ad anticipare una tendenza che sarà tipica di tutta l’opera. La decisione di puntare verso il cielo è da intendersi come volontà di prendere le distanze dalle questioni umane e politiche della terra. La scelta di questa visione e ricerca distaccata dalla terra è un tentativo di idealizzazione della funzione del cittadino ed una ricerca del Bene dello Stato.

Tale motivo di idealizzazione è da unire anche con il tentativo di elogiare la famiglia degli Scipioni, ovviamente.

La visione celeste

«Quam cum magis intuerer: ‘Quaeso,’ inquit Africanus, ‘quousque humi defixa tua mens erit? Nonne aspicis, quae in templa veneris? Novem tibi orbibus vel potius globis conexa sunt omnia, quorum unus est caelestis, extimus, qui reliquos omnes complectitur, summus ipse deus arcens et continens ceteros; in quo sunt infixi illi, qui volvuntur, stellarum cursus sempiterni. Cui subiecti sunt septem, qui versantur retro contrario motu atque caelum. Ex quibus summum globum possidet illa, quam in terris Saturniam nominant. Deinde est hominum generi prosperus et salutaris ille fulgor, qui dicitur Iovis; tum rutilus horribilisque terris, quem Martium dicitis; deinde subter mediam fere regionem Sol obtinet, dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et temperatio, tanta magnitudine, ut cuncta sua luce lustret et compleat. Hunc ut comites consequuntur Veneris alter, alter Mercurii cursus, in infimoque orbe Luna radiis solis accensa convertitur. Infra autem iam nihil est nisi mortale et caducum praeter animos munere deorum hominum generi datos; supra Lunam sunt aeterna omnia. Nam ea, quae est media et nona, Tellus, neque movetur et infima est, et in eam feruntur omnia nutu suo pondera».

«Poiché guardavo la terra con più attenzione, l’Africano mi disse: “Posso sapere fino a quando la tua mente rimarrà fissa sulla terra? Non ti rendi conto a quali spazi celesti sei giunto? Eccoti sotto gli occhi tutto l’universo compaginato in nove orbite, anzi, in nove sfere. Una sola di esse è celeste, la più esterna, che abbraccia tutte le altre: è il dio sommo che racchiude e contiene in sé le restanti. In essa sono confitte le sempiterne orbite circolari delle stelle, cui sottostanno sette sfere che ruotano in direzione opposta, con moto contrario all’orbita del cielo. Di tali sfere una è occupata dal pianeta chiamato, sulla terra, Saturno. Quindi si trova quel filgido astro – propizio e apportatore di salute per il genere umano – che è detto Giove. Poi, in quei bagliori rossastri che tanto fanno tremare la terra, c’è il pianeta che chiamate Marte. Sotto, quindi, il Sole occupa la regione all’incirca centrale: è guida, sovrano e regolatore degli altri astri, mente e misura dell’universo, di tale grandezza, che illumina e avvolge con la sua luce tutti gli altri corpi celesti. Lo seguono, come compagni di viaggio, ciascuno secondo il proprio corso, Venere e Mercurio, mentre nell’orbita più bassa ruota la Luna, infiammata dai raggi del Sole. Al di sotto, poi, non c’è ormai più nulla, se non mortale e caduco, eccetto le anime, assegnate per dono degli dèi al genere umano; al di sopra della Luna tutto è eterno. La sfera che è centrale e nona, ossia la Terra, non è infatti soggetta a movimento, rappresenta la zona più bassa e verso di essa sono attratti tutti i pesi, per una forza che è loro propria».

Commento alla rappresentazione del sistema planetario del Somnium Scipionis

Interessante, dal punto di vista lessicale, in questo passo del Somnium Scipionis, è il termine templa, da intendersi nel senso etimologico: templum (dal greco τέμνω, “io taglio”) indica, in origine, lo spazio celeste delimitato dall’augure per gli auspici, poi l’edificio sacro. In entrambi i casi, comunque, conserva l’aspetto della sacralità.

In questo passo si sottolinea la piccolezza dell’essere umano, da un’ottica distaccata, e la grandezza invece dell’Universo, governato da un Λόγος, principio razionale. Si cerca di sottolineare le influenze degli astri sulla vita dell’uomo, il cui libero arbitrio e volontà non possono non essere contrastate da queste forze imprevedibili e superiori.

Altri due elementi centrali, dal punto di vista lessicale, sono i termini latini orbis, “cerchio”, e globus, “sfera”. Le due parole corrispondono al greco κύκλος, “cerchio” (si veda, per esempio, l’ἀνακύκλωσις – la teoria dell’evoluzione ciclica dei regimi politici – di Polibio) e σφαι̑ρα, “sfera”, come la palla con cui giocano Nausicaa e le ancelle nel libro VI dell’Odissea:

[vv. 99-101]: «αὐτὰρ ἐπεὶ σίτου τάρφθεν δμῳαί τε καὶ αὐτή,
σφαίρῃ ταὶ δ᾽ ἄρ᾽ ἔπαιζον, ἀπὸ κρήδεμνα βαλοῦσαι:
τῇσι δὲ Ναυσικάα λευκώλενος ἤρχετο μολπῆς».

[vv. 99-101]: «Quando furono sazie di cibo le ancelle e lei stessa,
gettarono via i veli dal capo e giocavano a palla:
fra loro Nausicaa dalle bianche braccia guidava il canto».

Lorenzo Cardano

Bibliografia e sitografia:

  • Cicerone, Il sogno di Scipione, Garzanti
  • http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Homerus/Odyssea06.htm per il testo in greco dell’Odissea