Sono pochi i gladiatori più famosi dell’antica Roma che sono entrati nella storia. Scopriamo l’origine di questi combattenti e i loro esponenti più famosi.
I giochi gladiatori sono ricollegabili ai cosiddetti munera; spettacoli pubblici finanziati da personalità ricche e facoltose per il benessere del popolo romano. I munera sono ricollegabili al termine “munus”; al dovere e all’obbligo di offrire un servizio, differenziandosi dai “Ludi”, che erano finanziati dallo Stato. I giochi gladiatori erano configurati nei munera gladiatoria; personaggi ricchi che offrivano alla comunità spettacoli pubblici come il combattimento tra due schiavi. I munera si differenziano tra ordinaria quando erano organizzati per delle festività, extraordinaria quando, invece, erano organizzati per occasioni più rare e particolari.
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Le origini etrusche dei gladiatori
Originariamente si pensa che la figura del gladiatore sia nata in Etruria come dimostrato da pitture e fonti scritte. Importanti testimonianze sono visibili nella Tomba degli Àuguri e nella Tomba delle Olimpiadi site a Tarquinia. Il protagonista è un particolare personaggio denominato Phersu (maschera in etrusco), rappresentato mentre ha un cane al guinzaglio ritratto ad azzannare un condannato a morte che tenta di difendersi con una clava. I giochi gladiatori etruschi, di origine funebre, erano giochi nel corso dei quali il defunto riceveva in omaggio questi cruenti combattimenti.
Citando gli antichi autori, lo storico greco Nicola di Damasco affermò che i giochi gladiatori erano importanti sia per Roma, sia per l’Etruria. Tertulliano, invece, conferma la natalità etrusca dei giochi gladiatori; i combattenti uccisi venivano trascinati da un uomo mascherato da Caronte armato di martello. Il martello era attribuito al demone della mitologia etrusca Charun.
I giochi gladiatori arrivano a Roma
Da schiavi a gladiatori più famosi dell’impero
Nel 264 a.C., i gladiatori tennero il loro primo spettacolo a Roma; gli spettacoli, però, divennero pubblici solo nel 105 a.C. Il loro successo aumentò durante la dinastia Flavia quando Vespasiano fece costruire l’Anfiteatro Flavio, noto come Colosseo. Con l’avvento del Cristianesimo e la conversione di Costantino I, i giochi gladiatori furono proibiti ma, essendo molto popolari, vennero tenuti sporadicamente in aree distanti da Roma per poi scomparire nel primo medioevo.
La figura del gladiatore
I gladiatori erano schiavi, prigionieri di guerra, condannati ma anche uomini liberi o donne – gladiatrici -, ma i più ricercati erano soprattutto i prigionieri poiché esperti dopo anni di combattimenti. Se una parte di loro si proponeva volontariamente per questi scontri, un’altra parte era obbligata a sostenerli. Solo dopo un certo numero di vittorie, l’imperatore concedeva la rudis, una spada lignea che simboleggiava la libertà finalmente conquistata.
Talvolta, però, i gladiatori si innamoravano così tanto di questa vita che rifiutavano la libertà mettendo al primo posto i soldi e la fama. Solo i migliori partecipavano a banchetti, adorati dalle donne e pagati quanto un alto ufficiale dell’esercito.
Sulle mura di Pompei sono state trovate varie testimonianze del loro fascino. Il gladiatore reziario Crescente era indicato come «signore e medico delle fanciulle nottambule» (dominus et medicus puparum noctornarum), il trace Celado invece «lo struggimento e l’ammirazione delle ragazze» (suspirium et decus puellarum). Una testimonianza ci proviene anche dal poeta Marziale che definisce il gladiatore Ermes «tormento e spasimo delle spettatrici» (cura laborque ludiarum).
Il sangue del gladiatore
Si dice che il sangue dei gladiatori venisse utilizzato come afrodisiaco. Plinio, invece, afferma che venisse bevuto dai gladiatori morenti per curare l’epilessia o l’anemia. Era frequente tra i gladiatori reziari raccogliere il sangue dei gladiatori uccisi per rivenderlo.
I combattimenti tra gladiatori
I vari scontri avvenivano sempre tra due coppie di gladiatori diversi: Reziari contro Secutores, Mirmilloni contro Traci e così via. Ogni categoria di gladiatori aveva i suoi pro e contro, il proprio armamentario e numeri di colpi permessi. I combattimenti si rifacevano ad eventi mitologici o a situazioni bizzarre, come il combattimento tra nani e donne voluto da Domiziano nel 90 d.C.
Secondo la credenza, il gladiatore perdente moriva il per giudizio della folla. Il pubblico esprimeva il proprio parere, ma erano rarissimi i casi in cui un gladiatore perisse, dato che era molto costoso mantenerlo. Gli unici condannati a morte erano i gladiatori “vigliacchi”. Gli agonisti, invece, avevano il compito di tornare a combattere nell’arena per la gioia del pubblico.
Ogni gladiatore ucciso gravava le tasche sia dell’organizzatore, sia dell’imperatore, quindi la morte era l’extrema ratio.
Se un gladiatore moriva durante il combattimento, degli attori mascherati da Caronte o Mercurio trasportavano il corpo presso la porta libitina dove veniva spogliato dell’armatura. In caso fosse stato ancora vivo, gli sarebbe stato inferto il colpo di grazia.
La controparte femminile: le gladiatrici
L’archeologia ha attestato l’esistenza delle gladiatrici. Anche loro, come i gladiatori, combattevano nelle arene sia l’una contro l’altra, sia contro gli animali nelle venationes.
Tabula Larinas
La loro esistenza può essere testimoniata dal documento Senatus consultum di Larinium, emanato nel 19 d.C. durante il regno di Tiberio. Tale decreto, conosciuto anche come Tabula Larinas, vietava ai parenti – uomini o donne – di senatori di partecipare ai giochi gladiatori. Il documento citava anche un decreto dell’11 d.C. dove si proibiva ai giovani minori di 20 anni di partecipare ai giochi.
Le fonti storico – letterarie
Cassio Diogene affermava che Diocleziano, durante i combattimenti notturni, faceva duellare nani e donne. Svetonio, invece, afferma che lo stesso regnante organizzava combattimenti notturni tra uomini e tra donne. Nel Satyricon di Petronio si parla del combattimento di una donna su un carro (essedarius). A differenza dei giochi gladiatorii maschili, quello delle gladiatrici era uno spettacolo del tutto originale. Una iscrizione, trovata ad Ostia, parla di un certo Hostilinianus che portò le gladiatrici in città.
Nei giochi organizzati da Nerone si esibirono sia uomini, sia donne nei panni di bestiarii e gladiatrici. Durante i giochi del 66 d.C. organizzati a Pozzuoli da Patrobio – liberto di Nerone – per Tiridate I di Armenia, si esibirono bambini e donne etiopi. Altra testimonianza ci perviene da un editto di Settimio Severo. L’imperatore romano proibì, nel 200 d.C., i giochi tra gladiatrici.
Lo studioso Mark Vesley dichiarò, invece, che le scuole gladiatorie non fossero luoghi per le donne e che queste si fossero allenate nei collegia iuvenum. Queste scuole erano destinate ai maschi dai 14 anni in su, dove venivano insegnate le arti marziali. Lo studioso Velsey, però, trovò dei frammenti dedicati a donne che frequentarono l’istituto, tra qui una certa Valeria Iucunda. Ad essa fu dedicata questa iscrizione: «alle forme divine di Valeria Iucunda, che apparteneva al corpo degli iuvenes. Visse 17 anni e 9 mesi».
La gladiatrici di Alicarnasso
Nella città greca di Alicarnasso fu trovato un bassorilievo che ritrae due gladiatrici nell’atto di combattere. Ambedue facevano parte della categorie provocatrices e ciò è la prova schiacciante di come anche le donne indossassero armature pesanti. I loro pseudonimi erano Amazon e Achilia a cui fu concessa la sospensione (missio) per aver combattuto valorosamente. Sono raffigurate con schinieri e manica, tipico dei gladiatori ma, a differenza dei loro colleghi maschi, non indossano né elmo né tunica. Sotto l’armatura indossano un subligaculum, il tipico abbigliamento intimo dell’antica Roma.
I gladiatori più famosi
Carpophorus: il più famoso tra i bestiarii
Annoverato tra i gladiatori più famosi dell’antica Roma, Carpophorus fu il più famoso dei bestiarii.
I bestiarii si dividevano in due categorie:
• I condannati per gravi reati che combattevano nell’arena con minime possibilità di salvezza poiché, anche se avessero ucciso uno degli animali, ne venivano introdotti altri fino a che non ci fosse nessun altro prigioniero in vita. Molti optavano per il suicidio piuttosto che essere dilaniati dalle feroci fiere.
• I combattenti per soldi e fama che però avevano un’aspettativa di vita piuttosto bassa. I vari animali utilizzati erano elefanti, tori, lupi, iene, rinoceronti e cinghiali.
Carpophorus, oltre che affrontare le bestie, le allenava divenendo subito una leggenda della sua categoria. Durante la sua migliore esibizione giustiziò venti animali e, secondo il poeta Marco Valerio Marziale, affrontò contemporaneamente il toro di Creta e la Chimera. Ad oggi non esistono documenti sulla sua morte o sulla sua fine.
Il leggendario scontro tra Prisco e Vero
Prisco e Vero divennero gladiatori durante il primo secolo dopo Cristo. Prima di scendere in campo nessuno dei due sapeva chi fosse l’avversario. Lo stupore li assalì quando dovettero sfidarsi all’ultimo poiché i due erano ottimi amici. Un combattimento che durò ore, prima con una spada e scudo e poi, per ordine dell’imperatore Tito, senza scudo. Per rispetto dell’avversario, decisero di depositare i gladi e finire lo scontro a mani nude. L’imperatore Tito decise di concedere ad entrambi il rudis. Unico caso in cui due gladiatori furono vincitori entrando nella schiera dei gladiatori più famosi.
Marcus Attilius: da uomo libero ad uno dei più famosi gladiatori
Annoverato tra i gladiatori più famosi dopo la scoperta di graffiti fuori la porta di Nocera, a Pompei, Marcus Attilius, a differenza dei sei colleghi, era un uomo libero che aveva deciso di intraprendere questa strada per pagare, forse, i suoi debiti. Nessuno sa se fosse stato un combattere o un soldato ma dimostrò la sua abilità prima contro Hilarius, un gladiatore con alle spalle dodici vittorie. Nel secondo incontro vinse su Lucius Raecius Felix, sempre con dodici vittorie. Entrambi gli scontri furono avvincenti e per questo furono risparmiati.
I graffiti lo raffigurano come un mirmillone; i mirmilloni indossavano un elmo decorato con figure marine, scudo rettangolare, il gladio ed un solo schiniere per le gambe.
Flamma: uno tra i gladiatori più famosi e vittoriosi dell’antica Roma
Probabilmente il gladiatore più famoso tra tutti, Flamma, era un soldato siriano catturato dai romani e costretto a combattere nell’anfiteatro Flavio. Contro ogni pronostico, vinse lo scontro contro uno dei migliori gladiatori dell’epoca. Ciò lo condusse verso fama, ricchezza e gloria.
Il suo stile era l’inseguitore (secutur) ed indossava un elmo con due fori piccoli per proteggersi dal tridente, uno scudo che proteggeva tutto il corpo fino alle ginocchia, la manica era in scaglie metalliche, tibia e spalle erano protette da cuoio oppure metallo. Come arma possedeva il gladio. La sua fu una carriera lunga, durata ben tredici anni. In 34 battaglie, ne vinse 21, nove in parità e quattro volte fu graziato. Come tutti i migliori gladiatori, ricevette il rudis ma lo rifiutò per quattro volte. La sua fama crebbe a tal punto che fu omaggiato coniando il suo volto sulle monete. Troverà la morte a cui era scampato per molte volte durante la sua 34° battaglia. Le sue spoglie riposano in Sicilia, precisamente a Palermo.
Nel documento di Gabriele Lancillotto Castello Principe di Torremuzza chiamato “Le antiche iscrizioni di Palermo raccolte e spiegate”, egli afferma che l’incisione riportava tale scritta: ” FLAMMA SEC VIX. ANN. XXX. PVGNAT. XXXIIII. VICIT. XXI. STANS. VIIII. MIS. IIII.“
Spartaco: il gladiatore morto per la libertà
La cattura di Spartaco e l’origine della rivolta
Anche se si sa poco di lui, Spartaco era originario della Tracia, fu catturato e venduto come schiavo. Il proprietario della scuola per gladiatori Lentulo Batiato di Capua si accorse della sua bravura e decise di sfruttarlo al massimo per ottenere ottime entrate economiche, ma Spartaco decise di ribellarsi. Nel 73 d.C., assieme a 70 gladiatori, scappò da Capua dirigendosi sulle pendici del Vesuvio. Durante la fuga, i gladiatori incontrarono dei soldati mandati per catturarli. Armati con mezzi di fortuna, sconfissero la guarnigione romana, rubarono il loro armamentario e, arrivati sul Vesuvio, Spartaco divenne il capo dei rivoltosi assieme ad Enomao e Crixius.
Alla notizia della vittoria, molti schiavi e contadini decisero di unirsi all’esercito spartachista, e il gruppo sconfisse il pretore Publio Varinio. Vinta la battaglia, Spartaco si impossessò di tutto l’armamentario romano. La morte di Spartaco è ancora avvolta nel mistero. Plutarco ed Appiano affermano che egli sarebbe morto a Petelia, vicino Crotone. Lo storico romano Paolo Orosio, invece, afferma che sia morto presso il fiume Sele, in Campania.
La battaglia contro Marco Licinio Crasso
La battaglia ebbe luogo nel 71 d.C. tra l’esercito di Spartaco e i 50.000 uomini di Marco Licinio Crasso. Plutarco narra che Spartaco uccise il suo cavallo perché se avesse vinto avrebbe avuto tutti i cavalli che desiderava, se avesse perso non ne avrebbe più avuto bisogno. Si dice che sia andato personalmente a cercare Crasso per ucciderlo. Non lo trovò ma, in compenso, trovò una moltitudine di soldati romani pronti ad attaccarlo. Combatté fino all’ultimo senza mai arrendersi cadendo, infine, sotto i colpi del nemico.
Il suo corpo non fu mai ritrovato e, secondo alcuni, fu crocifisso assieme alla maggior parte dei suoi compagni sulla via Appia. Sallustio descrive la sua morte con toni solenni, mentre un’altra leggenda afferma che sia scappato fuori i territori dell’impero romano.
«La sera per passare il tempo stavo leggendo Le guerre civili romane di Appiano, nel suo originale testo greco. Un libro di gran valore. […] Spartaco emerge come uno dei migliori protagonisti dell’intera storia antica. Un grande generale (non un Garibaldi), un carattere nobile, un genuino rappresentante dell’antico proletariato.» (Karl Marx)
Ave, Caesar, morituri te salutant: sfatiamo il mito
Al mondo dei gladiatori è legata una famosissima frase che, giornalmente, viene utilizzata in senso ironico quando si è pronti a compiere un’azione dall’esito incerto.
Stiamo parlando di “Ave Caesar, morituri te salutant“.
La leggenda narra che i gladiatori salutassero l’imperatore utilizzando questa frase. In realtà, non esistono fonti che accertino ciò se non l’opera biografica di Svetonio “Vita dei Cesari“.
Nell’opera, l’autore ne parla nel capitolo V, 21 a proposito dell’imperatore Claudio usando la dicitura “Imperator” al posto di “Caesar“. Probabilmente, la frase fu utilizzata dai combattenti di una naumachia (combattimento navale) voluta dall’imperatore Claudio nel lago Fùcino.
La traduzione letteraria è “Ave, Cesare, i morituri (coloro che stanno per morire) ti salutano“.
Antonio Vollono
Bibliografia
- Giacomo Devoto, Gli antichi italici, Volume 79, Vallecchi, Firenze 1967, p.•
- Claudio Bernardi, Carlo Susa, Storia essenziale del teatro, Vita e Pensiero, Roma 2005, p. 61.
- Bianca Maria Felletti Maj, La tradizione italica nell’arte romana, Volume 1, G. Bretschneider, Roma 1977, p. 114.
- Sandra Facchini, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1990, p. 54.
- Tertulliano, Apologeticum, 15, 5
- Corpus Inscriptionum Latinarum
- Amy Zoll, Gladiatrix: The True Story of History’s Unknown Woman Warrior, London, Berkley Boulevard Books, 2002
- Tacito, Annales, Libro XV, 32, 3
- Giovenale, Libro II, Satira VI (Contro le donne), esametri 246-267
- Carla Ricci, Gladiatori e attori nella Roma giulio-claudia – Studi sul Senatoconsulto di Larino, LED Edizioni Universitarie, 2006
- Fik Meijer, Un giorno al Colosseo (il mondo dei gladiatori), Laterza, 2006
Sitografia
- https://it.wikipedia.org/wiki/Gladiatore
- https://www.sapernedipiu.it/i-gladiatori-piu-famosi-dell-antica-roma/#:~:text=Il%20gladiatore%20più%20conosciuto%20di%20tutti%20i%20tempi%20è%20senza,romani%20e%20venduto%20come%20schiavo.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Spartaco#cite_note-12
- https://www.albanesi.it/frasi-celebri-modi-dire/ave-cesare.htm
- https://www.treccani.it/vocabolario/ave-caesar-morituri-te-salutant/
- http://www.progettovidio.it/dettagli1.asp?id=1169&opera=Vita%20dei%20Cesari&libro=Libro%20V%20(Claudio)
- https://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Cassius_Dio/67*.html
- http://www.thelatinlibrary.com/suetonius/suet.dom.html#4