Sin dai tempi della via della seta e dai resoconti di Marco Polo Oriente e Occidente sono collegati da rotte mercantili ed interessi commerciali. Dopo l’inizio delle scoperte geografiche la presenza europea nel continente asiatico si fece sempre più pressante. L’Impero Moghul, che dominava sull’India, fu quello che soccombette più facilmente alla penetrazione europea, mentre il Giappone e la Cina opposero una maggiore resistenza. Con la sconfitta nella prima guerra dell’oppio iniziò per la Cina una fase di forte debolezza che la renderà facile preda delle ingerenze europee e particolarmente di quelle britanniche.
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Come finì la dinastia dei Ming?
Nel 1644 la dinastia dei Ming fu sostituita da quella dei Qing. All’inizio del XVII secolo la Cina viveva un contesto difficile, con carestie e rivolte, la dinastia Ming mancò di una leadership forte che sapesse rispondere ai problemi dei suoi territori e finì per soccombere all’invasione dei manciù.
I manciù, o manciesi, dalla regione di provenienza, la Manciuria. Proprio in Manciuria avevano creato un forte stato militarizzato già alla fine del XVI secolo. I manciù approfittarono delle rivolte contro l’impero nella Cina settentrionale per conquistare il territorio cinese. In realtà fu proprio un generale ming, Wu Sangui, che chiamò i manciù come rinforzi militari in aiuto dell’esercito cinese contro le forze contadine ribelli che erano giunte a Pechino. Nel 1644 Pechino cadde nelle mani dei ribelli e l’imperatore si suicidò. Li Zicheng, il capo delle forze ribelli si proclamò imperatore, ma il suo impero durò poco, infatti fu deposto con l’arrivo dei rinforzi manciù che ne approfittarono per prendere il trono e stabilire il loro dominio.
La dinastia dei Qing
La dinastia dei Qing, o dinastia Ch’ing, detenne il potere imperiale dal 1644 al 1912 e fu l’ultima dinastia dell’impero cinese. Il primo regnante della dinastia fu Shunzhi che divenne imperatore a soli sette anni. L’impero però era tutt’altro che pacificato: sacche di resistenza che volevano il ritorno della dinastia Ming continuarono a manifestarsi per tutto i decenni successivi. La nuova dinastia si assicurò l’appoggio dei proprietari terrieri con la repressione delle rivolte contadine e affiancò funzionari cinesi a quelli manciù nelle posizioni chiave del governo, spingendo verso l’integrazione tra le due culture. I primi imperatori Qing adottarono una politica estera di isolamento, volta a resistere alla strategia di penetrazione commerciale della Compagnia britannica delle Indie Orientali, che iniziava a stabilire la sua presenza nelle zone costiere.
Chi era l’imperatore Kangxi
L’imperatore Kangxi fu il successore di Shunazhi e regnò dal 1662 al 1772. Egli cambiò la prassi cinese che vedeva l’imperatore sostanzialmente escluso dall’attività di governo e ridimensionò il potere de burocrati. Egli lavorò per creare armonia tra cinesi e manciù. Kangxi fu anche l’autore di conquiste militari che consolidarono e ampliarono l’impero cinese. Nel 1681 completò la sottomissione delle zone di Yunnan, Guangdong e Fujian, che si erano ribellate alla nuova dinastia con quella che è ricordata come la “rivolta dei tre feudatari”. Nel 1683 conquistò l’isola di Formosa, oggi Taiwan, nel 1696 e 1697 con due campagne militari si assicurò il controllo della Mongolia, che divenne protettorato cinese, e nel 1717 affermò la presenza cinese nel Tibet. L’imperatore si scontrò anche con la Russia che cercava di espandere i propri confini fino al fiume Amur, ma nel 1689 fu fissato il confine a favore della Cina.
Cos’è “la questione di riti cinesi”?
Sotto Kangxi ci fu anche un altro importante episodio, che segna il primo scontro tra Oriente ed Occidente: la “questione di riti cinesi”. Già dai temi della dinastia Ming i missionari cattolici erano entrati in contatto con il mondo cinese, in particolare i Gesuiti. Questi ultimi erano tenuti in gran considerazione nella corte per le loro conoscenze scientifiche e artistiche, di cui Kangxi promosse lo studio. Si deve proprio ai gesuiti un rilievo cartografico scientifico dell’impero cinese realizzato tra il 1707 e il 1717. Nel 1692 l’imperatore emanò un editto di tolleranza con cui si autoriuzzava l’insegnamento del cristianesimo in Cina.
Il primo gesuita a raggiungere i territori cinesi fu Francesco Saverio, che riuscì ad inserirsi nell’ambiente di corte grazie anche alle sue conoscenze scientifiche. Da allora i gesuiti si impegnarono in un’operazione di sincretismo, cioè di unione della cultura cattolica con quella del confucianesimo, il credo principale cinese. Essi adattarono quindi le cerimonie cattoliche a quelle confuciane, suscitando scalpore negli altri ordini religiosi, in particolare i domenicani e i francescani. Ma per i gesuiti non era la prima volta che utilizzavano questo approccio, infatti lo stesso era avvenuto per i “riti malabarici” in India, cioè avevano unito la tradizione induista con quella cattolica.
Questo modo di procedere fu portato all’attenzione dell’Inquisizione, che reagì inviando dei delegati a Pechino per trattare con l’imperatore. La questione andò avanti per anni e si concluse nel 1742, quando Benedetto XIV condannò con una bolla papale i riti cinesi, e due anni dopo anche quelli malabarici.
Imperatore Qianlong
Durante il lungo regno di Qianlong (1735-1796) si ebbe il momento più forte di accentramento del potere e integrazione tra cinesi e manciù. Sotto il suo dominio l’impero cinese ebbe anche il momento di massima espansione territoriale, egli estese il controllo cinese sul Tibet, che diventerà poi protettorato cinese, e sullo Xinjiang. Sotto Qianlong l’impero vide il suo apogeo, ma ebbe anche inizio il suo declino.
L’agricoltura era alla base dell’economia cinese, circa il 25% della produzione era destinata ai mercati, sviluppati erano anche i settori del tessile, in particolare cotone e seta, e la manifattura della ceramica. Il punto debole dell’economia cinese era però l’arretratezza dei mezzi e dei modi di produzione.
Nel Settecento in Europa, Gran Bretagna in primis, si ponevano le basi per la Rivoluzione industriale, mentre in Cina si continuavano a seguire modelli di produzione tradizionali. Anche se alla fine del XVIII secolo la Cina aveva ancora un’economia apparentemente forte non concretizzò questa forza economica per vari motivi, a partire dal conservatorismo e dalla politica di isolamento che a lungo andare la resero preda delle forze europee, per le quali non fu un avversario particolarmente impegnativo come dimostra la prima guerra dell’oppio.
Come consideravano gli Europei la Cina?
Gli intellettuali europei, tra cui Voltaire, videro nell’impero cinese un esempio di assolutismo illuminato, anche se non macò chi come Montesquieu ne criticò il carattere dispotico. Bisogna tener presente che è improprio utilizzato per una realtà così diversa da quella occidentale. L’impero cinese non era uno Stato forte e centralizzato unico, coeso. L’idea stessa di “Stato” era diversa dalla percezione che possiamo avere noi oggi. L’impero era un mosaico, non un tessuto compatto. Ancora alla fine dell’Ottocento non esiste una traduzione del termine “stato” in lingua cinese, la parola più vicina è Guo che significa “dinastia dominante”.
Ma l’interesse non arrivava solo dalle classi intellettuali ma si sviluppò una vera e propria moda delle “cineserie”, cioè oggetti, quadri e in generale un gusto estetico verso ciò che era di provenienza cinese, in questi anni infatti palazzi e case nobiliari si riempirono di ceramiche e oggetti provenienti dai territori della Cina.
Premesse della prima guerra dell’oppio
Fino alla fine del Settecento la Cina aveva rapporti commerciali nel porti del Sudest Asiatico, con il Giappone e con l’Indonesia. Il centro del commercio con l’Europa era Canton, città sulla costa meridionale cinese. Lì vi era stanziata anche la Compagnia britannica delle Indie Orientali, che inizialmente poteva trattare con un gruppo ristretto di commercianti, una gilda che aveva il monopolio del commercio con l’Occidente di tè, seta e porcellane. Questo era il cosiddetto “sistema Cantun”.
La Compagnia britannica monopolizzava in commercio di oppio dal 1779. Nel 1793 il governo britannico chiese un’apertura del commercio occidentale, che però il governo cinese rifiutò. La Compagnia iniziò allora a smerciare oppio verso la Cina per forzare al situazione. Autorizzò la vendita di oppio a privati cittadini che tramite l’India vendevano oppio alla Cina, dove era vietato, e utilizzava il ricavato per acquistare, sempre dalla Cina grandi quantità di tè che rivendeva poi in Europa. Nonostante l’emanazione di leggi che miravano a bloccare il consumo di oppio in Cina, queste furono puntualmente eluse. Il consumo di oppio da parte delle classi più povere rappresentava una piaga sociale ed economica, perché l’oppio era venduto in argento, che iniziò a scarseggiare dalle casse statali. Il conflitto si farà sempre più aspro e sfocerà nella guerra dell’oppio.
La prima guerra dell’oppio
Dopo una serie di provvedimenti presi dal governo cinese e ignorati da funzionari corrotti l’imperatore Daoguang nominò Lin Zexu commissario per la campagna antioppio. Dopo una serie di escalation egli odinò di dare alle fiamme 20.000 casse di droga. Ebbe così inizio la prima guerra dell’oppio. Il 3 novembre 1839 la flotta inglese occupò il porto di Chuandi, difesa marittima di Canton, fino poi spingersi a minacciare Pechino. Il conflitto si concluse nel 1842, dopo varie trattive, con la forma del trattato di Nanchino.
Cosa stabiliva il trattato di Nanchino?
Il trattato che pose fine alla prima guerra dell’oppio aveva condizioni molto dure nei confronti della Cina. Prevedeva infatti la cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna e l’apertura di una serie di porti cinesi al commercio inglese, il trattato imponeva inoltre la libera circolazione nel mercato cinese dell’oppio e dei tessuti inglesi. Mentre gli altri paesi europei prendevano misure protezionistiche, per la Cina furono stabilite basse tariffe doganali. Questi provvedimenti portarono alla crisi il settore manifatturiero e quello dell’artigianato, soffocati da una concorrenza così aggressiva.
Quali furono le conseguenze della prima guerra dell’oppio?
Perdendo la guerra dell’oppio la Cina aveva mostrato la sua fragilità e ben presto anche altre potenze capirono che era una preda facile. Nel 1844, infatti, la Cina firmò altri due trattati, uno con gli Stati Uniti e l’altro con la Francia, i quali prevedevano delle concessioni cioè dei territori che pur essendo fisicamente sul suolo cinese non erano più governati dall’autorità cinese ma venivano concessi, appunto, ad un altro Stato. Questi trattati furono chiamati “patti ineguali” proprio per il carattere dannoso per il sistema cinese ed estremamente favorevole per le potenze straniere. Le conseguenze furono infatti l’aumento della povertà, aumento della corruzione e decadimento delle vie di comunicazione e fluviali.
Quando scoppiò la seconda guerra dell’oppio?
La Cina stava attraversando un momento difficile sia sul fronte interno che su quello esterno. I mercanti occidentali giudicavano insufficienti i vantaggi ricevuti e lamentavano la poca volontà di Pechino di rispettare i trattati, nello stesso periodo il malcontento interno si fece sentire, causando lo scoppio di proteste e rivolte la più importante delle quali fu la rivolta di Taiping.
Nel 1854 l’equipaggio di una nave inglese, l’Arrow, fu arrestato per pirateria dalle autorità cinesi e nel 1856 un padre missionario francese fu ucciso. Londra e Parigi avevano così i moventi per giustificare una spedizione congiunta in quella che è ricordata come la seconda guerra dell’oppio.
Durante la seconda guerra dell’oppio Canton venne bombardata e i forti di Taku occupati fino al 1858 quando la Cina firmò nuovi trattati con la Gran Bretagna e la Francia, in favore di questa ultime. La guerra dell’oppio però continuò e nel 1860 le truppe franco-inglesi occuparono e incendiarono Pechino e il Palazzo d’Estate fu saccheggiato. Nello stesso anno fu firmato il trattato conclusivo, Trattato di Pechino, che metteva fine alla guerra dell’oppio.
Da questo momento non ci furono più argini per le potenze occidentali. Furono imposti dazi in tutte le dogane imperiali, era nelle mani di stranieri la principale banca cinese, la Hong Kong and Shangai Bank Coprporation, le poste e il cabotaggio marittimo. Si diffusero le missioni sia cattoliche che protestati, che spesso andavano al di là della semplice predicazione religiosa.
Tutto ciò ebbe conseguenze tragiche sulla popolazione che iniziò a maturare un forte sentimento antioccidentale che scoppiò in rivolte violente e persecuzione di occidentali.
Miriam Campopiano
Bibliografia e sitografia
- M.Meriggi, Le istituzioni asiatiche in età moderna, in (a cura di) M.Meriggi, L.Teodoldo, Storia delle istituzioni politiche. Dall’antico regime all’era globale, Roma, Carocci 2014.
- J.A.G.Roberts, Storia della Cina, Bologna, Il Mulino, 2001.
- https://www.britannica.com/topic/Qing-dynasty