George Moore è un filosofo inglese vissuto tra diciannovesimo e ventesimo secolo, pioniere della filosofia analitica e formulatore dell’intuizionismo etico. In questo articolo analizziamo la sua filosofia e i motivi che hanno mosso le sue riflessioni.
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La vita di George Moore
George Edward Moore nasce a Upper Norwood, vicino Londra, nel 1873. Dopo i primi studi, frequenta il corso di filosofia presso l’Università di Cambridge. Così, entra nella Cambridge Apostles Society, una società segreta fondata all’inizio del secolo. Quest’ultima raccoglie gli studenti migliori di Cambridge di varie facoltà. Difatti, Bertrand Russell, anch’egli iscritto a Cambridge e membro della Apostles Society, diviene suo amico nonché suo ammiratore. Gli incontri di questa società sono momenti di dibattito interdisciplinare, ulteriore fase di formazione per chi partecipa.
Così, l’inclusione del futuro filosofo in questa società segreta ne influenza la vita e il pensiero. Infatti, lui ed altri compagni fondano, conclusi gli studi, il Bloomsbury Group. Anche se non producono elementi unitari come una corrente artistico-letteraria, tutti i membri recano contributi importanti alla cultura dell’epoca. Ma oltre a ciò, l’esperienza della Cambridge Apostles Society e le sue regole trovano un’eco nelle opere di Moore, che trattano soprattutto di temi etici.
Dunque, l’anno successivo la laurea, nel 1896, Moore scrive il suo primo libro, Le basi Metafisiche dell’Etica. In seguito, lascia Cambridge per Edimburgo, dove insegna e scrive articoli di filosofia. Così, l’anno successivo intreccia un altro importante rapporto col filosofo Wittgenstein. Poi, negli anni seguenti, insegna in varie scuole fino al trasferimento negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, nel 1940.
Nel 1918, George Moore presiede per un anno la Società Aristotelica. Quest’ultima è una società filosofica londinese incentrata sullo studio dello sviluppo storico della filosofia, il suo metodo e le tematiche. Anche questa, come le due realtà già descritte, annovera importanti filosofi del Regno Unito tra le sue fila. George Moore muore a Cambridge nel 1958, dove ritorna a guerra finita.
La filosofia al tempo di George Moore
Possiamo comprendere meglio il pensiero di George Moore se lo inquadriamo nella temperie culturale del suo tempo. Infatti, l’idealismo tedesco ha ormai una vasta diffusione. In effetti, uno dei maggiori neoidealisti inglesi nonché studioso di Hegel, John McTaggart, è proprio uno dei professori di Moore a Cambridge.
Dunque, questa diffusione condiziona il filosofo inglese, che i primi tempi condivide le basi dell’idealismo. Però, col tempo, George Moore avverte come necessaria un’altra strada. Anzi, egli crede sempre più che la filosofia ha bisogno di un nuovo inizio, convinzione che lo spinge fino alla critica dell’idealismo. Così, Moore elabora quella che prende il nome di filosofia analitica e che, dopo la seconda guerra mondiale, domina il panorama inglese.
Quindi, in un primo tempo, il filosofo appoggia, come vuole l’idealismo, una realtà oltre le apparenze che fonda il nostro mondo. Di più, sostiene che questa realtà oltremondana è “buona” e solo singole sue parti del molteplice sono “cattive”. Perciò, è chiaro che la questione morale e la domanda intorno a cosa è il bene già affollano la mente del filosofo in questa fase.
La fallacia naturalistica
George Moore è il primo che parla in modo esplicito di “fallacia naturalistica” nei Principia Ethica. Tuttavia, già un altro filosofo tratta gli stessi argomenti: David Hume. Infatti, il Trattato di Hume affronta il tema nel terzo capitolo, La Morale, nella sezione Virtù e vizi in generale. In effetti, le posizioni taglienti di Hume ben fungono da strumento per la ricostruzione della filosofia a cui Moore pensa. Per Hume, le percezioni che noi abbiamo del mondo producono i giudizi di amore e odio. Perciò, il riconoscimento di vizi e virtù, di giusto e sbagliato, non avviene attraverso la ragione, che distingue solo ciò che è vero da ciò che è falso. Insomma, non esistono concetti eterni quali “buono” e “cattivo”, perché questi concetti derivano dalle sensazioni, soggette, queste, a continui mutamenti.
Dunque, George Moore recupera questo ragionamento di Hume nel suo concetto di fallacia naturalistica. Così, “buono” non possiede definizione, in quanto è una nozione semplice. Eppure, spesso gli uomini associano il buono a proprietà naturali come “utile” e “piacevole“. Al contrario, il bene è un concetto ontologico e assoluto. Ma gli uomini lo calano nel vissuto e lo associano a ciò che le nostre percezioni avvertono come produzione di piacere o vantaggio. Insomma, la fallacia naturalistica riconduce il trascendentale nella sfera dell’empirico o del categoriale. Ma se utile e piacevole non concernono il buono, allora quest’ultimo in che consiste? Per George Moore, esso attiene alla sfera deontica, la sfera delle leggi. Cioè, riguarda il “ciò che deve essere fatto“. In sintesi, il concetto di buono regola una valutazione universale.
L’intuizionismo etico
Con l’argomento appena trattato, possiamo comprendere meglio un punto essenziale del pensiero di George Moore, quello che egli stesso battezza “intuizionismo etico“. Infatti, come suddetto, l’etica costituisce il cuore della sua filosofia.
Moore contrasta tutti quei filosofi, come Stuart Mill, che affermano che il piacere, in quanto desiderio umano, è desiderabile. Infatti, per Moore vi è qui una fallacia linguistica, che presta il fianco alla fallacia naturalistica di cui abbiamo trattato. In effetti, quando una parola presenta la desinenza “-bile” (visibile, udibile, mangiabile…) indica una possibilità (posso vederlo, udirlo, mangiarlo,…). Così, in questa regola rientra il “desiderabile“, cioè ciò che può essere desiderato. Dunque, “desiderabile” non è, come sostiene l’utilitarismo, ciò che deve essere desiderato. In sintesi, l’utilitarismo afferma che l’uomo deve tendere verso ciò che desidera, e che questa è una regola deontologica. Invece, Moore ribatte che con questa affermazione l’utilitarismo confonde deontologia e fenomenologia. Dunque, la confusione è tra cosa gli uomini dovrebbero desiderare con che cosa vogliono e possono desiderare. Insomma, l’etica non è la ricerca di ciò che è buono, ma della bontà.
In sintesi, non è la ragione che ci indica la strada deontologica, la legge etica che ogni uomo deve seguire. Infatti, la ragione ha la sua matrice nelle percezioni, per questo va sempre alla ricerca dell’utile e del piacevole. Ma allora, in che modo le nostre azioni incontrano l’etica? Moore risponde: attraverso l’intuizione. Questa affermazione costituisce, appunto, l’intuizionismo etico.
La critica di George Moore all’idealismo
Col termine “idealismo” raggruppiamo teorie filosofiche molto diverse tra loro. Comunque, il loro trait d’union è l’idea che tutto ciò che esiste proviene dalla mente. Così, ci sono esiti idealisti come quello di George Berkeley che, circa duecento anni prima di George Moore, afferma che esiste solo Dio e con lui gli spiriti umani, e tutto il resto è una loro proiezione. Proprio queste posizioni, al Moore ormai libero dalla visione idealista, appaiono come asserzioni infondate.
«Ciò che [Berkeley] dice è che il fatto fisico non avrebbe potuto essere un fatto, a meno che non fosse stato un fatto che c’era un fatto mentale di questo genere. [Invece, io] penso che non vi sia alcuna buona ragione per supporre che ogni fatto fisico sia causalmente dipendente da qualche fatto mentale. […] il fatto che la Terra sia esistita in passato per molti anni e il fatto che la Luna sia stata per molti anni in passato più vicina alla Terra che al Sole, ritengo che non vi sia alcuna buona ragione per supporre che questi siano causalmente dipendenti da qualche fatto mentale.»
La filosofia analitica
Oltre all’intuizionismo etico, oggi ricordiamo George Moore anche come il fondatore della filosofia analitica. Infatti, per Moore le problematiche filosofiche non sono altro che problematiche semantiche, proprio come nel caso già descritto del “desiderabile”. Perciò, la filosofia ha come compito analizzare le asserzioni per comprenderne la validità, piuttosto che elaborare complicati sistemi filosofici.
Un esempio diretto di filosofia analitica è il testo In difesa del senso comune del 1925, da cui la citazione su riportata è tratta. Molto interessante il confronto tra questo testo e Le Meditazioni di Cartesio. Infatti, in ambo gli scritti i due filosofi parlano in modo diretto al proprio lettore, e alcuni passaggi del testo di Moore ricalcano quasi gli argomenti del filosofo francese. Tuttavia, le argomentazioni hanno esiti opposti. Infatti, Le prime pagine delle Meditazioni mettono tra parentesi le verità apprese dal senso comune e Cartesio ricostruisce tutto il mondo, anche la propria esistenza, attraverso deduzioni logiche. Al contrario, George Moore illustra l’infondatezza dell’idea di un legame necessario e causale tra il pensabile e l’esistente.
«Un’espressione quale “La Terra è esistita per molti anni nel passato?” […] è comprensibile a tutti. […] è – mi sembra – una domanda profondamente difficile. […] Ma l’ammettere che non sappiamo quale sia, per certi aspetti, l’analisi di ciò che comprendiamo con tale espressione, è cosa del tutto differente dall’affermare che non comprendiamo l’espressione. È ovvio che non possiamo neppure sollevare la questione di come debba essere analizzato ciò che di essa comprendiamo, se prima non l’abbiamo capita.»
In sintesi, per George Moore non ha senso la negazione di qualcosa di cui non conosciamo l’esistenza, proprio perché non vi è un legame necessario e causale con la mente.
Il senso comune e il Here is one hand: George Moore contro lo scetticismo
Ma se la ragione non supporta in modo necessario l’asserzione che esiste un mondo esterno, come possiamo avvalorarne l’esistenza? La risposta è il senso comune. Però, non dobbiamo credere che George Moore annulla l’importanza della logica e della riflessione. Infatti, il senso comune, finora bistrattato dalla filosofia, appare ad un’attenta analisi logica la chiave di comprensione del mondo. «Esiste attualmente un corpo umano vivente, che è il mio corpo.» Questa verità, che ognuno possiede, la apprendiamo proprio dal senso comune, non dal ragionamento, ed è alla base di ogni nostra conoscenza. Ma essa può essere dimostrata logicamente.
Here is one hand, “Ecco una mano”, è la famosa formula che apre il ragionamento di George Moore. La mano è lo strumento con cui il nostro corpo esperisce e il filosofo afferma “Qui è la mia mano sinistra; qui è la mia mano destra; ci sono due mani”. “Ecco una mano” ha un significato ordinario, ma la mano è un oggetto materiale, e l’uomo ne possiede due. Dunque, se vi sono già due oggetti esterni con cui esperiamo il mondo, possiamo affermare che esiste un mondo esterno.
Inoltre, George Moore elabora una formula logica che ribalta qualsiasi visione scettica. Difatti, il pensiero di un soggetto (S) può presentarsi così: Se S non sa che non-sp (cioè non sa che non vi è una possibilità scettica), allora S non sa che q (cioè, non conosce un determinato fatto). Ma questa affermazione può trasformarsi, afferma Moore, così: se S non sa -sp, allora S non sa q. Ma S sa q. Allora, S sa che non-sp (cioè, sa che non vi è possibilità scettica). Questa formula è nota come The Moore shift, “la manovra di Moore”.
Le affermazioni di Moore a favore del senso comune sono forse le più dibattute e ancora oggi il dibattito su questi temi è aperto.
Luigi D’Anto’
Bibliografia
S. Gabriele, Intuizionismo morale di G. E. Moore, Mimesis, 2013.
D. Hume, Trattato sulla natura Umana, (in part. libro III), Bompiani, 2001.
Sitografia
Per approfondire, si veda Senso comune in Dizionario Treccani online.
Nota: l’immagine di copertina dell’articolo è ripresa dal sito Pixabay.