Wilhem Brasse è stato un uomo che ha vissuto, come molti, gli orrori dei campi di concentramento. Ad Auschwitz sarà costretto a fotografare diversi prigionieri, prima della loro imminente morte.
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La biografia di Wilhem Brasse
Wilhem Brasse è conosciuto come il fotografo di Auschwitz. Nacque in Polonia nel 1917, da padre austriaco e madre polacca. Il suo interesse per la fotografia si fece subito vivo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, ricevette molte pressioni per entrare all’interno dell’esercito tedesco e giurare, quindi, fedeltà ad Hitler. Non dimostrò mai alcun interesse verso il regime ed infatti fuggì in Francia, ma fu catturato ed incarcerato. Nel 1940, dopo diversi interrogatori da parte della Gestapo, fu deportato ad Auschwitz come prigioniero politico. Il suo numero identificativo era 3444. Lui riuscì a salvarsi grazie al suo talento da fotografo: egli aveva il compito di fotografare i prigionieri per identificare eventuali tentativi di fuga. Brasse fu costretto ad accettare, altrimenti sarebbe stato ucciso dalle SS.
Gli ultimi anni e la morte
Wilhem Brasse non riuscì mai a raccontare la propria storia e non riprese mai più la macchina fotografica. Non riusciva a scattare foto a persone felici, avendo nella propria mente le immagini dei prigionieri del campo di concentramento. Lavorò per tutta la sua vita come salumiere. Solo nel 1990 cominciò a girare tra le scuole per portare la sua testimonianza ad Auschwitz. È morto in Polonia, nel 2012.
Le fotografie di Wilhem Brasse
Brasse scattò più di 50000 fotografie, tutte uguali: erano ritratti, tre foto vicine, una di profilo, una di fronte e una con il prigioniero girato a 45 gradi. Queste foto, in realtà, furono scattate a tutte le persone che, di lì a poco, sarebbero morte nelle camere a gas. Altre foto furono scattate per documentare bambini (soprattutto gemelli), zingari, ebrei, anziani, vittime degli esperimenti pseudo-medici di Josef Mengele, soprannominato ‘’il dottor morte’’. Egli usava i prigionieri come cavie umane.
I soggetti venivano fatti sedere su uno sgabello, che veniva fatto girare su se stesso; il fotografo scattava le tre “viste” d’ordinanza: fronte, profilo, trequarti. Brasse raccontò che molti gerarchi delle SS si divertivano a colpire il pedale, far cadere lo sgabello e il prigioniero. “Prima delle foto, il prigioniero doveva essere rasato, la sua uniforme doveva essere ordinata, solo così si poteva scattare; aspettavano in fila il loro turno, il prigioniero entrava e si sedeva. C’erano tre tipi di foto scattate: la prima indossando un cappello, la seconda senza. Poi il detenuto veniva girato sullo sgabello e la terza foto era di profilo. Poi il comando era ‘’Wek!’’, ovvero ‘’Fuori!’’.
La fotografia di Czesława Kwoka
Czesława Kwoka nacque in un piccolo villaggio polacco nel 1928. Insieme alla madre, nel 1942, fu deportata ad Auschwitz. Morì a marzo del 1943, un mese dopo la morte della madre. Brasse rimase molto colpito dalla giovane ragazza, polacca come lui, ma più piccola di dieci anni. Durante le interviste, Brasse raccontò di aver scattato migliaia di fotografie, ma ricordò specialmente queste: ‘”Era così giovane e così terrorizzata. La ragazza non capiva perché fosse lì e non capiva cosa le stessero dicendo. Allora una donna Kapo (una detenuta sorvegliante) prese un bastone e la colpì in faccia. Quella donna tedesca stava solo sfogando la sua rabbia contro la ragazza. Una ragazza così bella, così innocente. Lei pianse, ma non poté fare nulla. Prima che la fotografia fosse scattata, la ragazza si asciugò le lacrime e il sangue dal taglio sul labbro. A dire la verità, mi sentivo come se fossi stato colpito io stesso, ma non potevo intromettermi. Sarebbe stato fatale per me. Non potevi dire assolutamente nulla.”
Le foto alle SS
Brasse non fotografò solo i prigionieri, ma anche molti membri delle SS, perché dicevano che il fotografo metteva le persone davanti l’obiettivo a proprio agio. Brasse fu costretto a scattare anche foto ai treni che arrivavano ad Auschwitz. Il Processo di Norimberga riuscì ad accusare molte persone per crimini di guerra, anche e soprattutto grazie alle foto di Brasse.
La fine della Guerra
Nel 1945, con l’Avanzata dell’Armata Rossa, le SS capirono che era necessario cancellare tutto e non lasciar alcun indizio di ciò che era accaduto nei campi. Ordinarono a Brasse di eliminare e bruciare ogni singola foto che aveva scattato. Brasse riuscì a salvare molte fotografie: non si poteva cancellare ciò che era accaduto, i visi spaventati di povere persone che sono morte per mano di mostri. Oggi, gran parte di quelle foto rappresenta una documentazione importante, custodita al Museo di Auschwitz-Birkenau.
L’eredità di Wilhem Brasse
Wilhem Brasse aveva un unico compito: fotografare i prigionieri prima della loro morte. Il suo atto di coraggio, ovvero quello di conservare tutto, ha permesso a noi tutti di interrogarci, ogni giorno, su quelle malvagità. Il giornalista inglese Fergal Keane afferma: “Brasse ci ha lasciato un’immagine potente nelle immagini, attraverso le quali possiamo vedere le vittime dell’Olocausto come umane e non come statistiche. Le fotografie sono l’opera di un uomo che ha combattuto per mantenere viva la sua umanità in un luogo di inimmaginabile malvagità’’.
Non sono, però, mancati altri commenti, come quello di Clément Chéroux, che afferma, con molta fermezza come, in realtà, anche Brasse fosse un perpetratore di olocausto; le sue fotografie rendevano i prigionieri inutili, erano la testimonianza di persone diventate nulle, per mano dei nazisti. È per questo che non si può dimenticare mai.
Anna Lisa Accurso
Fonti:
- VOLTI DEL XX SECOLO: Wilhelm Brasse, il fotografo di Auschwitz – YouTube
2. il fotografo di Auschwitz – Per ricordare Wilhelm Brasse trailer – YouTube
3. Czesława Kwoka – Wikipedia
4. PER RICORDARE WILHEM BRASSE, IL FOTOGRAFO DI AUSSCHWITZ ( Żywiec, Polonia, 1917 – Żywiec, 2012 )– TRAILER CON SOTTOTITOLI IN INGLESE | Nel delirio non ero mai sola
Fonti media: File:Koncentračný tábor Auschwitz-Birkenau 9.JPG – Wikimedia Commons , Czeslawa Kwoka – Brasse – PICRYL Public Domain Image (getarchive.net)