Menone: Platone e la reminiscenza

La reminiscenza di Platone è una famosa teoria in ambito filosofico. Cioè, l’idea secondo la quale tutto ciò che apprendiamo è un riportare alla memoria qualcosa che già è dentro di noi da prima della nascita. Platone espone tale idea nel dialogo Il Menone. In questo articolo illustriamo questo dialogo e approfondiamo il tema della reminiscenza.

Posizione del Menone nel corpus platonico

Menone
Ricostruzione del volto di Socrate sulla base delle sue statue di marmo. Fonte: Wikimedia Commons.

Innanzitutto, Il Menone è l’ultimo dei quattro dialoghi che costituiscono la sesta tetralogia. Infatti, il filosofo Trasillo ordina i dialoghi platonici e li divide in gruppi da quattro. In effetti, possiamo individuare una connessione tematica tra i testi di questa sesta tetralogia. Cioè, L’Eutidemo, il primo dei quattro, presenta un dialogo corale che ha più l’aspetto di un agone tra due sofisti da un lato e Socrate e il giovane Eutidemo dall’altro.

Poi, i due dialoghi che seguono, Il Protagora e Il Gorgia, hanno anch’essi come oggetto di discussione l’arte retorica. Infine, Il Menone ritorna sulla questione. Ma approfondisce al contempo alcuni aspetti rimasti aperti negli altri dialoghi. Cioè, ad esempio nell’Eutidemo è poco chiaro se gli uomini apprendono o meno cose nuove, e come ha luogo l’apprendimento. Invece, nel Menone la reminiscenza offre una risposta al riguardo. Inoltre, abbiamo un chiarimento sull’importanza della virtù come ciò che differenzia l’educazione rispetto al semplice insegnamento della sofistica.

Chi è Menone?

Dunque, in questo dialogo troviamo quattro personaggi. Cioè Socrate, i suoi interlocutori Menone e Anito, e uno schiavo che subentra nel discorso in un secondo momento. Quindi, come spesso avviene nei dialoghi platonici, il nome del dialogo deriva da uno dei personaggi presenti nella narrazione.

In effetti, nel dialogo è assente qualsiasi indicazione su chi è Menone. Tuttavia, ci fornisce qualche informazione Tucidide. Dunque, sappiamo che appartiene a una famiglia aristocratica e che è un generale tessalo. In effetti, Tucidide lo tratteggia in modo negativo, dato che dopo la sconfitta greca contro i Persiani a Cunassa nel 401 a. C. passa dalla loro parte, sotto il comando di Ciro il Giovane. Poi, durante la guerra tra Ciro e suo fratello Artaserse, cade prigioniero di quest’ultimo.

Anche se nel dialogo è assente un’immagine negativa di Menone, possiamo credere che Platone sceglie tale personaggio storico proprio per la sua storia. Infatti, Menone oltre che generale è anche studioso di matematica e del pensiero filosofico di Gorgia. Quindi, è l’interlocutore giusto per gli argomenti qui trattati. Ma è anche un giovane su cui cade l’ammonimento di Socrate. Infatti, solo chi si avvicina alla scuola socratica e coltiva la virtù al di là dell’arte sofistica può raggiungere dei buoni risultati. Perciò, il destino di Menone che tradisce la Grecia senza uscirne ricco di gloria è il perfetto esempio di chi tralascia questa strada.

La circostanza descritta nel Menone

Anche se in vari dialoghi platonici troviamo la descrizione del luogo in cui avvengono le conversazioni in essi descritte, ciò non vale per Il Menone. In effetti, gli studiosi si chiedono se Platone descrive una scena che avviene in un luogo pubblico o privato. Infatti, a tratti sembra un luogo pubblico, in quanto solo a un certo punto del dialogo fa la sua comparsa Anito. Eppure, Platone nomina Menone come “ospite” di Anito, il che sembra indizio di uno scenario privato.

Comunque, è rilevante che in questo dialogo accanto a Menone Anito è l’altro interlocutore di Socrate. Infatti, questi è la persona che dà il via al processo di Socrate descritto nell’Apologia. Cioè, è proprio lui che segna la morte del vecchio filosofo. In effetti, qui viene anticipato un tema descritto proprio nel processo a Socrate, oltre che in altri dialoghi della prima tetralogia che raccontano la morte del filosofo, come Il Critone. Cioè, l’importanza delle leggi della città. Infatti, qui Anito è uno strenuo difensore del ruolo delle leggi. Invece, Socrate ridimensiona questo aspetto e mette in guardia lo stesso Anito su questo punto.

Insomma, sembra che Menone e Anito svolgano due ruoli complementari. Cioè, il primo rappresenta colui che, se accetta la via socratica, giunge a una condizione ideale di vita. Invece, il secondo è colui che non la comprende e provoca la morte del filosofo. Ma in questo modo condanna anche sé stesso, in quanto misconosce la vita virtuosa.

La domanda di Menone sulla virtù

Innanzitutto, Menone chiede a Socrate se la virtù può essere insegnata oppure no, se gli uomini la apprendono solo grazie all’esercizio, o ancora se taluni uomini la possiedono dalla nascita. Così, Socrate domanda a Menone cosa è la virtù, in quanto solo dopo tale risposta ha senso una qualsiasi risposta alla sua domanda. Perciò, Menone fornisce vari esempi, come fare il bene per la città, per gli amici, per la casa, e per lo sposo. Ma Socrate nota che questa non è la risposta alla sua domanda, in quanto vuole sapere la definizione di virtù. Cioè, cosa rende tutte le cose, di cui Menone parla, virtù.

Così, ciò che sembra il filo rosso di queste cose è la giustizia e la temperanza, le quali appartengono a tutti gli uomini. Poi, Menone afferma che è parte della virtù il buon comando. Ma ammette con Socrate che il buon comando equivale al comando eseguito con giustizia. Perciò, chiede Socrate, la giustizia equivale alla virtù, oppure è una virtù? In effetti, la domanda corrisponde a quella se il bianco è il colore oppure un colore, dato che esistono altri colori. Però Menone trova difficoltà nella risposta, in quanto non vede una virtù che è presente in tutte le virtù.

Perciò, Socrate spinge Menone verso una nuova definizione di virtù. Dunque, quest’ultimo afferma che la virtù è desiderare cose belle e procurarsele. Tuttavia, Socrate nota che ci sono persone che desiderano cose belle e altre che desiderano cose brutte. Queste ultime persone o non sanno che quelle cose sono brutte, oppure sperano di averne un vantaggio. Comunque, ciò dimostra che tutti gli uomini desiderano per sè solo cose che ritengono buone. Dunque, non vi sono persone che non possiedono questa caratteristica.

L’anamnesi: esperimento con lo schiavo

Dunque, la virtù riguarda la capacità di possesso di cose buone, e tale possesso si accompagna alla giustizia e alla temperanza con le quali ogni uomo acquisisce questa possessione. Tuttavia, prima la temperanza e la giustizia apparivano come alcune virtù. Cioè, Menone afferma che la virtù è possedere cose tramite la virtù. Ma è evidente che tale definizione è non valida perché contempla al suo interno l’oggetto stesso che definisce.

Così, Menone cade nello sconforto per il modo con cui Socrate riporta il discorso al punto di partenza. In effetti, egli afferma, anche Socrate non conosce la virtù. Quindi, in che modo può individuare cosa è virtù? Così, Socrate nota che Menone gli dice che è inconoscibile sia ciò che si conosce, dato che già lo si conosce, sia quello che non si conosce, perché appunto è tale. Ma l’anziano filosofo gli rivela che alcuni sacerdoti di antichi culti spiegano questa problematica con l’anamnesi. Cioè, l’anima dell’uomo è immortale, in quanto dopo la morte rinasce. Dunque, l’anima conosce già tutto grazie a questo ciclo di rinascite, e suo compito è il ricordare.

Così Socrate chiama a sé uno schiavo di Menone e gli sottopone delle domande di geometria sul quadrato. Così lo schiavo, che ignora la geometria, poco alla volta risponde. In effetti, egli commette un errore, in quanto ritiene che l’area di un quadrato doppio di quello che ha un lato di 2 piedi possiede lato di lunghezza 4 piedi. Poi, quando Socrate gli mostra l’errore, propone un quadrato di lato 3 piedi. Ma anche tale risposta è errata e lo schiavo ammette che non conosce la risposta. Tuttavia, questo risultato soddisfa Socrate, dato che lo schiavo rispetto a prima sa di non sapere. Cioè, ha più conoscenza di prima, e la ammette da solo.

La reminiscenza e la maieutica

Menone
Schema che mostra lo sviluppo dei ragionamenti che Socrate propone allo schiavo di Menone. Fonte immagine: Wikimedia Commons.

Insomma, per Socrate questo è un esempio che prova la verità del ciclo di rinascite dell’anima, e che l’apprendimento è in realtà reminiscenza. Dunque, anche nel caso della ricerca sulla virtù, essa è un “riportare alla mente”, atto che egli definisce “maieutica“, e ciò avviene tramite ipotesi. Perciò, Socrate avanza l’ipotesi che la virtù è scienza.

Innanzitutto, noi affermiamo che la virtù è un bene. In effetti, molte cose sono un bene per l’uomo, come la ricchezza, la salute, la bellezza e la forza. Però alcune sono relative all’anima, come la temperanza, la giustizia, e la memoria. Ma tutte le cose che sono nell’anima sono relative all’intelligenza. Del resto, tutte le virtù derivano dall’intelligenza, in quanto essa indirizza al meglio tutte quante. Dunque, la virtù è conoscenza. Perciò, essa va appresa e i buoni non sono tali per natura. Tuttavia, ammette Socrate, egli ha cercato dei maestri di virtù ma non ne ha trovati.

Anito

Così, entra in scena Anito, di cui Socrate elogia il padre come un uomo divenuto ricco grazie alla sua virtù. Perciò, Socrate gli chiede se pensa che buoni maestri di virtù sono i sofisti. Ma Anito sobbalza e afferma che questi uomini rovinano i giovani e pretendono anche un pagamento. Invece, gli uomini virtuosi hanno appreso le virtù da altri uomini virtuosi. Però Socrate sottolinea che il problema è proprio se gli uomini virtuosi sono anche maestri di virtù. Infatti, egli pone l’esempio di Tucidide, il quale era uomo virtuoso a differenza dei suoi figli. Ma a queste parole Anito diviene nervoso e interrompe il dialogo.

Così, Socrate ricomincia la discussione con Menone. Dunque, l’anziano ateniese cita diversi modi di dire, per i quali ora la virtù può essere insegnata ora no. Dunque, sia i maestri, sia chi parla dei maestri tramite questi detti, non conosce l’oggetto dell’insegnamento, dato che chi è confuso non può insegnare. Ma di ciò di cui non vi sono maestri, non vi sono neppure scolari. Dunque, se della virtù non esistono maestri e scolari, non è insegnabile.

Conclusione

Ma a questo punto, Socrate afferma che stessa cosa è avere scienza e avere retta opinione. Infatti, invece di snobbare le opinioni, bisogna ammettere che finchè si possiede retta opinione si commettono opere virtuose, come chi ha scienza. In effetti, l’unica differenza tra rette opinioni e scienza è che le prime hanno una natura mutevole. Cioè, è facile che in una persona esse non resistono a lungo. Ma finché vi sono, permettono il giusto agire. Quindi, la reminiscenza è questo: la capacità di riportare la conoscenza che dà retta opinione al livello di scienza.

Dunque, la virtù, in quanto non insegnabile, non è scienza ma retta opinione. Quindi, i politici virtuosi governano la città tramite rette opinioni. Cioè come per ispirazione, e senza sapere davvero cosa fanno. Quindi, la virtù è propria di alcuni uomini per volontà divina. Così, termina il dialogo, e Socrate chiede a Menone di convincere Anito su queste idee, perché ciò sarebbe un giovamento per tutta la città.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.

Sitografia

Parziale lettura del Menone su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=DVm6qh1HGDQ

Nota: l’immagine di copertina è da Wikimedia Commons.