Il Gorgia di Platone è un dialogo nel quale il filosofo di Atene presenta un confronto tra il suo maestro Socrate e uno dei sofisti più famosi, Gorgia. In questo articolo ne illustriamo i contenuti e descriviamo la sua posizione all’interno del corpus platonico.
Indice dell'articolo
Collocazione del Gorgia di Platone tra i dialoghi
Il Gorgia di Platone è, se seguiamo l’elenco del filosofo Trasillo, il terzo dialogo della sesta tetralogia. Infatti, Trasillo suddivide i dialoghi platonici in gruppi da quattro, e presenta Il Gorgia come il ventitreesimo. Tuttavia, va detto che questo ordine non rispetta la cronologia della realizzazione dei dialoghi, e non è nemmeno una narrazione lineare della vita di Socrate. Infatti, leggiamo della morte di Socrate già nella prima tetralogia, che inizia con L’Eutifrone e termina col Fedone. In effetti, la ricerca di una linearità narrativa tra i dialoghi è impensabile, dato che molti di essi presentano incongruenze e anacronismi, proprio come Il Gorgia. Cioè, l’obiettivo di Platone non è quello di trascrivere in modo fedele fatti e dialoghi avvenuti per davvero, quanto la trasmissione di idee in forma dialogica. Dunque, è sotto questa luce che va letto Il Gorgia di Platone.
Il Gorgia storico e “il Gorgia di Platone”
Innanzitutto, Il Gorgia di Platone fa riferimento a un personaggio reale, Gorgia di Leontini. Quindi, si tratta non di un ateniese ma di un abitante della Sicilia (al tempo colonia greca) nato agli inizi del quinto secolo a.C. Tuttavia, sappiamo della sua amicizia con Pericle, quest’ultimo a capo di Atene. Dunque, Gorgia è stato forse più volte nella città di Socrate e Platone. Comunque, la sua fama è grande tra i suoi contemporanei. Infatti, è ricordato come uno dei più importanti sofisti insieme a Protagora, Prodico e Ippia di Elide.
In effetti, Gorgia è di solito ricordato nei manuali scolastici come un filosofo, come d’altra parte anche gli altri sofisti. Ma ciò non desta stupore, in quanto in questo periodo storico il confine tra filosofia e arte sofistica è sottile. Difatti, Il Gorgia di Platone è un dialogo che mostra proprio la differenza tra il sapere di Gorgia e dei suoi discepoli, presentati come sofisti, e quello di Socrate, che al contrario è così come lo presenta Platone, un filosofo.
In sintesi, è molto probabile che la vicenda descritta nel Gorgia di Platone non abbia mai avuto luogo. Cioè, se Platone sceglie proprio Gorgia come contraltare di Socrate è per la fama che egli ha ad Atene e per il tipo di sapere che rappresenta. Tuttavia, come sottolinea lo studioso Giovanni Reale, Platone ha per Gorgia un certo rispetto. In effetti, questo lo cogliamo dal modo in cui il sofista parla nel dialogo, mentre in altri testi troviamo personaggi ben più ridicolizzati. Però Platone mostra come questi possiede una conoscenza incompleta, in quanto non è possibile l’insegnamento della retorica senza la conoscenza della giustizia. Cioè, chi applica la retorica senza la conoscenza della giustizia, commette l’ingiustizia con facilità.
La circostanza descritta nel Gorgia di Platone
Innanzitutto, in questo dialogo troviamo cinque personaggi. Cioè, oltre a Socrate e Gorgia, vi sono Cherofonte, amico di Socrate che qui parla poco, e poi Polo e Callicle, discepoli di Gorgia. Poi, in quanto al luogo, è incerto se si tratta di un luogo pubblico o privato, forse la casa di Callicle.
Così, il dialogo inizia con Callicle che saluta Socrate e lo informa di un discorso molto piacevole appena tenuto da Gorgia. Ma Socrate dà la colpa a Cherofonte che si è attardato in piazza. Però Callicle afferma che Gorgia vuole di certo mostrare il suo sapere anche a loro. Tuttavia, Socrate afferma che desidera conoscere da Gorgia che cosa egli professa e insegna, e la funzione della sua arte. Così, gli chiede se è vero che lui ha una risposta per qualsiasi domanda che gli viene fatta. In effetti, afferma Gorgia, è così, e nessuno gli ha rivolto una domanda nuova da diversi anni.
Ma Polo prende la parola e, con la scusa che Gorgia è stanco, propone di rivolgere a lui qualsiasi domanda. In effetti, Cherofonte è sorpreso, perché Polo ammette di poter rispondere a qualsiasi domanda come il suo maestro Gorgia. Ma Polo insiste, e Cherofonte gli chiede di quale arte è esperto Gorgia e come va chiamata. Così inizia la parte argomentativa del dialogo.
Il mestiere di Gorgia
Innanzitutto, Polo risponde che Gorgia professa la più bella delle arti. Così, Socrate ribatte che Polo, che a quanto pare conosce la retorica, elude la risposta corretta alla domanda. Perciò, Polo risponde che l’arte in questione è proprio la retorica. Inoltre, Gorgia precisa che la sua professione è rendere altri come lui, i migliori nella retorica. Dunque, Socrate gli chiede di cosa si occupa questa scienza, in quanto di certo non tratta di cure mediche perché questo lo fa la medicina, o la ginnastica. Difatti, Gorgia conferma questa affermazione.
Ma, dice Socrate, la medicina è corretta esposizione della scienza medica, e la scienza del corpo è corretta esposizione della ginnastica. Dunque, anche le altre scienze vanno chiamate retoriche. Però, Gorgia spiega che tutte le scienze fanno riferimento ad azioni pratiche, mentre soltanto la retorica ha luogo col solo discorso. Perciò, Socrate chiede quali sono gli argomenti di questi discorsi.
Così, Gorgia risponde che i suoi argomenti sono “le più grandi e migliori delle cose umane”. Ma Socrate subito ribatte che ciò è discutibile. Infatti, un medico afferma che le cose di cui lui tratta sono le migliori, e in modo uguale il maestro di ginnastica e il finanziere. Così, Gorgia spiega che il suo bene è il più grande perché permette il dominio nella propria città, cioè capacità persuasive durante qualsiasi tipo di riunione. Quindi, Socrate chiede a Gorgia se crede in una differenza tra il sapere e il credere, e visto che questi concorda, pone una differenza tra la credenza senza sapere e l’altra che produce scienza. Così, sempre con l’assenso di Gorgia, Socrate conclude che la retorica appartiene al primo tipo. Cioè, è l’arte della persuasione senza conoscenza.
Intervento di Polo
Dunque, Socrate afferma che in casi in cui ci sono ad esempio riunioni tra tutti i medici, il retore non deve esserci, poiché devono presenziare solo gli specialisti del settore. Invece Gorgia nota come un retore convince un malato nell’assunzione di un farmaco meglio di un medico. Dunque, afferma Socrate, se il retore è più persuasivo del medico, vuol dire che è più persuasivo di chi sa. Ma essere persuasivi è più possibile se si conosce l’oggetto per il quale si tenta la persuasione. Dunque, il retore deve conoscere la giustizia, in quanto chi conosce la giustizia è giusto, e il giusto è colui che dice cose giuste. Perciò, se questo è il retore, egli non vuole mai fare ingiustizia, in quanto il giusto fa sempre cose giuste.
Ma ecco che prende la parola Polo, il quale, in polemica con Socrate, lo tartassa di domande. Così, gli chiede che cosa è secondo lui la retorica. Però Socrate risponde con la definizione che Polo stesso dà in un suo testo, cioè “una pratica empirica” e non un’arte, ed è la pratica di produrre un certo piacere. Dunque, Polo gli chiede se non è un’arte bella, visto che produce piacere. Invece, Socrate nota che anche la culinaria produce un piacere, quello del gusto. Eppure, non è bella, nel senso che non produce il bene. Infatti, la dieta prescritta dai medici non produce piacere, ma è quella che fa bene, a differenza di quella che produce piacere.
Inoltre, per Socrate la retorica è la pratica di qualcosa che non è affatto bella. Cioè, la lusinga. Infatti, ci sono cose che fanno sembrare sia il corpo sia l’anima sani mentre non lo sono affatto, e la lusinga è tra queste.
Varie forme di lusinghe
Innanzitutto, vi sono due arti che riguardano il corpo, cioè la ginnastica e la medicina, e due che riguardano l’anima, cioè la legislazione e la giustizia. Tuttavia, la lusinga si insinua in tutte e quattro e prende le forme di culinaria, il curarsi della bellezza falsa, la sofistica e la retorica.
Però Polo pone un’altra domanda a Socrate. Cioè, se i retori non hanno un grande potere nelle città. Ma Socrate, con stupore di Polo, risponde di no, e chiarisce che potere è qualcosa che è bene per chi lo detiene. Dunque, i retori sono quelli che hanno meno potere di tutti. Infatti, i tiranni e i retori sono quelli che non fanno ciò che vogliono ma ciò che a loro sembra meglio. Quindi, Polo chiede se non è questo il senso di avere un grande potere. Ma Socrate afferma di no, coloro che fanno ciò che gli pare migliore senza avere intendimento non hanno potere. Difatti, tiranni e retori non fanno ciò che vogliono ma ciò che reputano migliore.
Dunque, Socrate afferma che vi sono azioni buone, o cattive, o né buone né cattive, e queste ultime sono ad esempio il sedere e il navigare, che l’uomo compie nell’ottica di raggiungere comunque un bene. Invece, tiranni e retori fanno ciò che reputano giusto, anche uccidere uomini. Cioè, anche azioni che reputano mali. Dunque, essi non sono liberi nelle loro azioni. Perciò, se un cattivo è degno di compassione, coloro che compiono azioni cattive per tendere al giusto non sono invidiabili. Infatti, il più grande dei mali è fare ingiustizia.
Ingiustizia e giustizia
Così, Polo chiede se è davvero il fare ingiustizia il più grande dei mali, e non piuttosto il riceverla. Quindi, Socrate risponde che lo è il fare ingiustizia. Dunque, chiede Polo, Socrate non invidia il potere dei tiranni? Così, Socrate ripete di no, perché il grande potere che questi hanno non significa fare quello che si vuole. Infatti, chi è onesto e buono è felice, mentre l’ingiusto è malvagio e infelice. Tuttavia, Socrate vuole convincere Polo e gli chiede se egli pensa che chi commette ingiustizia è felice se non sconta la pena, e quando Polo gli risponde di sì, l’anziano ateniese afferma che invece è più felice chi sconta la pena.
Difatti, scontare la pena vuol dire liberarsi dal più grande dei mali. Infatti, il peggior stato dell’anima è l’ingiustizia, l’ignoranza e la vigliaccheria. Dunque, liberarsi dalla malvagità tramite la pena è come farsi curare dal medico per liberarsi da un male del corpo.
Poi, Socrate fa riflettere Polo sul significato di uomini migliori, quelli che devono condurre la città. Difatti, prima Polo afferma che per migliori intende i più potenti. Poi però, sotto spinta di Socrate, conviene che i migliori sono i più saggi. Infatti, il fine di tutte le azioni è il bene, e per esso devono essere fatte tutte le cose. Perciò, il bene non equivale al piacere. Dunque, i retori dovrebbero avere come loro compito migliorare i cittadini, cioè produrre in loro giustizia e temperanza.
Mito sulle anime
Infine, il dialogo si chiude con un mito sull’aldilà. Così, racconta Socrate, Zeus stabilisce che dopo la morte i giusti vanno nelle Isole dei Beati e gli ingiusti nel Tartaro. Tuttavia, Plutone lamenta che molte anime finiscono nel posto sbagliato, e Zeus giustifica ciò affermando che le anime vengono giudicate ancora in vita e con i vestiti mortali addosso. Cioè, la bellezza del vestiario, così come la testimonianza di amici a loro favore, condiziona l’esito della destinazione. Perciò, Zeus dispone che da quel momento in poi le anime siano giudicate da Minosse, Radamante ed Eaco dopo la morte e senza vestiti.
Dunque, questo mito ricorda che non bisogna preoccuparsi di apparire buoni, ma di esserlo. Perciò, bisogna seguire il ragionare, che mostra come vivere secondo giustizia e virtù.
Luigi D’Anto’
Bibliografia
Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.
Sitografia
Ciclo seminariale sul Gorgia di Platone sul canale Youtube dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: https://www.youtube.com/watch?v=hc1UcJRVMHE.
Nota: l’immagine di copertina è da Flickr.com.