Poche volte capita che, entrando in una sala di un museo, ci si possa trovare faccia a faccia con i maggiori capolavori di uno degli artisti fondamentali di quella storia dell’arte che oramai nemmeno più sui banchi di scuola si riesce a studiare. A Padova, invece, può capitare di decidere di voler visitare l’ammirevole collezione del Museo Diocesano di Padova e trovarsi di fronte a Donatello in persona, o quantomeno all’Opera che grandemente ha contraddistinto la sua carriera d’artista del ‘400. Ci stiamo riferendo alla mostra “Donatello svelato. Capolavori a confronto” che, dal 28 marzo scorso sino al 26 luglio prossimo, è incentrata sui crocifissi del genio fiorentino, i due di Padova e il fiorentino della Basilica di Santa Croce.
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La mostra
Entrando nella Sala dei Vescovi del Museo, compare subito l’impressione che, seppur comprendente solo tre opere, la mostra abbia tutte le caratteristiche di essere un ottimo percorso scientifico e divulgativo. Oltre l’impatto visivo che destano i tre crocifissi disposti al centro del salone, i grossi pannelli grigi che li accompagnano e ne fanno da sfondo sono tra l’essenziale ed il concreto per accompagnare il visitatore a comprendere ed ammirare cotanti capolavori.
La forza di questa mostra è il percorso che si offre al visitatore, la possibilità di attraversare l’altezza artistica di Donatello tramite opere simili venute fuori in tre diverse fasi della sua vita.
Il Crocefisso di “pero”
Il primo crocifisso su cui soffermarci è quello fiorentino di Santa Croce della Cappella Bardi, in trasferta a Padova proprio per essere parte integrante del confronto che questa mostra vuole operare.
Datato al primo decennio del XV secolo, l’opera di legno di pero, ci racconta di un Donatello di primissima scuola ancora allievo della bottega di Lorenzo Ghiberti, ed è frutto di una sorta di gara con l’amico Filippo Brunelleschi che nel vedere il suo crocifisso non gli risparmiò la critica affermando che “gli pareva avesse messo in croce un contadino”. Il risentimento di Donatello fu grande tanto da sfidare il collega sul suo stesso campo invitandolo a creare anch’egli un Cristo in croce, ma dovette alla fine cedergli l’onore delle armi esclamando “a te è conceduto fare i Cristi, a me i contadini”.
In realtà la critica tagliente del Brunelleschi non si discostava dalla verità, il Cristo che si può ammirare a Firenze difatti ha le sembianze di una persona comune che si
sarebbe potuta incontrare per strada. Il suo volto, con gli occhi socchiusi e la bocca leggermente aperta, danno il senso di abbandono dei sensi che lo sta cogliendo, i capelli lunghi sconvolti e umidi, il corpo dalle fattezze tozze ma altamente reale nel suo abbandonarsi alla lunga sofferenza patita, il perizioma lungo fino al ginocchio che gli fascia la vita e le gambe. Donatello, in questa sua opera giovanile, mostra già la sua aderenza alla realtà sia nell’anatomia che nella psicologia interiore mostrata dal volto. Il corpo non armonizzato a dovere, in realtà, ci rivela un’altra caratteristica dell’artista fiorentino e cioè il suo preferire la resa psicologica alla rifinitura finale perfetta.
Il secondo crocifisso, stavolta bronzeo, è quello che completa il magnifico altare, progettato dal Donatello stesso, della Basilica padovana di Sant’Antonio che gli fu commissionato negli anni ’40 del 1400 per sugellare il presbiterio della grande chiesa. (per approfondire potete rileggere l’articolo della settimana scorsa sui “Compianti” e “Deposizioni” nell’arte)
Il Crocifisso del Santo
Il crocifisso inaugura il periodo padovano di Donatello ed un nuovo modo di esprimere la più alta simbologia della sofferenza di Gesù, il bronzo a questi livelli non era mai stato usato e Donatello apre così una nuova strada nell’arte sacra. Stavolta Cristo è fermato appena spirato, con il capo chino che comunque mostra ancora le pene appena patite; i capelli lunghi, ma composti, che scendono sulle spalle, le vene magnificamente a rilievo sulle braccia, il corpo emaciato coperto solo da uno straccio sottile, attaccato da una corda, che si muove in balia del vento. La realtà della figura umana sofferente è qui ancor di più accentuata dai chiaro scuri del bronzo, un vero e proprio capolavoro di tecnica.
Il Crocifisso “svelato”
Infine, al centro della sala, il vero e proprio “Cristo svelato”, il crocifisso della chiesa di Santa Maria dei Servi a poca distanza dal Museo Diocesano.
Storia contorta quella di quest’opera di cui non abbiamo nessuna datazione certa, le sue notizie partono dal 1512 allorchè fu protagonista, durante la settimana Santa, di sanguinamento dal costato e dal volto; da quel momento il crocifisso sarà venerato ed innalzato a grandi onori. Proprio a causa di troppa venerazione, l’opera è stata nel tempo oggetto di stress vari, dovuti anche a restauri che ne hanno minato la realtà, fino a renderlo così lontano dalla realtà da non riconoscerlo come opera di Donatello. L’ultimo intervento, probabilmente, a cavallo tra l’800 ed il ‘900 avrebbe potuto compromettere per sempre il capolavoro poichè fu ridipinto a finto bronzo (operazione comune all’epoca) ed è così che è arrivato fino a noi. È stato solo grazie al lavoro minuzioso di Marco Ruffini, professore di
Museologia e Critica alla Sapienza di Roma, e di Francesco Caglioti, insegnante di Storia dell’Arte Moderna all’Università Federico II di Napoli ed eminente esperto di Donatello, che il crocifisso è stato riconosciuto, nel 2008, nuovamente come uno delle migliori opere di Donatello. A seguito sono cominciati gli studi e i lavori di ripristino e restauro per poterlo riportare allo splendore iniziale; ebbene, grazie ai laboratori scientifici del CCR La Venaria Reale, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e quelli dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze l’opera di Donatello è tornata come appariva più di 500 anni fa.
Sofferente, forse ancora non abbandonato alla morte, appare nudo e risplendente; meno vivo di quello della Basilica del Santo, eppure sembra ancora vero il suo dolore, scavato nel busto e nel viso dalle pene del martirio. I colori originali, in gran parte recuperati, ci danno il senso del passaggio totale, da parte di Donatello, alla realtà psicologica che ha sempre prediletto nelle sue opere.
Una mostra da visitare per davvero comprendere la rivoluzione operata da Donatello, un lavoro che in tutto il suo periodo in Veneto ed a Padova è riuscito a segnare un percorso artistico che in tutta la città ha lasciato echi e ha fatto scuola. Donatello come caposcuola di tanti artisti padani e che ancora sorprende e lascia increduli dopo più di 5 secoli
Liberato Schettino