In un precedente articolo è stato introdotto il pensiero di Walter Benjamin attraverso il suo testo L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, puntando al concetto di estetizzazione della vita politica; ma per arrivarci è stato necessario dare uno sguardo alla categoria della distrazione.
Ancora sul concetto di Distrazione
Benjamin, quando parla di distrazione, si riferisce ad essa in quanto causa ed effetto di profonde modificazioni nell’appercezione – cioè della coscienza della propria percezione, quindi del modo umano di percepire. Nel modo di cogliere le cose della distrazione “la massa distratta fa sprofondare l’opera d’arte in sé.” Immediatamente Benjamin dà un esempio di ciò che intende per opera d’arte percepita nella distrazione:
Gli edifici nel modo più evidente. L’architettura ha sempre fornito il prototipo di un’opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e tramite la collettività. […] Le costruzioni vengono accolte in un duplice modo: attraverso l’uso e attraverso la percezione. O, per meglio dire: in modo tattile e in modo ottico. Non si dà alcun concetto di tale fruizione se la si rappresenta secondo la modalità di cose collezionate, com’è consueto per esempio da parte dei viaggiatori di fronte a costruzioni famose. Dal lato tattile non c’è infatti in nessun modo una controparte rispetto a ciò che è la contemplazione dal lato ottico. La fruizione tattile non avviene tanto sul piano dell’attenzione quanto su quello dell’abitudine. Nei confronti dell’architettura quest’ultima determina ampiamente perfino la ricezione ottica.
Ecco che, senza alcuna apparente valorizzazione, Benjamin sta cercando di dirci una cosa essenziale: c’è un passaggio nei vari cambiamenti percettivi umani, e questo passaggio è avvenuto, anche e soprattutto tramite l’architettura, dalla percezione contemplativa ottica (di un dipinto, ad esempio) – tramite quella tattile-abitudinaria, di cose che diventano per noi consuetudinarie – a quella ottica-abitudinaria. Cioè, persino la percezione ottica caratterizzata essenzialmente da una profonda attenzione nei confronti dell’oggetto che si sta guardando può trasformarsi attraverso la distrazione, quest’ultima derivante dai cambiamenti del mondo dell’arte e delle sue opere, in una percezione abitudinaria. Dice Benjamin:
Anche colui che è distratto può abituarsi. Di più: poter assolvere certi compiti anche nella distrazione dimostra innanzitutto che per l’individuo in questione è diventata un’abitudine assolverli.
Ed è qui che l’abitudine e la distrazione diventano concetti (estetici) della vita politica, conducendo lentamente al concetto di estetizzazione della vita politica; perché attraverso questo nuovo modus dell’appercezione e attraverso l’arte che lo pone come proprio strumento d’esercizio, si può ottenere un controllo dell’evoluzione dell’appercezione stessa, e quindi del modo in cui risolverla e di controllarla politicamente, e tramite essa controllare l’azione effettiva dell’uomo laddove l’opera d’arte è in grado di mobilitare le masse.
Attraverso la distrazione, come l’arte deve esibirla, si può tenere sotto controllo in quale misura i nuovi compiti dell’appercezione siano diventati risolvibili. Poiché del resto per il singolo il tentativo consiste nel sottrarsi a questi compiti, l’arte affronterà quello più difficile e più importante tra questi laddove è in grado di mobilitare le masse. Attualmente lo fa nel cinema. La fruizione nella distrazione […] trova nel cinema il proprio autentico strumento di esercizio.
Estetizzazione della vita politica
Dunque, studiando i cambiamenti della percezione dell’opera d’arte attraverso le modificazioni tecniche, ed in particolare la riproducibilità tecnica, si può fare dell’arte nella dimensione della fruizione distratta esercizio di controllo politico delle masse. Esemplare in questa pratica è la forma politica degli stati dittatoriali:
Il fascismo cerca di organizzare le recenti masse proletarizzate senza però intaccare i rapporti di proprietà
ovvero, per mantenere inalterati i rapporti di subordinazione delle masse rispetto ai gruppi dirigenti bisogna mantenere intatti i rapporti di proprietà, che invece le masse di recente formazione – quindi i gruppi di contadini che arrivavano dalle campagne per trovare nuova occupazione nelle industrie e che quindi si sono proletarizzati – andrebbero naturalmente ad intaccare allo scopo di ottenere maggiori diritti civili e di conseguenza una più elevata posizione sociale ed economica, nient’altro che una condizione di benessere maggiormente diffusa tra la popolazione. Ma uno stato dittatoriale non può non tenere un tale processo sotto controllo. Al fine di continuare ad essere detentore del potere politico, dunque, deve trovare un modo di dare una voce alle nuove formazioni di massa senza cambiare i rapporti di proprietà esistenti:
il fascismo vede la propria salvezza nel consentire alle masse di esprimersi (non di veder riconosciuti i propri diritti). Le masse hanno un diritto a un cambiamento dei rapporti di proprietà; il fascismo cerca di fornire loro una espressione nella conservazione degli stessi. Il fascismo tende conseguentemente a un’estetizzazione della vita politica.
Ecco raggiunto finalmente il significato dell’associazione di termini apparentemente lontani: estetizzazione della vita politica, ovvero: dare un soddisfacimento estetico, attraverso l’arte, a necessità politiche fondamentali delle masse. Nient’altro che un feticcio è allora l’opera d’arte usata ai fini di tale estetizzazione della vita politica, un contentino dato al popolo per assuefarlo ad un modo di percezione distratta in cui non sentirà più il bisogno di migliorare realmente le proprie condizioni di vita economiche e sociali in senso stretto. A tal punto risulta spontaneo il parallelo con la società contemporanea e il campo sovrastante dell’estetizzazione della vita politica.
Nunzia Rescigno
Fonti
Fonte citazioni: Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi.