Sussurri e grida è un film di Ingmar Bergman del 1972 che, grazie ai numerosi premi che ha vinto[1], ha dato la possibilità al regista di risollevarsi da un periodo economico particolarmente difficile.
Siamo nella Stoccolma degli inizi del ‘900, in una villa momentaneamente abitata da quattro donne[2]: Agnese, morente, circondata dalla presenza di Anna (la governante) e le sue due sorelle: Maria e Karin. Ognuna delle protagoniste ha una storia personale, segnata dal dolore e da un forte sentimento di insoddisfazione.
Karin ha una storia fatta da continue bugie, continui imbrogli e falsità. Una bolla di cinismo la tiene rinchiusa e fa in modo che essa sia sentimentalmente inavvicinabile. Cerca di mantenersi a distanza, di guardare gli altri come se fossero in una vetrina e decide di non amare per paura di non essere ricambiata. Dietro però questa maschera di austerità e freddezza si scopre un’instabilità impressionante: introversa sino al mutismo ma così disperata tanto da ferire il proprio corpo, masturbandosi con un pezzo di vetro, un estremo tentativo di invocare un aiuto.
Maria, invece, usa il sorriso come anamorfosi del reale. È saccente, sarcastica, egocentrica e non si interessa che del proprio stato d’animo. Tanto che non riesce ad amare davvero nessuno, e nel momento del bisogno è del tutto incapace di offrire aiuto e supporto.
Anna, la domestica, è l’unica che denota un’abbondanza di sentimenti positivi. È l’unica che sa amare e dare conforto perché reduce da una grave perdita affettiva: la figlia ancora in fasce. È l’unica davvero affezionata ad Agnese, riesce ad instaurare con lei un legame forte, materno, arrivando ad offrirle il seno perché si sente in dovere di curare, ancora una volta, una figlia avida di amore materno.
Il tema centrale di Sussurri e Grida è senza dubbio il bisogno di affetto, di un contatto, di una carezza. Solo il contatto e l’amore dell’uomo è in grado di elevarci, di lenire le nostre sofferenze, di rasserenarci.
«Just I need of human touch» – Bruce Springsteen
Sarà solo infatti quando Agnese accarezzerà sua madre che riuscirà a sentirla davvero vicina, a comprenderla, per la prima volta: il contatto instaura un legame molto più forte delle stesse parole e delle confidenze.
Il contatto umano è l’unico mezzo che ha a disposizione l’uomo per cercare di guarire dalla sofferenza che lo pervade, una sofferenza che deriva da un forte sentimento di abbandono. L’abbandono di Dio.
L’uomo è abbandonato a se stesso, sente la mancanza di Dio, il suo silenzio[3] è assordante tanto che anche gli uomini più fedeli ne soffrono.
«L’avevo preparata io alla cresima, facevamo dei discorsi lunghi ed estenuanti. La sua fede era più forte della mia.»[4]
L’incidenza visiva di Sussurri e Grida
Bergman utilizza le dissolvenze dal rosso: un raccordo fra le inquadrature di tipo inedito, che vuole indicare che tra una scena ed un altra vi è un legame intimo, viscerale.
L’uso del colore, in particolare così accesi, saturi, definitivi e vigorosi non è mai stato così pertinente e legato alla trama del film: sono in grado, di fatto, di trasmetterci passione, impeto, partecipazione e angoscia.
In Sussurri e Grida Bergman usa tre colori in particolare: il bianco, il nero e il rosso.
* Il rosso, che inonda gli ambienti (pareti, tende, coperte, sedie, poltrone) per indicare uno stato di dolore, una rottura;
* Il nero per indicare la morte, la rassegnazione dell’animo alla sua finitezza (trova evidenza nel buio della notte nella quale Agnese si sente male);
* Il bianco (delle vesti e delle lenzuola), l’assenza di colore e la ricaduta in uno stato di oblio.
In questo film, Bergman dimostra ancora una volta quanto sia perfettamente in grado di scavare nell’animo umano riuscendo a portare alla luce le paure e le angosce, anche quella più oscure, torbide, dolorose.
Sussurri e Grida costituisce sicuramente uno dei vertici della filmografia di Ingmar Bergman; è un’opera spietata e lucida sull’animo umano, che viene rappresentato come una creatura al tempo stesso fragile e crudele, innocente e colpevole, spietato e caritatevole.
Cira Pinto
1Premio Oscar per la miglior fotografia, David di Donatello come miglior regista straniero, Nastro d’argento e Gran premio della commissione superiore tecnica al Festival di Cannes.
2Ancora una volta, le donne sono il fulcro centrale dei suoi film. Bergman è uno dei pochi registi che ha saputo leggere l’animo femminile con tale delicatezza e sensibilità.
3Il silenzio di Dio e la sua assenza è un tema caro a Bergman, ha influenzato l’intera sua filmografia e soprattutto ”la trilogia del silenzio” di cui fanno parte: Come in uno specchio (1962), Luci d’inverno (1962) e Il silenzio (1963).
4 Il parroco, durante l’estrema unzione, dopo averla pregata di intercedere per loro che sono ancora intrappolati in quella «terra oscura ed immonda» schiacciati dalle paure e dalle insicurezze.