Il Catullo proibito tra poesie erotiche e insulti

Il Catullo proibito che non celebrò l’amore per Lesbia e l’amicizia con i suoi colleghi poeti. Esiste anche un Catullo sboccato, quello dei carmi proibiti.

il catullo proibito
Ritratto di Gaio Valerio Catullo

Quando si nomina Catullo, oltre che a certi ricordi scolastici legati a mastodontici dizionari di latino e ad interrogazioni a sorpresa, ci si riferisce ovviamente ad uno dei poeti più famosi, letti e nominati della letteratura latina.

La sua poetica si esprime nella sua unica opera, il liber. Una raccolta di carmi, brevi componimenti che trattano di temi semplici e quotidiani,  quindi una poesia lontana dal mondo politico dell’età repubblicana di Roma (e questa caratteristica verrà criticata da molti intellettuali,  tra cui Marco Tullio Cicerone ).

L’immagine che la tradizione ci ha fornito di Catullo è quella di un giovane che ha una storia tormentata con Clodia, sorella del tribuno Clodio identificata con lo pseudonimo di “Lesbia”, alla quale il poeta dedica molti dei più celebri componimenti della sua opera. Basti solo pensare a quel vivamus mea Lesbia che apre il carme 5 o al distico odi et amo del carme 85.

Il Catullo proibito

Tuttavia, esiste un lato del poeta che gli insegnati scolastici e i critici letterari hanno tentato di occultare il più possibile. Questo “pomo della discordia” è rappresentato da quella trentina di carmi raggruppati sotto il nome di “carmi proibiti“, caratterizzati da un linguaggio poco ortodosso e dai contenuti per niente raccomandabili.

il Catullo proibito
“Catullo legge alcune poesie ai suoi amici”- Stefan Bakałowicz (1885)

Del resto questa cosa non dovrebbe stupire più di tanto. I primi 60 componimenti del liber sono detti “nugae”, cioè “sciocchezze” e quindi questo basterebbe a giustificare il fatto che, tra poesie d’amore ed inni all’amicizia, si trovi anche qualche componimento aspro in cui il poeta veronese insulta qualcuno o qualcosa. Non solo: anche quando scriverà i “carmina docta”, Catullo non perderà occasione di lanciarsi in qualche turpiloquio. Vediamo allora qualcuno di questi carmi del Catullo proibito,  dove nelle parti più “oscene” si è deciso di applicare qualche censura.

Ad Aurelio e Furio (Carme proibito 16)

Qui Catullo prende di mira Aurelio e Furio, due rivali che lo accusano di essere poco virile per aver scritto poesie in cui si parla di “innumerevoli baci”. Il poeta ne approfitta per rigirare la frittata e accusa i suoi stessi rivali che, tra i vari lettori di quelle che considerano “sdolcinatezze” , ci sono anche loro.

Io ve lo ficcherò su per il c*** e poi in bocca,
Aurelio succhiac**** e Furio fr**** sfondata,
che pei miei versetti pensate, sol perché
son teneri e gentili, ch’io sia poco pudico e virtuoso.

Giacché è appropriato per un poeta onesto esser casto
con sé stesso, ma nulla è dovuto dai suoi versetti;
i quali hanno ora e per sempre arguzia e grazia,
quando son tenerelli e un poco spudorati,
e riescono a risvegliar un certo pruriginoso desiderio,
non dico nei fanciulli, ma in quei vecchi pelosi
incapaci ormai d’inarcar la schiena rattrappita.
Voi, che avete letto de’ miei innumerevoli baci,
pensate forse ch’io sia uomo perverso e poco virile?
Credetemi, ve lo ficcherò su per il c*** e poi in bocca.

 Ad Ignazio ( Carme proibito 39)

Questo carme, attraverso un’ironia sagace ed aggressiva, prende invece di mira Ignazio. Da quanto possiamo leggere, non doveva stare molto simpatico al nostro Catullo. In particolare, evidenzia come questi abbia il brutto vizio di ridere sempre, anche quando non dovrebbe.

Ignazio, per esibire i suoi denti candidi, ride,
ride in ogni luogo e per qualunque cosa. Quando il colpevole
attende il giudizio, nel momento in cui l’oratore desta il pianto,
lui ride; se si assiste afflitti al rogo d’un figlio devoto,
mentre la madre orbata del suo solo ragazzo piange disperata,
lui ride. Per qualunque cosa, ovunque si trovi,
in qualunque momento che sia grave, ride, ride sempre:
ha questo difetto che non è elegante, io penso, e neanche cortese.
Dunque te lo devo proprio dire, mio buon Ignazio.
Se tu fossi uno di Roma o un Sabino o un Tiburtino
o un Umbro grosso o un grasso Etrusco
o un Lanuvino orribile e coi denti di fuori
o un Transpadano, per metterci anche i miei,
o uno di un qualunque altro posto, dove si lavano i denti con acqua pura,
pure ridere in ogni luogo e per qualunque cosa ti renderebbe antipatico:
poiché non c’è nulla di più sciocco d’una sciocca risata.
Ma tu sei un Celtibero: in terra Celtibera
quello che uno piscia, la mattina dopo lo utilizza
per strofinare a sangue denti e gengive,
così quanto più questi vostri denti son puliti,
tanto più si palesa il piscio che ti sei bevuto.

“Quelle labbra rosse..” (Carme proibito 80)

Il carme prende in giro Gellio, un amico di Catullo che mostra delle tendenze omosessuali. Il poeta ha motivo di pensare ciò perché le labbra di Gellio sono rosse, simili a quelle femminili. Da notare la certa “eleganza” con cui Catullo allude agli organi genitali maschili.

Come puoi, Gellio, spiegare perché queste tue labbrucce rosee
divengono più candide della neve d’inverno,
quando alla mattina esci di casa o quando nel primo pomeriggio
delle lunghe giornate estive ti ridesti dal pigro riposo?
Per certo non saprei come avvenga: ma potrebbe esser vero, qualcuno lo sussurra,
che sei un divoratore di quell’enorme arnese ch’esce dall’inguine di un uomo?
è così, di sicuro: lo gridano la schiena rotta di Vittorio,
pover’uomo, e le tue labbra segnate dal latte che hai succhiato.

Contro Lesbia (carmi proibiti 37 – 42 – 58)

Se pensate che alla sua amata il nostro Catullo dedicasse solo poesie in cui la invitava a riempirlo di baci e ad ignorare le voci degli anziani invidiosi… vi sbagliate di grosso. Come già si è detto all’inizio, quella con Lesbia non sembra essere stata una storia idilliaca e Catullo lo dimostra con alcuni carmi, in cui non si risparmia per quanto riguarda il linguaggio.

Nel carme 37 ci viene presentata una squallida taverna, in cui si ritrovano alcuni uomini che si vantano di certe loro doti. In mezzo a questi uomini si aggira una donna:  si tratta di Lesbia, che si concede a loro. A Catullo non resta che scrivere cosa pensa a riguardo.

il Catulloproibito
“Catullo e Clodia” – Giulio Aristide Sartorio (1914)

Voi, bestie che frequentate quell’immonda taverna, 

nove colonne dopo il tempio di Càstore e Pollùce, 

pensate di averlo solo voi il c***o, che solo a voi,
qualunque fich**** si presenti, sia concesso
scoparverla mentre gli altri son tutti cornuti?
O forse, dal momento che sedete in cento o duecento
tutti in fila come deficienti, credete che non sarei capace
di ficcarvelo in bocca a tutti e duecento quanti siete?
E allora sappiatelo: sul muro fuori della taverna
scriverò che siete tutti dei gran caz**ni.
La mia donna, fuggita dalle mie braccia,
lei, amata quanto nessuna mai sarà amata,
in nome della quale ho combattuto così grandi battaglie,
siede lì, tra voi. Ve la sbattete a turno, quasi che foste onesti
e rispettabili, ma in realtà, ed è questa la cosa atroce,
siete un branco di mezze seghe fallite e put******i da strada;
e tu sei il primo, Ignazio, fra tutti quei capelloni,
nato tra gl’innumerevoli conigli della Celtiberia,
che credi d’esser bello nascosto dalla barba incolta
e ti sfreghi i denti sciacquandoli con l’urina.

Lesbia è anche al centro del carme 42, dove Catullo chiama a raccolta tutti i suoi endecassilabi ( la sua abilità poetica) e le chiede di “restituire i versetti“. Il carme è un’occasione per il poeta di sfoggiare tutta la sua ars poetica e la usa per offendere la donna.

Accorrete, endecassilabi, quanti voi siete
da ogni luogo tutti, tutti quanti, ovunque voi siete.
Una disgustosa pu***** pensa ch’io sia il suo zimbello
e si rifiuta di ridarmi i nostri versetti,
se solo voi poteste tollerarlo.
Inseguiamola, e non diamole tregua.
Chi mai sia, voi chiedete: quella, che vedete
incedere turpe, sembra un pagliaccio e con quella boccaccia
dalla risata molesta par essere un cucciolo di cane di Gallia.
Circondatela, e non datele tregua:
‘Fetida d’una pu*****, restituisci i versetti,
restituiscili tutti, pu***** putrefatta’.
Te ne freghi? Oh che zozza, che gran tr***,
la più degenerata che possa esistere.
Ma credo che questo non sia ancora sufficiente.
Se non altro che noi la si possa far bruciare di vergogna,
quella cagna dura come il ferro.
Strillate ancora, urlate più forte:
‘Fetida d’una pu*****, restituisci i versetti,
restituiscili tutti, pu***** putrefatta’.
Ma niente, non si ottiene niente, nulla la smuove.
È ragionevole per noi cambiar metodo e maniera,
se vogliamo sperare di ottener qualcosa:
‘O fonte d’immacolata bontà casta e pura, ridammi i versetti

 

Infine il carme 58, indirizzato a Celio,  mostra un Catullo incredulo e rassegnato quando scopre che la sua Lesbia si diverte a girare per i vicoli di Roma, allo scopo di “allietare” la gioventù latina.

Lesbia, la mia Lesbia, Celio, quella Lesbia,
proprio lei, la sola che Catullo mai abbia amato
più di sé stesso e d’ogn’altra cosa a lui cara,
agl’angoli delle strade e nel buio dei vicoletti
ora scappella i ca*** della fiera gioventù romana.

Il Catullo proibito: conclusioni

Da come si è potuto osservare, anche Catullo ogni tanto doveva togliersi il classico “sassolino dalla scarpa” e per farlo non bada a cerimonie. Attraverso allusioni sessuali e un linguaggio offensivo sapientemente architettato, il poeta veronese è stato capace di esprimere anche la più aspra sfaccettatura dell’animo umano che, spesso, rinneghiamo a personaggi di un certo calibro, come i poeti e gli scrittori.

Invece è una cosa del tutto normale. Non dobbiamo commettere il classico errore di immaginare i personaggi storici della cultura come persone altezzose e fredde, chiuse in un immaginario olimpo di saggezza. Piuttosto dobbiamo pensare che anche loro erano esseri umani come noi, con tutto un loro mondo da esprimere e quindi non dovrebbe sorprendere se, ogni tanto, anche i letterati avessero la “luna storta”.

Chiudiamo con una chicca: non un carme, ma una simpatica vignetta. Che ne dite, le cose sono andate davvero così?

il Catulloproibito
©dome roti

Ciro Gianluigi Barbato