Henri Cartier-Bresson, lo sguardo del XX secolo

Henri Cartier-Bresson, emblema del fotogiornalismo francese, oltre che essere stato un importante teorico di fotografia, ha anche saputo trasportarvi all’interno quell’impronta surrealista che aveva avuto modo di conoscere in fase giovanile, anche se preso da un’iniziale interesse per la pittura.

La sua passione per la fotografia, infatti, non arriva subito e pare quasi inesistente durante i suoi primi viaggi.

A suo dire, infatti, è stato uno scatto di Martin Munkacsi a fargli capire la sua vera vocazione nonché all’acquisto della sua prima Leica.

Arrivano poi le prime esperienze cinematografiche, che vedono Bresson al fianco di Jean Renoir prima e in una produzione tutta sua dopo.Bresson

Nel 1937, infatti, prende vita “Return to life”, il suo primo documentario sulla guerra civile spagnola, seguito nel ’45 da “Le retour”, stavolta sul ritorno dei prigionieri francesi dai campi nazisti.

Bresson, inoltre, senza mai smettere di fare il fotografo, durante la Seconda Guerra Mondiale si trova a far parte della Resistenza francese e viene addirittura imprigionato dalle truppe naziste, da cui poi riesce a fuggire per poi tornare nella capitale francese e fotografarne l’avvenuta liberazione nel 1945.

In questo periodo, inoltre, Henri ha modo di conoscere due delle persone che gli cambieranno di più la vita: si tratta di David Seymour, fotografo e intellettuale polacco, e Robert Capa, fotografo di spicco ungherese.

Insieme a loro e a George Rodger e William Vandivert, Bresson fonda la celeberrima agenzia Magnum Photos che lo porta negli angoli più disparati del mondo, dalla Cina al Messico, dal Canada al nostro piccolo stivale italiano.

Qui riceve persino un incarico da Vogue che lo spedisce direttamente nel cuore della Sardegna, dove resterà in buona parte ospite di un amico e visiterà molti dei luoghi tradizionali sardi come Nuoro, Oliena e Orosei.

Nel 1952, poi, si ricorda particolarmente la sua raccolta fotografica “Images à la sauvette” (con copertina fatta nientemeno che da Matisse), in cui Bresson teorizza il cosiddetto “momento decisivo”, sostenendo che “le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” e che in ogni scatto “è come se conservassi ciò che sta per sparire”.

Bresson

Nel ’55 Bresson inaugura finalemente la sua prima importante retrospettiva al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, quindi nel ’79 gli viene dedicata una mostra a New York in qualità di emblema del fotogiornalismo qual era diventato.

Meglio fare una sola foto e riuscire a cogliere la realtà che si dispiega davanti a noi che farne mille senza criterio, questo il monito di Bresson, come una sorta di “carpe diem” della fotografia.

Il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un evento così come della precisa organizzazione delle forme che danno a quell’evento la sua propria espressione.

Bresson

Nonostante verso la fine della sua vita egli abbandoni la fotografia per ritornare al suo iniziale interesse pittorico, porta il suo nome, oltre che il Gran Premio di Fotografia istituito dal Centre Nationale de la Photographie, la fondazione che, fondata da Henri stesso insieme alla moglie, ancora oggi da spazio all’intero repertorio del fotografo e non solo.

La Magnum Photos e la Fondazione Henri Cartier-Bresson sono tuttora due pilastri della fotografia che permettono a nuovi artisti di potersi esprimere oltre che continuare a celebrare il loro originario fondatore, purtroppo deceduto dal 2004.

Bresson

Maria Francesca Celentano