Michail Gorbačëv è l’esempio di come a volte la storia possa essere decisa da un solo uomo. È certo che l’Unione Sovietica avesse problemi strutturali di non poco conto e che, forse, il crollo era inevitabile. Ma fu proprio l’opera di quest’uomo ad accelerarlo perché, quando la macchina pubblica inizia a scricchiolare, “le singole personalità tendono ad assumere importanza inconsueta e il crollo diventa teatro di psicologia, oltre che di politica” [1].
Unione Sovietica prima di Gorbačëv
“Il potere sovietico non doveva guardarsi da gravi insidie: la dissidenza politica era circoscritta a ristretti circoli intellettuali, tanto rispettati quanto isolati; alla popolazione ebraica desiderosa di emigrare; e allo scambio in cucina di lamentele e pettegolezzi, una tradizione profondamente radicata nella cultura russa. Nonostante alcuni esempi di rivolte e scioperi, generalmente legati a scarsità alimentari e ad aumenti dei prezzi, non esistevano movimenti sociali degni di questo nome. L’oppressione delle nazionalità e delle minoranze etniche dava origine a risentimenti, e nelle repubbliche baltiche a un’aperta ostilità anti-russa, ma questi sentimenti raramente si articolavano in azione collettiva o in movimenti d’opinione parapolitici” [2]
Tuttavia, secondo Castells, tre erano i problemi principali dell’Unione Sovietica:
1- La mentalità di stato d’assedio e l’ultra-conservatorismo delle élite che ha provocato
2- Il gap tecnologico con gli Stati Uniti, per cui, per competere con i sempre più avanzati rivali, l’URSS doveva spendere sempre di più, aumentando il distacco.
3- l’economia sommersa, provocata dalle mancanze dell’economia pianificata. Sul mercato nero si potevano trovare tutti i beni, ma a prezzi altissimi. Di questo meccanismo beneficiò soprattutto la nomenklatura sovietica, che diveniva sempre più corrotta.
Le più alte cariche dello stato lo sapevano e provarono varie volte a intervenire. Nikita Chruščëv, per esempio, cercò di implementare la ricerca e lo sviluppo tecnologico con l’accademia Akademgorodok la quale, pur divenendo un importante centro scientifico, non riuscì mai a collaborare con le industrie. “La ragione stava nel fatto che gli stabilimenti industriali non erano interessanti alla tecnologia avanzata: i loro piani di produzione erano calibrati sui macchinari di cui già disponevano, e qualsiasi cambiamento nelle procedure avrebbe significato il mancato raggiungimento degli obiettivi loro assegnati dal piano”[2].
La perestrojka di Gorbačëv
Gorbačëv era un leader giovane, che non aveva conosciuto i giorni del terrore staliniano, quindi aperto alla possibilità di massicce riforme. Salì al potere in circostanze piuttosto fortunose: Andropov, iniziatore di una perestrojka (“ricostruzione”) e suo mentore, morirà due anni dopo essere diventato segretario del PCUS e il
successore, Černenko, rimarrà al potere solo 11 mesi. Quando era ancora sotto l’ala protettiva di Andropov il Rapporto Novosibirsk, che evidenziava i gravi ritardi dell’Unione Sovietica, era riuscito a trapelare fuori dai confini e fu pubblicato sul Washington Post. Alcuni storici ritengono che fu proprio l’impatto che il Rapporto ebbe all’estero a convincere Gorbačëv che un rinnovamento fosse necessario.
Le colpe di Gorbačëv furono sostanzialmente due: di non aver ben chiaro il quadro sociale, sia quello dell’élite che della popolazione; e di aver creato il suo stesso avversario: El’cin.
“La perestrojka […] mirava a rettificare i difetti intrinseci dall’interno del sistema, pur mantenendone intatti i principi fondamentali: il monopolio del potere dal parte del partito comunista, l’economia di comando e lo status di superpotenza dello stato unitario sovietico […] e Gorbačëv credeva sinceramente di poter perfezionare il sistema senza dover affrontare gli interessi sociali consolidati che sorreggevano il comunismo sovietico” [2]
Fu impossibile, infatti, convincere i membri della nomenklatura a riformare l’economia, perché proprio grazie all’imperfetta struttura economica dell’Unione Sovietica che questi potevano prosperare. Gorbačëv riuscì ad ottenere la neutralità dell’esercito, ma solo concedendo un aumento della spesa nel settore militare nonostante la crisi economica.
Gorbačëv cercò allora di ricorrere al sostegno della società civile, ma questa era meno che mai disposta ad appoggiarlo. Il prezzo più grande della perestrojka lo stava pagando proprio la popolazione: per cercare di portare la disciplina sul lavoro, aveva vietato la vodka, bevanda dai forti connotati culturali. Oltre a ciò, erano ritornate, dopo la seconda guerra mondiale, le file chilometriche ai negozi per ottenere i generi di prima necessità. Inoltre, la glasnost (“trasparenza”) si rivelò controproducente. Ad esempio, quando fu pubblicato il Patto Molotov-Ribbentropp, che assegnava le repubbliche baltiche all’URSS, i Soviet supremi di Lituania, Estonia e Littonia non persero tempo a proclamare la loro indipendenza.
Gorbačëv vs El’cin
A capo del nazionalismo russo c’era Boris El’cin. Secondo Macry
“è difficile sopravvalutare la parte che svolge, nel crollo dell’Unione Sovietica, il rapporto tra Gorbačëv ed El’cin. Ed è impossibile leggerlo in chiave puramente politica, tanta è la sua carica emotiva e l’incapacità di controllarla sul piano razionale. I due si affrontarono con un tasso di violenza troppo intenso e autodistruttivo per non contenere nodi nevrotici” [1]
Nella fretta di trovare qualcuno da incolpare, essendo nel mirino dei conservatori, Gorbačëv scelse proprio El’cin come capro espiatorio il quale, in pessime condizioni di salute, incassò i colpi e chiese pubblicamente scusa ai suoi avversari. El’cin continuerà a difendere le riforme del suo leader, ma questi, animato da un’ostilità quasi patologica, rifiutò di riabilitarlo. In quel momento El’cin divenne da alleato un acerrimo nemico e sarà proprio grazie alla sua ostinata guida che il nazionalismo russo poté scalzare l’ormai morente potere sovietico.
Un po’ come scavarsi la fossa con le proprie mani.
Roberto Leone
Note:
[1] P. Macry, Gli ultimi giorni. Stati che crollano nell’Europa del Novecento, Bologna, Mulino, 2009
[2] M.Castells, Volgere di Millenio, Milano, Bocconi, 2008