Nel 1892 la rivista “Il pensiero russo” pubblica il racconto di uno scrittore che da tempo si è guadagnato una certa fama. Quello scrittore è Anton Cechov e quel racconto ha come titolo La corsia numero 6.
Indice dell'articolo
L’origine del racconto di Cechov
Nel 1890 Cechov compie un lungo viaggio con destinazione la colonia penale di Sachalin. In qualità di medico, Cechov compie un censimento dei detenuti e delle loro condizioni di salute, ma assiste anche alle violenze e alle torture a cui questi sono sottoposti. Il risultato di questa esperienza sarà un reportage di viaggio dal titolo L’isola di Sachalin, dove l’autore non può fare a meno di provare una certo disgusto verso le condizioni disumane dei detenuti. L’esperienza rieccheggia come un eco nella mente dell’autore, che si protrarrà anche ne La corsia numero 6.
Trama
Ad una prima lettura il racconto rappresenta una condanna delle istituzioni mediche e delle condizioni in cui i malati sono costretti a vivere. Cechov ci presenta un ospedale decadente, per nulla igienico e controllato da un personale corrotto e violento. Tra i guardiani dell’istituto spicca un certo Nikita, che Cechov ci presenta così:
E’ uno di quegli uomini semplici, positivi, efficienti e ottusi che più di tutto al mondo ama l’ordine e perciò è convinto che bisogna picchiarli, i matti. Li picchia sulla faccia, sul petto, sulla schiena, dove capita: solo così qui si ottiene ordine.
Testimone di queste violenze è il dottor Andrej Effimyc che, pur desiderando ribellarsi a questa situazione di degrado, decide di sopportare tutto stoicamente. L’anziano Andrej vive una vita in solitudine, che trova il suo antidoto nella letteratura:
La vita è una spiacevole trappola. Quando un uomo che pensa arriva all’età virile e raggiunge la maturità della coscienza, involontariamente, si sente come in una trappola senza uscita. Infatti egli è chiamato contro sua volontà, per certe circostanze fortuite, dal nulla alla vita… Perché? Egli vorrebbe conoscere il senso e lo scopo dell’esistenza, ma non glielo dicono […]
Legge moltissimo e sempre con gran piacere. Metà del suo stipendio se ne va in libri e di sei stanze del suo alloggio tre sono ingombre di libri e di vecchie riviste. Più di tutto egli ama le opere di storia e di filosofia
La sua solitudine viene interrotta dall’incontro con Ivan Dimitric, il più giovane di quattro pazienti della “corsia numero 6”. E’ un giovane idealista, critico nei confronti di una società sempre più falsa ed egoista, dove gli onesti vengono umiliati e i corrotti vanno avanti. Questa sua mentalità lo porta ad essere emarginato dagli altri e un giorno, accusato ingiustamente di omicidio, viene portato via da casa e chiuso nel manicomio.
Andrej rimane sorpreso dalla brillantezza e dalla vivacità di Ivan, portandolo così a parlare ogni giorno con lui. Tuttavia, la cosa non è vista bene dal direttore dell’istituto e, alla fine, Andrej si ritrova lui stesso “paziente” della corsia e vittima del trattamento disumano a cui sono sottoposti gli altri pazienti.
L’intellettuale come prigioniero
Andrej ed Ivan sono l’incarnazione di quel tipo intellettuale che prova disgusto per una società sempre più egoista e frivola. Ma se Andrej preferisce accettare il tutto senza reagire, al contrario Ivan tenta in ogni modo di esprimere quel disgusto pubblicamente, con risultato la prigionia nell’istituto.
L’incontro tra i due personaggi va poi a creare un vero e proprio microcosmo, dove si sentono distanti ed alienati da una società che li reputa “malati”. In realtà Cechov vuole sottolineare come sia invece la società stessa ad essere irrimediabilmente malata, quando questa tende a chiudersi in se stessa e a lasciare fuori i problemi.
«E che dunque?» si domanda Andrèj Efímyc, aprendo gli occhi. «Che ne vien fuori? Antisepsi, e Koch, e Pasteur, ma la sostanza delle cose non è cambiata. Le cause dei morbi e la mortalità son sempre le stesse. Si organizzano dei balli e degli spettacoli per i pazzi, ma tuttavia non si mettono in libertà. Vuol dire che tutto è assurdità e vanità, e in sostanza non c’è alcuna differenza fra la miglior clinica di Vienna e il mio ospedale.»”
“Il reparto numero 6 è la Russia!”
Un ulteriore chiave di lettura ci viene offerta anche dallo scrittore Nikolaj Leskov, il quale vedeva nel manicomio una personificazione della Russia stessa.
Forse non è un caso: tra fine 800 ed inizio 900 il paese è sotto il giogo dello zarismo. Prima con Alessandro III e poi con Nicola II, il governo degli zar sembra chiudersi sempre più in una campana di vetro fatta di lusso e di feste nel palazzo d’inverno, rimanendo sempre più indifferente alle condizioni di povertà di un paese abbastanza arretrato. Anche in questo caso una malattia e, come nel racconto di Cechov, si cerca una cura.
Questa sarà trovata in due rivoluzioni (febbraio 1905 – ottobre 1917) che, come anticorpi, agiscono sull’organismo Russia e debellano il virus dello zarismo e portando all’instaurazione di un nuovo “stato di salute”, che sarà l‘Unione Sovietica.
Ciro Gianluigi Barbato
Bibliografia
Anton Pavlovic Cechov, Racconti, Introduzione e traduzione a cura di Fausto Malcovati.
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