La ricorrenza del 70° anno dalla Liberazione dal nazi-fascismo è occasione da celebrare e da ricordare. Noi, per questa occasione, abbiamo scelto di raccontare quello che è successo durante la guerra, di parlare delle distruzioni, non solo umane, che hanno devastato la Napoli dell’epoca, prendendo ad esempio la distruzione del monastero di Santa Chiara
I bombardamenti
Come tutta la penisola, la città campana ed il suo popolo subirono soprusi, deportazioni, saccheggi e distruzioni. A più riprese, prima dell’8 settembre 1943, gli attacchi aerei, di quelli che poi sarebbero diventate le forze alleate, sventrarono letteralmente la città da Capodimonte al porto commerciale, dalla periferia al centro storico. Dal 1940 al 1943 Napoli è stata oggetto di centinaia di incursioni aeree e diverse migliaia furono le vittime dirette o indirette dei bombardamenti; furono anni terribili, di dolore umano, in cui fu messo a dura prova il popolo partenopeo.
Ebbene, dopo anni di studi e ricerche, è stato provato, grazie ad alcune lettere intercorse tra il presidente USA Roosvelt ed il primo ministro inglese Churchill, che lo stato d’assedio degli alleati fu una fine strategia psicologica volta a creare un’insurrezione verso i tedeschi oppressori. Quello che poi si verificò con le “quattro giornate di Napoli” che, solo dopo pochi giorni dall’armistizio dell’8 settembre, costrinsero le truppe tedesche a ritirarsi dalla città.
Le distruzioni
Napoli non perse solo vite umane poiché, dopo i primi attacchi a punti strategici militari tedeschi, gli alleati si spostarono su target che colpissero l’interesse comune; così cominciarono i bombardamenti sul centro storico, sulle chiese, al Palazzo Reale, al Museo Archeologico, a Castel Nuovo. Incursioni che oltre a lasciare scie di vittime umane, hanno intaccato per sempre il ricco patrimonio storico-artistico della città.
Ingenti furono i danni alla chiesa di Monteoliveto, al complesso dei Girolamini, alla chiesa dei Santi Severino e Sossio; la chiesa del Carmine vide distrutto il suo fantastico soffitto ligneo, San Domenico
Maggiore fu un altro edificio fortemente colpito, la chiesa del Gesù Nuovo addirittura conserva una capsula di una bomba inesplosa. Sino ad arrivare alla chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, esempio di distruzione quasi totale, che solo da poco è stata riaperta al pubblico, ma che ancora presenta notevoli danni causati dai bombardamenti alleati.
Una delle chiese maggiormente danneggiate fu la gotica Sant’Eligio Maggiore al Mercato; essa subì il crollo non solo del tetto, ma anche di alcuni muri perimetrali, che ne misero seriamente in discussione la ricostruzione.
Per fortuna, grazie all’importante opera della Soprintendenza ai Monumenti ed al suo dirigente Gino Chierici, la chiesa di origine medievale, rivestita di marmi e stucchi barocchi negli ultimi secoli, fu oggetto di un meticoloso restauro che tese a riavvicinarsi il più possibile alla costruzione del XIII secolo. Difatti l’edificio è stato in gran parte ricostruito anche sulla scorta di elementi architettonici originari, ricoperti da restauri operati nel corso del tempo, e ritornati alla luce grazie allo scoppio delle bombe.
L’offesa: la distruzione del monastero di Santa Chiara
Ma l’offesa maggiore, non solo ai napoletani tutti, ma anche e soprattutto all’arte italiana, arrivò dal bombardamento che colpì il complesso monumentale di Santa Chiara, uno dei simboli di Napoli nel mondo. La struttura, voluta nel 1310 da Roberto d’Angiò e sua moglie Sancia di Maiorca, conservava intatta tutta la storia artistica che la città partenopea aveva visto sino ad allora, dai magnifici cicli parietali di Giotto e dei suoi allievi alle tombe gotiche di diversi regnanti angioini, dai marmi barocchi del XVIII secolo e le tele del De Mura e del Bonito alle tombe borboniche.
Il gioiello maiolicato del chiostro era e, fortunatamente, resta un gioiello tutto napoletano, il coro esempio del gotico d’oltralpe con uno dei migliori cicli pittorici del Medioevo.
Purtroppo, il 4 agosto 1943, 400 furono le “fortezze volanti”, che misero a ferro e fuoco la città che con decine di bombe, devastarono il convento delle Clarisse, il coro delle Monache ed i suoi affreschi medievali, il maestoso
campanile. La chiesa fu distrutta a partire dal grandioso tetto a capriate lignee, le tombe di Roberto d’Angiò di Pacio e Giovanni Bertini (1343-46), di suo figlio Carlo e quelle di Maria di Valois (entrambi degli anni ’30/’40 del XIV secolo) create da Tino di Camaino furono danneggiate gravemente (anche a causa dei sacchi di juta, pieni di sabbia, che avrebbero dovuto proteggere le strutture dai colpi, che invece grazie alle bombe incendiarie sciolsero quasi il marmo dei monumenti). Le decorazioni parietali, il marmo, lo stucco e gli affreschi originari, furono spazzati via dalla prepotenza degli ordigni.
Le macerie bruciarono per giorni e le truppe USA, che dopo poco entrarono a Napoli, documentarono lo stato dei luoghi con foto ed immagini filmate. Da allora la distruzione del monastero di Santa Chiara diventò il simbolo di un Paese devastato nel fisico e negli affetti più cari; persino canzoni e poesie furono dedicate all’evento.
Fu così che già dal 1945 la Soprintendenza ai Monumenti della Campania iniziò a
lavorare ai progetti di ricostruzione; dopo il lungo periodo dello sgombero dalle macerie, i lavori di ricostruzione cominciarono dal tetto, riproposto con le classiche travi e rivestito in piombo. Nel frattempo difficile fu il ripristino dei baldacchini angioini che difficilmente sarebbero ritornati al loro splendore data la polverizzazione e lo scioglimento di gran parte di essi.
Dopo anni di studi e di progetti, l’Opificio delle Pietre Dure riuscì a sviluppare un progetto che, seppur ricostruite in gran parte, le riportasse all’originario stato.
Il solo monumento lasciato quasi come si presentava dopo l’incendio/bombardamento fu quello grandioso di Roberto d’Angiò, quasi a memoria del grave attacco subito.
Infine c’era da affrontare la difficile operazione di ricostruzione della chiesa, dividendosi se dover ripristinare i luoghi come prima della distruzione o, addirittura, operare come se si stesse ricostruendo una chiesa del XIV secolo.
Alla fine si propendette per quest’ultima idea che, allora come ora, fu molto critica, poiché il Monastero di Santa Chiara fu riprogettata spoglia e scarna di ornamenti, come si pensava fosse l’idea artistico-architettonica degli inizi del 1300.
Al contrario, la chiesa angioina, secondo il modus operandi del gotico di derivazione d’oltralpe, era ricca di colori e di pittura che facevano risplendere pilastri e costoloni, le vetrate era tutte volte alla trasparenza ed alla modulazione della luce.
Finalmente nel 1953, con una magnifica festa, Napoli ritornò a riabbracciare il monastero di Santa Chiara, il suo fulcro, la sua appartenenza. Fu forse l’inizio di una rinascita, la riappropriazione della dignità di un popolo che per troppo tempo ne era stata privato.
Liberato Schettino