Hair evoca già dal suo titolo uno dei simboli del movimento hippy pacifista degli anni ’60: i capelli, emblema a quei tempi di libertà ed individualità. Nato come musical teatrale scritto da James Rado, Gerome Ragni e Galt MacDermot e in seguito trasposto su pellicola nel 1979 da Miloš Forman, Hair racconta la cultura hippy e la rivoluzione sessuale di quegli anni attraverso le vicende di un gruppo di giovani di New York che si ribellano alla guerra in Vietnam.
http://www.youtube.com/watch?v=7dyl0j3WU6Y
All’interno di questo gruppo, spiccano alcuni personaggi, i veri protagonisti che porteranno avanti l’intreccio, divergente dal musical teatrale al film: in quest’ultimo Claude è un giovane del mid-west che incontra il resto del gruppo mentre è a New York per rispondere alla chiamata della guerra in Vietnam e metterà in dubbio la propria decisione man mano che scopre lo stile di vita e la filosofia dei suoi nuovi amici, mentre nella rappresentazione teatrale egli fa un percorso opposto, essendo fin dall’inizio uno dei membri più carismatici del gruppo e mettendo in dubbio i propri ideali nel momento in cui viene arruolato.
Anche i finali sono differenti, ma − senza spoilerarli a nessuno − basta dire che sono simili nella loro drammaticità. Nel film, leader del gruppo è l’affascinante Berger, che porta Claude a prender parte al suo mondo fatto di libertà sessuale, spontaneità ed emancipazione dalle costrizioni della vita sociale.
Hair: la musica
Particolarità del musical è quella di aver debuttato al di fuori di Broadway, dove è stato rappresentato per la prima volta il 29 aprile del 1968, e di aver suscitato parecchie polemiche per alcune scene in cui gli attori erano nudi sul palco, a rappresentazione della promiscuità sessuale e a derisione dell’America e della sua bandiera. In generale, esso è una rappresentazione delle idee e della vita dei giovani ribelli del tempo, dalla solidarietà interraziale al pacifismo, fino all’ambientalismo.
Hair è stato definito il primo musical rock, ma in realtà non si può ridurre solo a questo il carattere delle canzoni che ne compongono la colonna sonora: in generale, l’intenzione del compositore MacDermot era quella di creare un suono funk, che si nota soprattutto in canzoni come Colored Spade. Inoltre, egli aveva studiato la musica della tribù africana dei Bantu, chiamata Kwela, la cui particolarità è quella di porre l’accento secondo ritmi insoliti: questa tecnica è usata ad esempio nella canzone Ain’t got no grass, particolare anche per il suo testo che inneggia alla bellezza di non possedere niente ed essere pertanto liberi da qualunque costrizione materiale.
Naturalmente le canzoni, oltre ad essere espressione dei caratteri dei personaggi e portare avanti la trama, espongono anche le idee e la filosofia dei giovani hippy, come Aquarius che parla dell’avvento dell’era dell’Acquario, portatrice di pace ed armonia in Terra.
La colonna sonora, come il film, alterna momenti di scherno e di leggerezza ad altri in cui entrano in gioco le storie personali dei protagonisti al fianco degli orrori della guerra, che entrerà prepotentemente nelle vite di questi ultimi determinando la fine tragica del musical. Gli ideali del gruppo di giovani non vengono assunti in maniera assoluta ed acritica, ma vengono anche messi in discussione in una canzone come Easy to be hard, malinconicamente blues.
http://www.youtube.com/watch?v=CaA7O25hg_A
In generale, a prescindere dalla condivisione o meno della cultura che Hair rappresenta, è innegabile il fatto che il fine ultimo del musical sia quello di veicolare un messaggio di pace e fratellanza, andando contro l’inumanità della guerra e del pregiudizio. Emblematiche a questo proposito sono Walking in space, in parte un tipico brano da musical, in parte un coro da pelle d’oca che afferma l’amore universale, e la celeberrima Let the sunshine in, che apre ad un finale di speranza.
Accoglienza
L’accoglienza generale della critica al debutto di Hair fu positiva e la colonna sonora vinse anche un Grammy. Da un altro lato, però essa ricevette anche le critiche di musicisti importanti come John Lennon, che la definì noiosa, e John Fogerty che ritenne l’intero spettacolo una caricatura idealizzata del clima culturale che voleva rappresentare.
A parte queste opinioni autorevoli, che certo non possono essere ignorate, Hair è entrato nell’immaginario dei musical come una delle pietre miliari del genere e, anche se si può concedere alla critica una certa cristallizzazione, operata su alcuni personaggi e su alcuni aspetti della cultura rappresentata nella trama, è questo qualcosa di perdonabile a confronto con l’incredibile ricchezza della musica e dei testi della colonna sonora.
Gaia Giaccone