Esistono alcuni racconti che riescono a catalizzare sperimentazioni e punti di svolta di un intero iter intellettuale. Uno di questi è La giornata di uno scrutatore di Italo Calvino.
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Trama di La giornata di uno scrutatore
Il protagonista è Amerigo, un comunista che deve svolgere la sua mansione di scrutatore in un seggio elettorale allestito all’“Istituto Cottolengo” che accoglie i più disperati casi umani. Le scene che si susseguono, a tratti esilaranti, descrivono le votazioni dei pazienti dell’istituto.
La giornata di Amerigo si fa indagine a tutto campo sull’esistenza umana e metafora dell’eclissi del grezzo e scontato umanesimo che aveva mosso il protagonista. Afferma infatti Amerigo, mentre svolge il suo lavoro, “solo noi potremo organizzare istituti cento volte più efficaci di questo!”.
Crisi del “marxismo-illuminista”
Nel “noi” c’è inserita tutta una visione del mondo: la certezza tutta marxista della possibilità che il materialismo storico possa spiegare ogni cosa; che i rapporti di forza della società non siano naturali e immutabili, quindi comprensibili e modificabili in virtù di un assetto più giusto della società.
Nel corso di questa giornata-indagine questa certezza tende a sfumare e ad abbracciare sempre più vaste problematiche, tanto che il riscontro nella realtà di una miseria esistenziale riescono a frenare le velleità del marxista Amerigo. La certezza del rapporto dialettico causa-effetto come cifra determinante la realtà, cede alla probabilità, alla combinazione.
Contesto storico-culturale: la sfida al labirinto di Calvino
Il romanzo è scritto nel 1963, una data indicativa: crisi degli intellettuali legati al PCI del ’56, attenzione alla nascente realtà industriale del nord Italia, il boom. Ciò che però più lo entusiasmava era in realtà la nuova filosofia d’oltralpe, lo strutturalismo.
L’anno precedente, infatti, Calvino aveva scritto un saggio importantissimo, chiamato La sfida al labirinto. Più complessa e labirintica diviene la realtà, più le capacità dello scrittore devono adeguarsi dando adito alle mille capacità combinatorie del linguaggio, capace di fare e disfare, modulare e plasmare ciò che si dice, e tramite questo procedimento, conoscere la realtà.
L’applicazione di queste teorie narratologiche (esposte anche nel saggio Cibernetica e fantasmi, appunti sulla narrativa come processo combinatorio) fu ampiamente sfruttata nei romanzi successivi, Le città invisibili e Il castello dei destini incrociati. Il ’63 è anche l’anno della Neoavanguardia (a cui Calvino non aderisce), che riunì alcuni intellettuali con la pretesa di dare voce all’alienazione dell’individuo tramite sperimentalismi e consunzione del linguaggio.
Un brano paradigmatico
L’incastonarsi di significati più ampi, uno all’interno dell’altro, si riflette sia nella struttura diegetica del testo sia in quella strettamente testuale. Il romanzo infatti è pieno di incidentali poste tra parentesi che contengono il pensiero del protagonista. Queste strutture sintattiche rendono meglio di ogni spiegazione il significato di esistenza inglobata in strutture sempre più ampie. Riportiamo un brano paradigmatico:
“Di fronte al presidente del seggio, l’idiota scatto sull’attenti, fece il saluto militare, porse i documenti: carta d’identità, certificato elettorale, tutto in regola.
– Bravo – fece il presidente.
Questi si che sono elettori come si deve, – disse forte Amerigo, pur rendendosi conto che era una battuta banale e di cattivo gusto. […] Amerigo, velocemente, pensò al Discorso della Montagna, alle varie interpretazioni dell’espressione “poveri di spirito”, a Sparta e a Hitler che sopprimevano gli idioti e i deformi; pensò al concetto d’eguaglianza, secondo la tradizione cristiana e secondo i principi dell’ ’89, poi alle lotte della democrazia durante tutto un secolo per imporre il suffragio universale, agli argomenti che opponeva la polemica reazionaria, pensò alla Chiesa che da ostile era diventata favorevole; e ora al nuovo meccanismo elettorale della “legge truffa” che avrebbe dato maggior potere al voto di quel povero idiota che al suo. […] l’ idiota e il “cittadino cosciente” erano uguali in faccia all’onniscienza e all’eterno, la Storia era restituita nelle mani di Dio, il sogno illuminista messo in scacco quando pareva che vincesse. Lo scrutatore Amerigo Ormea si sentiva un ostaggio catturato dall’esercito nemico.”[1]
La scena dell’idiota è esplicativa al massimo. L’idiota fa il saluto militare ma è il cittadino “erede d’un settecentesco illuminismo” alla fine a sentirsi in ostaggio. La finzione creata dalla metafora militare sorregge tutta l’intelaiatura di La giornata di uno scrutatore.
Le nuove sfide della modernità
La struttura sorreggente l’intero significato del testo è la scoperta da parte di Amerigo (e dell’intellettuale) della precarietà delle sue convinzioni. La sconfitta di Amerigo è la sconfitta dell’intellettuale figlio dell’illuminismo, che si trova inadeguato ad affrontare le nuove sfide che la modernità pone. Ed è così che si riscontrano in letteratura i germi di quella frammentazione del soggetto che successivamente ha dato adito a tante disquisizioni, non solo in campo strettamente filosofico.
Luca Di Lello
[1] I. Calvino, La giornata di uno scrutatore, Mondadori, 2011, pp. 19-20.