Il signore delle mosche, pubblicato nel 1954 dal futuro premio nobel William Golding, ad un’analisi superficiale può apparire di facile categorizzazione: qualcuno lo considera un romanzo d’avventura, altri vanno più a fondo e lo definiscono allegorico. Da un lato ci sarebbero i “simboli”: l’isola paradisiaca, la conchiglia che richiama all’ordine, la testa di maiale e i riti dionisiaci, e dall’altro l’interpretazione allegorica, statica e univoca. In realtà le cose stanno in maniera molto più complessa, e solo partendo dalla trama, quindi dal piano letterale, possiamo tentare di addentrarci in questa selva.
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Il signore delle mosche in breve
Nel mezzo di una guerra non meglio specificata, che potrebbe essere la seconda guerra mondiale oppure un ipotetico conflitto atomico futuro, un gruppo di ragazzini di buona famiglia dall’età compresa tra i 7 e i 13 anni (alcuni forse anche più piccoli) è coinvolto in un incidente aereo e precipita su un’isola deserta. Nessun adulto è sopravvissuto.
Una lettura poco attenta potrebbe interpetare questa ambientazione come una presentazione dell’eden, dello stato di natura (alla Rousseau) o dell’innocenza infantile: in realtà questo è proprio ciò che Golding vuole scongiurare. Ciò che conta, infatti, è lo sviluppo della storia: inizialmente i ragazzini, facendo leva sul loro lato razionale, decidono di “imitare gli adulti” creando una propria società. Non è un caso che Golding utilizzi termini propriamente politici: il gruppetto organizza un’assemblea per darsi delle leggi ed è necessario eleggere un capo a maggioranza. Ricordiamoci, però, che gli “adulti” sono nel bel mezzo di una guerra: quali speranze hanno i ragazzini di mantenere l’ordine laddove i grandi hanno fallito?
Nel corso della storia una serie di eventi minaccia la loro stabilità: fin dall’inizio i più piccoli sono spaventati dalla “cosa-che striscia”, che si trasformerà in seguito ne “la bestia venuta dal mare” e poi semplicemente nella “Bestia“. Ogni riferimento biblico non è puramente casuale.
Due tra i più grandi, Ralph e Jack, si distinguono per le loro doti da leader. Tuttavia, mentre Ralph e ancor di più il suo consigliere Piggy tentano di ricondurre ogni cosa ad un’interpretazione razionale, Jack si mostra fin dall’inizio come un capo carismatico dedito alla realizzazione degli istinti e alla soddisfazione dei bisogni primari, che si concretizzano nella caccia.
A un certo punto della storia l’ordine si incrina irreparabilmente: Jack decide di andare per conto proprio assieme ai suoi cacciatori e a chiunque altro voglia seguirlo, dando inizio a una serie di crudeltà che provocheranno anche la morte di alcuni personaggi.
“Le leggi!” gridò Ralph. “Tu non rispetti le leggi!”
“A chi gliene importa?”
Ralph chiamò a raccolta tute le sue facoltà. “Ma le leggi sono l’unica cosa che abbiamo!” Ma Jack gli guardava in piena rivolta:
“Chi se ne frega delle leggi!”
Un mito sfatato
L’interpretazione, dicevamo, è più complessa di quanto appaia. Sembra infatti che Golding, con i suoi riferimenti biblici, non voglia semplicemente richiamarsi a un’allegoria teologica, ma sfatarla. Vediamo perché.
L’isola su cui sono sbarcati i ragazzi non è, fin dall’inizio, una rappresentazione del paradiso terrestre: non è “la bestia che striscia” a minacciare la sua innocenza, perché essa è il prodotto delle paure irrazionali dei bambini, ma le sue stesse caratteristiche, realistiche e non simboliche, di luogo incontaminato e non adatto allo sviluppo di una “civilità evoluta”.
All’Eden è solitamente associata un’idea di innocenza primordiale, che a quanto pare manca ai bambini rappresentati da Golding: ciò che l’autore vuole mostrarci è il male insito nella natura umana. Esso non è un prodotto della civiltà, non dipende dalla degenerazione a partire da un ideale stato di natura, ma è sempre e da sempre presente nell’uomo.
Secondo Golding
L’uomo produce il male come le api producono il miele.
Una distopia?
In conclusione, dunque, Il signore delle mosche può essere definito in molti modi, a seconda della prospettiva dalla quale lo si legge e del livello che si intende analizzare.
Secondo il piano letterale, cioè indipendentemente dai simboli, è un romanzo di (dis)avventura: il realismo delle descrizioni e la linearità della trama lo rendono adatto anche a un pubblico adolescente.
L’interpretazione simbolica, estesa a tutto il romanzo, ci permette di leggerlo come una metafora della natura umana e dei mali che l’uomo –qualsiasi uomo– è in grado di compiere.
Non bisogna infine dimenticare la riflessione politica in esso contenuta: l’intento iniziale di creare la miglior società possibile (sull’isola) degenera in una vera e propria società distopica. Tenendo presente l’anno di pubblicazione del romanzo immaginiamo che, forse, questa sia la sua collocazione più appropriata: non solo una metafora, ma un monito nei confronti di noi stessi.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
citazioni:
“Il signore delle mosche”, W. Golding, Mondadori 2001
approfondimenti:
introduction to Lord of the Flies, Ian Gregor & Mark Kinkead Weekes
“elaborating the biblical allegories of Lord of the Flies”, Mohammad Makki
immagini: google images