Hawking: il film con Benedict Cumberbatch

Stephen Hawking ha un’ironia caratteristica che loStephen Hawking contraddistingue ovunque compaia, in persona o interpretato. Prendere con “sportività” le sue caratteristiche identificatrici – a) essere uno dei geni del nostro secolo; b) essere ridotto all’immobilità e alla comunicazione mediante voce robotica – ha reso l’immagine che tutti abbiamo di lui simpatica e approcciabile, tanto da incoraggiare artisti di vario calibro a chiedergli in prestito i ricordi di una vita per progetti da cinema o televisione.

L’ultimo film accorso a rimpinguare la lista dei suddetti progetti è “La teoria del tutto” di James Marsh, il cui protagonista Eddie Redmayne è candidato come miglior attore agli Oscar 2015. E ora un indovinello: chi si ricorda quale altro celebre attore, attualmente candidato per la stessa categoria, ha interpretato Hawking con dieci anni di anticipo?

La risposta esatta è Benedict Cumberbatch, nel 2004. Il film, che portava semplicemente il titolo “Hawking” andò in onda sulla BBC, e fu accolto con un certo entusiasmo.

Divertente a dirsi: il lungometraggio del 2014 che sulla locandina fa onore alla teoria del fisico destinata a spiegare “tutto”, è un biopic da manuale che copre un arco di anni piuttosto ampio, e che si concentra su Hawking-persona e sull’amore, corrisposto, per la moglie; il film tv che invece con una certa austerità porta solo il cognome della persona è al contrario tutto basato sulla fiera esaltazione di Hawking-cervello e cioè dell’idea che presentò per il dottorato.

Il regista Philip Martin e lo sceneggiatore Peter Moffat, con impeccabile discrezione inglese, riportano la malattia di Hawking come per dovere, per rispetto alla verità del personaggio. Ma ciò che più gli interessa è mostrare anche al più ignorante in fisica e cosmologia quanto straordinaria possa essere la mente umana, e quanta bellezza possa produrre.

Sì, perché, come viene detto, “quello che ha fatto, è stato far funzionare il lavoro di Einstein. Ha reso Einstein… C’è una parola che i fisici usano davvero di rado: ‘bello’. Ha reso Einstein bello.”

Se Marsh mette da parte la cosmologia accennandovi appena e per lo più lasciandola aleggiare arcana nell’incomprensione dello spettatore medio, Martin la fa regina del film: complica l’intreccio portandolo su due linee temporali distinte, districa le idee all’epoca circolanti a Cambridge, costruisce un montaggio elegante e pacato. Tutto teso verso le ultime scene, quasi commoventi e poetiche, allo scopo fondamentale di suscitare un  “oooh!” deliziato per aver colto insieme a Steve qualcosa di così straordinario.

hawking

Non sarebbe corretto fare un confronto fra i due Hawking: Redmayne ha lavorato maniacalmente sul proprio corpo per riportare sullo schermo la malattia fino all’ultimo stadio, fino a compromettere irreversibilmente (pare) la propria colonna vertebrale, mentre Cumberbatch ha potuto fermarsi prima. Mettendo da parte queste violenze corporali autoimposte che sembrano garantire in automatico statuette dorate degli Awards, si può semplicemente constatare quanto capaci siano sia l’uno che l’altro.

Eddie Redmayne ha dalla sua una gravità dello sguardo e del sorriso che richiama la granitica personalità del genio, appena appena illuminata dall’ironia di cui si parlava, necessaria a mitigare la severità dello spirito critico con cui Hawking guarda tutto e tutti.

Benedict Cumberbatch è invece maestro dell’emotività: ha in sé il raro talento che permette anche al meno empatico degli spettatori di indovinare sfumature di stati d’animo attraverso pochi dettagli, senza trasformarsi in un attore da film muto, ma mantenendosi realistico. È questo il tipo di talento che lo ha portato finalmente agli Oscar. Stavolta lo applaudiremo per l’interpretazione di un altro dei geni inglesi, però: Alan Turing.

Chiara Orefice