Sentiero che allora eri
costeggiato da trifoglio e da giunchi in fiore
un’ombra ben presto sarai
un’ombra così come me
Osvaldo Soriano è stato uno dei più grandi scrittori e giornalisti che la sconsolata e allegra Argentina abbia mai donato al mondo. Irriverente, giocherellone, bambino profondissimo, era solito scrivere di notte, in compagnia di una sigaretta e del suo gatto. Divorato da un cancro ai polmoni, si spense all’età di cinquantaquattro anni un giorno di gennaio del 1997. Onirico e sorprendente, Un’ombra ben presto sarai è un romanzo esemplarmente figlio del suo autore.
Visionarie nostalgie nella Pampa argentina
Soriano ruba il titolo da un tango, Caminito, di Gabino Coria Peñaloza e Juan de Dios Filiberto. In versione originale è un piacevole e svelto arricciarsi di lingua e schiudersi di labbra: Una sombra ya pronto seràs.
La storia è semplice eppure straniante: un ingegnere informatico, dopo aver lavorato a lungo in Europa, torna nella sua Argentina, fuggendo da qualcosa o alla ricerca di se stesso – poco importa. Il treno su cui viaggia si ferma improvvisamente, senza una particolare ragione e senza colpi bruschi: rallenta fino all’immobilità e il protagonista si ritrova perplesso e sperduto nella sconfinata Pampa argentina.
Senza un soldo in tasca e senza una meta precisa comincia allora per vagare in quell’abbandonato angolo di mondo. Chilometri di nulla e cittadine tanto piccole da non essere nemmeno segnate su una cartina geografica, erba seccata dal sole, zanzare, cavallette e fango: in uno spazio surreale che alle volte sembra ricalcare paradossalmente uno degli incubi desertici dei visionari quadri di Dalì, egli incontra una serie di assurdi e disillusi personaggi. Emblematico, a tal proposito, potrebbe essere l’inquietante episodio di un gruppo di soldati che vagano nella pampa, coperti di fango e polvere, alla ricerca di un battaglione perduto, e vengono assaliti da una mandria di cavallette che divorano la bandiera argentina.
Non sono molti, in realtà, i personaggi incontrati e reincontrati dal protagonista: ma essi sono talmente esemplificativi della Storia irripetibile dell’Argentina che possono a ragione essere considerati campioni della nostalgica umanità di quel Paese.
Soriano sogna e s’inventa di un tale Coluccini, pachidermico acrobata italiano ridotto a racimolare soldi con truffe e imbrogli dopo il fallimento del suo circo e la fuga del socio con sua moglie e i suoi figli; ci sono Lem, giocatore d’azzardo evanescente e alcolizzato, innamorato di una donna sbagliata e divorato dal ricordo di quell’amore, e Nadia, cartomante improvvisata con poche illusioni e molto affetto sprecato; c’è un gruppo di preti travestiti che “con la vasellina o con il sapone” sono capaci di far passare persino un ricco per la cruna di un ago e c’è anche l’ingenuo e buono Barrantes, che gira per la pampa con una doccia per lavare gauchos senza mandrie e senza cavallo. Sfilza di anime abbandonate dalla fortuna e sfidate dalla vita, sempre al verde, sempre pronti a rischiare, senza nulla da perdere e con poco da sperare.
C’è chi sogna un ricongiungimento ipocrita in Brasile e chi la vuota ricchezza in Bolivia. Chi torna, con il pensiero, alla lontanissima Europa incapace, incapace di comprendere la profondità del sordo dolore del continente sudamericano.
– Ha qualcosa da giocarsi? – mi domandò, mentre guardava ancora una volta le carte come se temesse che non fossero più lì.
– Il viaggio se vuole. –
– Quello di prima o quello di domani? –
– Per me è lo stesso, – risposi.
– Cosa scommetteva il suo socio? –
– Illusioni. –
– Va bene, ci metta le sue allora.
Soriano: humor, miseria ed eterna fantasia
Con il suo humor scomodo, la sua incredibile capacità di creare scenari apocalittici e allo stesso tempo incredibilmente realistici, Soriano è riuscito a scrivere un romanzo on the road che non è on the road.
I personaggi sono molto raramente in viaggio: piuttosto sono fermi in panne ai bordi delle strade, si trascinano pesantemente da un posto all’altro nella porzione più ristretta di uno spazio immenso, impantanati nel fango e intrappolati in una viscosa ragnatela, tessuta con zelo da loro stessi.
Una cosa soltanto non manca mai, e accompagna viaggi e truffe, giochi e sparatorie, fughe e ritorni: la fantasia. Fantasia come voglia di trovare di volta in volta espedienti non solo per sopravvivere, ma anche – e soprattutto – per vivere, e farlo nella maniera più intensa e divertente che ci sia. Nonostante la miseria, nonostante la sfortuna, nonostante la tristezza. Nonostante le ombre.
Beatrice Morra