Questo articolo comincia con un nome: David Foster Wallace. Senza alcuna celebrazione della grandezza letteraria e filosofica di David Foster Wallace o insipida e banale digressione sul nesso tra genialità e sofferenza, faremo piuttosto presente che quando nel gennaio del 1998 scrisse La persona depressa, Wallace sapeva per esperienza, e non solo per conoscenza libresca, di cosa stesse parlando.
Questo articolo va infatti avanti constatando che David Foster Wallace si è suicidato nel 2008 (qui un buon riferimento per approfondire su di lui e non solo fare sciacallaggio sulla tragedia), dopo aver scoperto che il farmaco che per anni gli aveva dato sollievo dalla sua depressione, aveva perso effetto su di lui.
Cosa pensa la persona depressa?
A mattino inoltrato, una persona depressa si sveglia con gli occhi cisposi dopo qualche ora di sonno guadagnata all’alba seguente una notte in bianco costellata di buchi neri. Sollevatasi con difficoltà dal proprio letto d’oltretomba, la nostra persona depressa si muove lenta come un’astronauta fino a raggiungere una fonte di luce, una finestra da cui guardare il mondo alieno in cui si trova.
[…] I genitori della persona depressa, ad esempio, che avevano divorziato quando lei era bambina, l’avevano usata a mo’ di pedina nei loro giochi perversi, come quando la persona depressa aveva avuto bisogno di ortodonzia e ciascun genitore aveva dichiarato – non senza ragione, aggiungeva sempre la persona depressa, viste le ambiguità medico-legali degli accordi di divorzio – che doveva essere l’altro a pagarne le spese […]E la persona depressa era sempre attenta […] a concedere che fosse potuta sembrare ad entrambi i genitori una questione di “principio”, ma sfortunatamente non un “principio” che prendesse in considerazione i sentimenti di loro figlia […] costituendo dunque […] una forma di abbandono o addirittura di abuso, un abuso chiaramente connesso […] alla disperazione cronica senza fondo che da adulta viveva ogni giorno ed in cui si sentiva intrappolata senza speranza
Sono questi, generalmente, i pensieri che la depressione suscita nella persona alla finestra. Nel frattempo in un’aula universitaria si discute del disagio esistenziale dell’uomo moderno di volta in volta come prodotto del sistema di produzione capitalistico, come la perdita delle categorie interpretative del mondo, come un precipitato del paradigma scientifico del reale, versando poi tutte queste liquide definizioni nella oceanica pozzanghera del nichilismo.
Eppure la persona depressa di Wallace, invece che per quella di Dio si dà terribile pena per la morte della propria terapista
[…] La persona depressa trovava questa perdita recente così devastante […] da sentirsi forzata a cercare freneticamente e ripetutamente il suo Sistema di Sostegno, chiamando tre o anche quattro amiche emotivamente d’aiuto in una sola sera, a volte chiamando la stessa persona due volte, a volte molto tardi, e a volte, addirittura, la persona depressa se ne sentiva disgustosamente sicura, o svegliando o forse interrompendole nel mezzo di salutare e gioiosa intimità sessuale con i loro partner. […]Chiedeva scusa alle amiche di gravare su di loro in maniera elaborata, esplicita e quasi costante per dir loro grazie di Essere Lì – con la maiuscola nel testo originale – per lei, poiché stava riscoprendo, con dolorosa nuova chiarezza dovuta al muto abbandono della terapista, quanto straziantemente poche e lontane fossero le persone con cui poteva sperare di comunicare realmente e di formare relazioni intime e mutuali a cui appoggiarsi. […] E per quanto riguardava l’idea di prepararsi a riavventurarsi nel macello emozionale hobbesiano del vedere nuove persone … a questo proposito la persona depressa rideva vacuamente […]
Chi ha paura dell’uomo?
Il vivere della persona depressa è fatto di una costante sensazione di essere confinati nel proprio dolore e di sensi di colpa per la propria sofferenza, per l’espressione della stessa alle persone più vicine ed allo stesso tempo dell’impossibilità di non aggrapparsi a loro disperatamente per non perdere l’ultimo legame con una realtà in cui tutto e tutti paiono avere angoli affilatissimi capaci di penetrare la carne ed infuocare ancor più la fiamma del dolore che brucia l’albero di sofferenze che affondano le radici nel passato più antico di chi è depresso.
Pochi sono stati gli autori che come David Foster Wallace hanno mostrato la Pangea puramente emotiva e personale da cui hanno origine i continenti del dolore esistenziale senza lasciarsi sedurre dalla facile tentazione di saltare questo passaggio fondamentale per ricorrere direttamente ad eziologie metafisiche, a strutture e sovrastrutture varie.
Una filosofia pavida che finge di non vedere lo sterminato territorio dei vissuti personali relegandoli a semplici conseguenze di catastrofi ontologico-storico-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta, si rivela soltanto una chiacchiera auto compiaciuta e tutt’al più voluminosa.
Giovanni Marco Ferone
Fonti
Fonte immagini media: I; II; Harper’s Magazine, January 1998.
Fonte citazioni: David Foster Wallace, The Depressed Person, contribute on Harper’s Magazine, January 1998.