“Il poeta del brutto” e “lo scultore pazzo”: sembrano essere dei titoli di romanzi o di racconti. In realtà si tratta di due scultori, Achille D’Orsi e Vincenzo Gemito. Ad accomunarli, la mostra Il bello o il vero: la scultura napoletana del secondo Ottocento e del primo Novecento, situata nel Complesso Monumentale di San Domenico Maggiore a Napoli, e aperta dal lunedì alla domenica dalle ore 11:00 alle 19:00.
La mostra, apertasi il 30 ottobre scorso, si prolungherà fino al 6 giugno. L’organizzatrice è Isabella Valente. La mostra abbina alle sculture anche delle nuove tecnologie con Kinect, touch screen e applicazioni per Smartphone, per poter avere contatto anche con opere che non hanno potuto far parte della mostra perché inamovibili.
La mostra Il bello o il vero si apre al visitatore con la sezione i maestri, con opere di Tommaso Solari ispirate al mondo del teatro e della letteratura.
Il suo Amleto, che ha tra le mani il teschio di Yorick, è posto presso Pane e lavoro di Emanuele Caggiano, che raffigura una donna intenta alla tessitura che ha al suo fianco una ciotola piena con del pane. Un parlamentare del Regno d’Italia subito dopo l’Unità propose che una riproduzione di quest’ultima opera venisse messa in ogni scuola del Regno, ma questa proposta non ebbe seguito.
Proseguendo ci si ritrova in un’intera stanza tutta dedicata alle opere di Vincenzo Jerace: lì si trova un Cristo che con la sua terracotta rossa strizza l’occhio a opere lignee tipiche del Medio Evo, assieme ai suoi ritratti di Crispi, Carducci, Carlotta D’Asburgo, che sanno ben rendere la personalità di chi è ritratto, rivelando ad un occhio sensibile il carattere dei personaggi del passato.
In mezzo ai busti, una scultura per intero, Guappariello, puntata con lo sguardo verso il corridoio che porta alla sezione seguente, dedicata al Verismo. Ed è posta bene in quel luogo, perché quello “scugnizzo” in mezzo a personaggi della nobiltà e della borghesia è quasi un anticipo del Verismo che sarà protagonista nella seconda parte della mostra.
Ed ecco che nella seconda parte i soggetti si fanno popolari, esotici, concettuali, ermetici, a seconda dell’artista. La sensuale donna di Caino tenta invano di consolare il suo amato dal suo rimorso del fratricidio nel Caino e la sua donna di Giovan Battista Amendola.
Lo scultore Achille D’Orsi prende in prestito modelli della classicità per ritrarli in un’ottica Verista: e così vengono scolpiti dei Parassiti in preda alle brutture dell’ubriachezza, quasi fossero emblema della decadenza morale dell’Antica Roma.
Ma il D’Orsi venne consacrato dalla critica anche come “poeta del brutto” e “artista sociale” per la sua opera Proximuus Tuus, che raffigura un contadino “Rincretinito dal lavoro”.
Ben più sociale è Giovanni De Martino, che ritrae la sofferenza dei bambini poveri con Fuori dal nido.
Lo “Scultore pazzo” invece è Vincenzo Gemito, detto pazzo perché distruttore di molte sue opere perché non soddisfatto del risultato. E questa pratica è testimoniata anche dal fatto che alla mostra ci siano ben due versioni del celebre Giovane pescatore Napoletano.
Proseguendo nel grande refettorio che ospita la parte Verista della mostra, ci si imbatte nell’arte quasi concettuale di Costantino Barbella e soprattutto nell’ermetismo di Beliazzi con il suo “L’avvicinarsi della procella”. Quest’ultimo è ermetico soprattutto per il fatto che i titoli delle sue opere diventino anche le chiavi di lettura delle stesse.
Ad Bestias e Ad Muroenas, rispettivamente di Emilio Franceschi e di Luigi De Lucia, vanno viste in maniera contrapposta. Ritraggono entrambe un supplizio capitale, ma mentre in “Ad bestias” c’è terrore, in Ad Muroenas c’è abbandono lascivo e quasi sensuale alla propria sorte. Filippo Cifariello, celebre per il suo delitto d’onore, può vantare in questa mostra dei ritratti di donna Maria e Settembrina.
La mostra tutta però si distingue anche per i nuovi metodi di approccio all’arte: touchscreen, app per smartphone, aiutano ad approcciarsi alle opere, ma rischiano di diventare le protagoniste sbagliate. Infatti, nel questionario di gradimento da compilare alla fine della mostra, la maggioranza delle domande riguardava la componente tecnologica della mostra, quasi come se quella componente fosse più importante delle opere stesse.
Luigi De Maria