Abbiamo visto come Plutarco e Ovidio ebbero modo di concepire l’esilio: il primo vi vide un’occasione per riscoprire il contatto con la natura e la contemplazione filosofica, il secondo invece lo descrisse come la peggiore delle punizioni per il fatto che gli venga negato il ritorno nell’amata patria. Tenendo bene a mente questi due archetipi lasciamoci alle spalle (per ora) il mondo occidentale e facciamo un viaggio verso quello orientale, con una destinazione precisa: la Cina, con il caso di Du Fu.
Indice dell'articolo
L’esilio di Du Fu
Dove sono ora i suoi occhi luminosi, i suoi denti così candidi?
Il suo fantasma insanguinato non potrà mai tornare in questi luoghi.(Du Fu – Lamento in riva al fiume)
Dopo un lungo periodo di guerre civili, nel VII-VIII secolo l’impero cinese iniziò ad essere governato dalla dinastia Tang. In 285 anni il paese non solo riacquisterà la sua unità politica, ma vedrà anche una rinascita delle arti e soprattutto della poesia. Infatti i circoli letterari erano molto legati alla corte imperiale, dal momento che gli intellettuali esercitavano anche funzioni amministrative e burocratiche.
Molto forte era il legame che univa i cinesi alla loro terra, quindi è facilmente intuibile come l’esilio fosse visto come una vera e propria “disgrazia”. Infatti essi speravano di non essere confinati troppo lontano dalla Cina, ma non era raro che gli imperatori decidessero invece di confinarli in regioni periferiche. Ricevere una notizia del genere era una cosa difficile da digerire per un intellettuale.
Tra i vari intellettuali esiliati il più importante è il poeta Du Fu. Nominato cancelliere nel 755, nel dicembre dello stesso anno fu costretto a fuggire dalla capitale Chang’an a causa della ribellione di An Lushan, che portò anche alla fuga dell’imperatore.
Da quel momento Du Fu e la sua famiglia condussero una vita vagabonda, dove le continue guerre non permisero di trovare un posto sicuro e definitivo. Emblema di questo stato d’animo è la poesia Lamento in riva al fiume.
Il vecchio contadino di Shăolíng(1) sospira e piange,
camminando, un giorno di primavera, in riva al Qújiāng.
Le innumerevoli porte del palazzo sul fiume sono sprangate.
Teneri salici, giovani canne, per chi siete così verdi?Un tempo un arcobaleno di bandiere garriva nei Giardini del Sud
e nel parco oggetti preziosi creavano riflessi di mille colori.
La Signora che abitava il Palazzo del Sole Nascente
accompagnava il Sovrano, seduta in carrozza al suo fianco.
Dinanzi a loro i cavalieri della scorta, arco e frecce alla cintura,
caracollavano su bianchi corsieri tenuti a freno da morsi dorati.
Gli arcieri, il busto piegato all’indietro, scoccavano i loro dardi
ed ogni volta abbattevano con una sola freccia una coppia d’uccelli.
Dove sono ora i suoi occhi luminosi, i suoi denti così candidi?
Il suo fantasma insanguinato non potrà mai tornare in questi luoghi.[…]
Fin dai primi versi Du Fu mostra tutta la sua malinconia per la capitale abbandonata, attraverso l’uso di un vero e proprio “flashback”. La descrizione di una tranquilla scenetta di vita imperiale(l’imperatore e la sua sposa in carrozza) bruscamente interrotta da un’immagine tetra e spettrale: “Il suo fantasma insanguinato non potrà mai tornare in questi luoghi“. Un verso che richiama alle devastanti conseguenze della ribellione, ancora soggetto in questi versi:
Nel giallo crepuscolo galoppano i barbari (2)
riempiendo la città di nuvole di polvere.
Si può allora definire Du Fu un ovidiano perché anche lui sente nostalgia di casa e si sente irrimediabilmente estraneo nei luoghi in cui è costretto a girovagare. Un altro punto che lo accomuna all’autore dell’Ars Amandi è la descrizione della natura, indifferente allo stato d’animo del poeta e totalmente immersa nel mostrare la propria bellezza espressa con l’arrivo della primavera (come accadeva nei Tristia ovidiani).
Di nuovo un intellettuale solo, tagliato dal mondo e rimpiangente quella pace che aveva per anni rincorso con fatica ( Du Fu fu bocciato due vote all’esame imperiale per entrare a corte) e che subito si era dissolta come neve al sole. A questo uomo, lontano dalla propria patria, non resta che rievocare quei tempi felici di cui ha goduto per poco.
Il “controesilio” degli intellettuali
Un’altra data importante per inquadrare l’esilio nella Cina imperiale è l’805 d.c. . In quell’anno un decreto imperiale impose il confino di tutti gli intellettuali di corte.
Se qualcuno come Liu Tsung-Yian espresse lo stesso stato d’animo che aveva contrassegnato Du Fu, c’era anche chi praticava quello che verrà conosciuto come “controesilio“: non è un’alta carica a decidere di cacciare via dalla patria un intellettuale, ma l’intellettuale stesso. Disgustato dal clima politico e sociale, a chi ha sensibilità d’animo non resta che abbandonare tutti e tutto.
Fu il poeta Hsiu – ch’i -chi a fare da apripista a questa controtendenza. Esempio lampante di modello plutarchiano, egli si rifaceva al concetto di “uomo superiore” ( “chin-tzu“), tale perché si è ritirato dal mondo caotico degli intrighi di palazzo e di potere, per potersi dedicare totalmente alla contemplazione. Seguì il suo esempio anche Chi Yuan, il quale considerò addirittura fondamentale l’esilio e non desiderò mai ritornare in patria.
L’esilio in Cina. Un primo esempio di “esilio politico”
Il caso della Cina suscita grande interesse, poiché anche qui ci troviamo davanti ad intellettuali che, attraverso un certo mecenatismo di corte, erano integrati perfettamente nel mondo politico. Ma se in cccidente gli intellettuali latini e greci furono esiliati più per motivazioni legate all’ambito sociale e alla sfera personale, qui invece ci troviamo davanti alla manifestazione di una condanna all’esilio legata pienamente alla politica.
Anche qui c’è chi reagisce con rassegnazione e chi con la riscoperta del proprio io, arrivando addirittura ad autoesiliarsi. Quest’ultimo atteggiamento, che si va ad aggiungere ai due principali, rieccheggierà come un eco anche in altre occasioni.
Ciro Gianluigi Barbato
Note
(1) “vecchio contadino di Shăolíng” è uno pseudonimo letterario che si da lo stesso Du Fu.
(2) Si tratta dei ribelli, in gran parte mercenari. Per questo vengono chiamati “barbari”.
Bibliografia
C. Gullién – El sol de los desterrados. Literatura y exilio (1995)
Sitografia
Poesia “Lamento vicino al fiume” e ulteriori informazioni sulla rivolta di An Lushan