Secondo il suo primo biografo, Giorgio Vasari, Correggio aveva dato vita alla maniera moderna e nessuno meglio di lui sapeva “toccare i colori”. Le sue opere, sempre secondo l’Aretino, erano caratterizzate da “leggiadria, candidezza, delicatezza e la grazia con che finiva i suoi lavori suscitavano, negli osservatori, una stupendissima meraviglia”.
Gli elogi del Vasari però non sono niente al confronto con l’entusiasmo espresso dai critici successivi: nel Seicento, e ancor di più nel Settecento, Correggio si guadagnò un posto d’eccezione nell’ immaginario degli artisti e degli scrittori d’arte; la sua fama fu pari, e in alcuni casi superò, quella di grandi maestri del Rinascimento italiano come Tiziano o Raffaello.
La sua arte infatti evocava concetti come la grazia, la morbidezza, la tenerezza e il sottile piacere estetico, che incontravano perfettamente l’orizzonte delle attese degli uomini di cultura del tardo Seicento e del Settecento.
Fu proprio allora che gli eruditi cominciarono a interrogare gli archivi nella speranza di ritrovare informazioni relative alla vita e alle opere di Antonio Allegri, meglio conosciuto come Correggio dal nome della città che gli diede i natali.
Ben presto però ci si rese conto che uno dei pittori più amati e ammirati dagli intendenti d’arte era allo stesso tempo uno dei più misteriosi. Questo vero e proprio vuoto documentaristico ha contribuito alla diffusione di vere e proprie leggende riguardanti la vita e la formazione di questo artista così sfuggente.
Secondo l’opera vasariana, Antonio Allegri era figlio di Pellegrino de Allegris e la sua era una famiglia rispettabilissima della contea di Correggio. Suo zio, Lorenzo Allegri, era un pittore e avrebbe influito molto sulla scelta del giovane Antonio di intraprendere la strada della carriera artistica, portata avanti poi successivamente anche da suo figlio Pomponio.
Se documentata è la data della sua morte, avvenuta il 5 marzo 1534, ancora incerta resta la data di nascita. È stato possibile dedurre, grazie ad una serie di documenti, che essa sia avvenuta nella seconda metà degli anni ottanta del Quattrocento.
Altrettanto scarse sono le notizie sulla sua formazione: studiò probabilmente in primo luogo presso suo zio e altri pittori della sua città, si spostò poi a Modena e successivamente a Mantova, dove risulta creditore di Francesco Mantegna, primogenito di Andrea ed erede della sua bottega. Nella città lombarda ammirò sicuramente la “Camera degli Sposi” dell’illustre Maestro, e fu incaricato di decorare la cappella funeraria di quest’ultimo nella basilica di Sant’Andrea.
Le opere di questa prima fase pittorica del Correggio sono caratterizzate da una certa durezza nelle figure e nei panneggi, che deriva probabilmente dal primo esempio del Mantegna.
Una nuova fase si apre nel 1520 quando l’artista arriva a Parma e riceve le prime importanti commissioni tra cui la sua prima grande impresa pittorica: la decorazione della “Camera della Badessa” nel monastero di San Paolo.
Il grande successo di quest’opera aprì la strada a Correggio per nuove importanti commissioni, prima fra tutte la decorazione della chiesa di San Giovanni Evangelista, la cui ricostruzione in forme rinascimentali era appena terminata.
Ancora oggi possiamo ammirare la meravigliosa decorazione della cupola con la “Visione di San Giovanni”, realizzata grazie alla tecnica dello “sfondato”, simulando cioè uno spazio aperto attraverso il quale lo spettatore vede il cielo con il Cristo al centro della scena e le figure degli apostoli a fare da cornice.
Quest’opera rappresenta il precedente diretto del capolavoro assoluto di Correggio, ovvero la cupola della Cattedrale di Parma, dove rappresenta l ”Assunzione della Vergine”. Egli sceglie una rappresentazione corale dove la Vergine è ormai trasfigurata in luce calda e dorata ed è circondata da angeli e santi, anche se pochi sono identificabili, come la figura in volo al centro della composizione che non ha un’identità facilmente comprensibile: potrebbe essere Cristo oppure un angelo, forse Gabriele.
Negli anni trenta Correggio realizza la celebre serie degli “Amori di Giove” per il Duca di Mantova Federico II Gonzaga. L’artista fece in tempo ad eseguire quattro tele, il “Ratto di Ganimede”, “Giove ed Io”, “Danae” e “Leda e il cigno”, accoppiabili a due a due per le dimensioni, e forse altre ne erano state programmate.
La cronologia delle quattro tele è argomento alquanto controverso. Ciò che importa però è soprattutto il fondamentale contributo che esse diedero allo sviluppo della pittura a soggetto mitologico e profano, grazie al nuovo e straordinario equilibrio tra resa naturalistica e trasfigurazione poetica.
Con queste quattro splendide tele Correggio si congeda dal mondo della cultura figurativa. Quelle dee che il suo pennello aveva studiato con tanta passione e con tanta cura, cercando di restituirne i più sottili e delicati moti dell’animo, consacrarono per sempre questo eccellente pittore assicurandogli un posto privilegiato nell’Olimpo dei grandi artisti.
Manuela Altruda