Riprendiamo il viaggio nei meandri della Napoli medievale, di quel che ancora resta di un periodo storico e culturale di grande floridezza per la città partenopea. Soprattutto a cavallo tra XII e XIV secolo con la dominazione della casata angioina, unitasi poi al ramo Durazzo, la capitale del Regno fu oggetto di un gran turbinio di arte voluto da quegli stessi sovrani. Fu nel periodo finale della dominazione della casata gigliata che fu fatta costruire la chiesa di Santa Maria Incoronata nell’area della fortezza di Castel Nuovo, costruita dagli stessi angioini nel 1279.
Santa Maria Spina Coronata
A volere l’edificazione fu Giovanna I d’Angiò che, dopo aver riconquistato il Regno dopo la guerra fratricida con il ramo ungherese, rientrò in città con il consorte Luigi di Taranto poco dopo la metà del XIV secolo indicendone la costruzione in modo da celebrarne il ritorno e l’incoronazione a sovrani di Napoli.
Pare molto probabile che si sia approfittato di una struttura già esistente in loco, in particolare della vecchia sede del Regio Tribunale riadattata ed ampliata per ospitare quest’edificio sacro che, da come si rileva da un documento, nel 1373 risultava già completato.
La prima denominazione, presumibilmente risalente al 1352, fu Santa Maria Spina Corona o Coronata (ad oggi mutata Santa Maria Incoronata) proprio perché la sovrana, per conferirle maggiore importanza e di riflesso goderne personalmente, volle donare e far custodire nella nuova chiesa una spina ritenuta della corona del martirio di Cristo.
Dopo pochissimi anni dalla sua costruzione, l’edificio passò sotto il controllo dei monaci certosini che ne ebbero il patronato sino alla fine del XVI secolo, lasciandola poi in totale abbandono. Ritornata dopo qualche decennio al suo compito, la chiesa rientrò nell’opera di barocchizzazione degli edifici sacri napoletani a cavallo di XVII e XVIII, il che la portò ad essere ricoperta di marmi e stucchi di grande sfarzo.
Nei primi anni del ‘900, però, il soprintendente ed architetto Gino Chierici, operando come in altri edifici religiosi della città, rimosse tutte le “incrostazioni” barocche riportando la struttura ad un presunto gotico trecentesco, spogliandola di qualsiasi abbellimento e colore.
La chiesa di Santa Maria Incoronata
La chiesa dell’Incoronata, che oggi si affaccia su via Medina, la troviamo quasi immersa in un fossato, a 3 metri sotto il livello stradale a causa dei lavori cinquecenteschi che interessarono il Maschio Angioino e l’area ad esso prospicente.
La struttura, senza transetto, presenta il lato lungo prospicente la strada con dei porticati risalenti, probabilmente, al periodo del tribunale preesistente; il portale d’ingresso, che si trova sul lato corto che guarda verso il castello, è decorato in marmo bianco di Carrara e sul timpano vede raffigurate, in rilievo, due mani che tengono la Corona di spine a simboleggiare la dedicazione della chiesa.
All’interno, la pianta presenta una caratteristica molto singolare oggetto di diverse ipotesi; solo due sono le navate che la costituiscono, ciò può far pensare che così fu voluta già nel ‘300 e solo una delle due sia quella principale. Altri studiosi, al contrario, credono che originariamente fosse stata presente una terza navata, poi inglobata negli edifici che nei secoli vennero a sovrapporsi ed eliminati solo nel ‘900.
Gli affreschi e Roberto d’Oderisio
È la stessa navata maggiore a destare grande interesse poiché, tra le quatto campate di cui consta, conserva un notevole ciclo di affreschi contemporaneo alla costruzione della chiesa.
Attribuito all’importante mano di Roberto d’Oderisio, artista attestato a Napoli proprio a metà del 1300 che si formò anche sotto l’influsso delle opere di Giotto a Napoli ed operò nella stessa area campana, è la serie di pitture che rappresenta “I sette sacramenti” ed “Il trionfo della Religione” all’interno delle quali scene alcuni vedrebbero un parallelo con alcuni passaggi della vita di Giovanna (ipotesi smentita da molti studiosi).
Ancora la prima campata e la parete laterale della navata, conservano un’altra serie del d’Oderisio raffigurante, stavolta, “Storie di Giuseppe ebreo” e “Storie di Mosè”.
Infine, nel fondo della navata si staglia il fantastico altare marmoreo policromo, unico superstite della campagna di restauri novecenteschi; fu lo stesso Chierici a voler “salvare” la mensa dallo sgombero, ritenendola “…un’opera non volgare di arte barocca…” e quindi non meritevole di essere eliminata.
Similmente la navata sinistra è interessata dalla presenza di altri affreschi, ma stavolta come una sala museale le parti di affresco che erano rimaste sono state inquadrate in pannelli e poste alle pareti dell’edificio; nello specifico si tratta di raffigurazioni, ad opera di un artista anonimo, di “Storie di Maria” e “Storie di San Ladislao”.
Questo splendido esempio di arte ed intellettualismo, quale è Santa Maria Incoronata, frutto dell’ideologia mecenate della casata d’Angiò a Napoli, ha subito nel tempo diversi interventi invasivi, non solo di debarocchizzazione e di restauro, ma di invasione ad opera di costruzioni che finirono, nei secoli, per nasconderla e deturparne la sua bellezza e ricchezza.
Fu così che dai primi anni del secolo scorso e sino al 1993, fu oggetto di restauri, ricostruzioni e sistemazioni che l’hanno portata ad una prima riapertura a singhiozzo al pubblico. Finalmente, lo scorso giugno, l’edificio medievale dell’Incoronata è tornato a dare lustro alla città e ad incantare cittadini e turisti di tutto il mondo.
Liberato Schettino