Il 1977 è l’anno di uscita della pellicola che consacra Woody Allen tra i migliori registi americani. Parliamo di Io e Annie, la commedia romantica che conferisce al neo regista ben quattro premi Oscar nel 1978, tra cui quello come miglior film e miglior regista.
Io e Annie, la trama
Protagonista della storia è Alvy (Woody Allen), quarantenne, nevrotico, comico di professione, amante delle donne e idiosincratico… ovviamente il ritratto di Woody stesso. Il tipico personaggio che il regista ci proporrà più e più volte nei suoi lavori, senza mai stancare il pubblico, come nel più recente film Midnight in Paris con protagonista Owen Wilson.
Alvy si ritrova a ripercorrere, raccontando gli eventi in terza persona, come una voce esterna, gli avvenimenti della sua relazione con Annie Hall (Diane Keaton), cantante in cerca di un ingaggio, anche lei, diciamolo, non proprio l’esemplare più sano di mente del genere femminile.
Effettivamente non potrebbe esserci coppia meglio assortita di una che, come prima conversazione, si ritrova a parlare di terapie psichiatriche e parenti morti… Una donna che trovi divertente, anzi anche attraente, un uomo il cui pensiero cardine sulla vita consista nella divisione di essa in due categorie “l’orribile e il miserrimo” e si trovi a godere dell’essere parte del miserrimo, è sicuramente da definire come un tipo “particolare”.
Ma anche le migliori coppie hanno i loro brutti momenti, infatti Alvy veste i panni del narratore soltanto un anno dopo la rottura con Annie. E, quindi, il film si presenta piuttosto come una sorta di lezione sull’amore e sulle relazioni o, forse, sarebbe meglio leggerlo come una visione che ha il regista sull’amore e sulle sue ripercussioni sulla psiche dell’uomo.
“[…] quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, ehm… e pazzi. E assurdi, e… “ ma che in qualunque caso, qualunque sia la loro natura, essi continuino perché sono decisamente un bisogno primario dell’uomo.
Oltre ad una trama di per sé già interessante e divertente, il film raggiunge il successo grazie non solo al genio e all’estrosità del regista ma anche grazie ad un cast eccezionale. Ovviamente nessun attore, se non Woody Allen, avrebbe potuto meglio interpretare la parte di se stesso ma anche la scelta della partner è risultata azzeccatissima.
Già iniziato il sodalizio tra Woody e Diana, quest’ultima è recitando il ruolo di Annie Hall, con i suoi modi stravaganti, probabilmente dovuti ad anni e anni di uso di droghe, i vestiti alla garçon e lo sguardo stralunato, che vince il suo primo Oscar come migliore attrice.
Ricordiamo anche la veloce apparizione di un giovane Christopher Walken nei panni del fratello Duane Hall, con una mente altrettanto disturbata… anche se qui si tratta di una psicosi propria da manicomio. Ed in effetti la scena della confessione di Duane sui suoi pensieri suicidi ad un incredulo Alvy, seguita dalla scena della corsa in macchina verso l’aeroporto, non ci ricorda vagamente la medesima situazione in cui si ritrova un povero Massimo Troisi in viaggio verso Firenze in Ricomincio da tre? Il livello di disturbo mentale, almeno, è lo stesso.
Una veloce parola sull’ambientazione, una New York anni ’70, dove il regista è nato e cresciuto, il film è in fondo anche un inno a questa città. Ma spingendoci nel particolare vediamo una città caotica, uggiosa, claustrofobica per alcuni (il manager di Alvy per esempio), ma al tempo stesso piena di opportunità, culturale e romantica, una città che rispecchia quasi la personalità dello stesso regista, con i suoi lati negativi e positivi. Il cineasta si identifica in essa e dunque potremmo dire che egli stesso veda il rapporto tra sé e gli altri come quello tra New York e i suoi cittadini, ossia di amore-odio, di attrazione e insofferenza?
Io e Annie rappresenta sicuramente uno dei trampolini di lancio di Woody Allen, la sceneggiatura perfetta con la quale portare alla luce le sue riflessioni sull’amore, la sessualità e i suoi intrecci con la mente dell’essere umano. Facendo un breve riepilogo, i quattro Oscar sono stati decisamente ben meritati.
Celia Manzi