Robert Johnson è tra i più importanti bluesman di tutti i tempi, sicuramente il più influente del Delta, e non solo per la sua abilità chitarristica non indifferente, ma anche per il fascino che da sempre emana la sua personalità. Potremmo inserirlo tranquillamente fra gli artisti più influenti di tutti i tempi, ma ormai, sembra quasi dimenticato ai più.
Quel vestito elegante ma povero, la sigaretta sempre tra i denti, i testi come racconti, che narrano di lunghe strade del Mississipi, e poi la storia del diavolo, alla quale Robert Johnson avrebbe venduto la sua anima, in cambio di un’abilità chitarristica fuori dalle righe. Ventinove le canzoni complete rimaste ancora oggi, contenute nell’album leggendario: The Complete Recordings.
Andiamo con ordine però, perché la storia del bluesman maledetto è molto più lunga, e noi proveremo a raccontarla.
Robert Johnson e il Mississipi
Robert Johnson nacque a Hazlehurst, in Mississippi, nell’ormai lontano 1911 (sulla data precisa non ci sono certezze). Il piccolo Robert si dimostrò interessato alla musica fin da bambino e infatti imparò a suonare l’armonica, da autodidatta, prima di dedicarsi alla chitarra, con il fratello a impartirgli i primi rudimenti. Le notizie giunte a noi riguardo la sua vita privata sono poche, più che altro si conoscono le leggende. Una cosa certa è che la prima moglie, Virginia, sposata nel 1930, morì giovanissima durante il primo parto. Da quel momento, Robert Johnson iniziò a vagare tra le varie città del delta del Mississipi, probabilmente per dare un senso a quella vita piena di povertà e dolore. Per un periodo fece anche la spalla al famoso bluesman Son House, quando Son suonava in bettole da quattro soldi. Andava di locale in locale ogni giorno, ogni notte, di città in città, di donna in donna, incarnando perfettamente l’archetipo dell’affascinante bevitore e donnaiolo, cantore dei neri e dei disgraziati.
Ma Robert non era un fenomeno con la chitarra, anzi faceva anche abbastanza fatica, poi a un tratto successe qualcosa, ma non si sa bene cosa. Difatti, dopo l’anno successivo al suo vagabondare, tornò a casa con un’abilità alla chitarra fuori dal normale. Nessuno se la spiegava questa cosa. Cominciò a circolare la voce che Robert Johnson avesse venduto la sua anima al diavolo in cambio di una chitarra e di un’abilità pazzesca nel suonarla. Si dice che avesse incontrato un uomo vestito tutto di nero, in una mezzanotte non si sa di quale giorno, e che questo sconosciuto gli avesse proposto questo scambio, scambio che, il cantore nero, accettò senza battere ciglio. I più scettici invece, dicono che Robert Johnson abbia incontrato, in uno dei suoi tanti giorni trascorsi per strada a oziare, lo sconosciuto ma talentuosissimo bluesman Ike Zinneman. Incredibile la storia che, al suo ritorno a casa, anche il suo maestro, Son House, rimase scioccato dal miglioramento di Robert, indicandolo effettivamente come anormale.
La poetica di Robert Johnson
Dotato all’improvviso di un talento fuori dalle righe, Robert Johnson ricominciò a viaggiare, ancora più verso Sud, suonando tutte le sere in un locale diverso. La sua fama cominciò a crescere, ma non quella musicale, che resterà più o meno nell’ombra fino alla sua morte, ma la sua fama di donnaiolo. Si narra, infatti, che il giovanissimo Robert Johnson sia stato ucciso da un marito tradito dalla moglie proprio con il bluesman. Altri dicono che sia stato accoltellato durante una rissa, altri ancora che sia stato avvelenato con del whisky. Le circostanze della morte non le sapremo mai, in ogni caso però, morì il 16 agosto del 1938, a 27 anni, dando inizio al Club dei 27. Prima di morire però, registrò 29 canzoni, tra le quali Sweet Home Chicago, Come on In My Kitchen, Cross Road Blues, e tante altre, che contenevano la storia del rock, sia a livello musicale che a livello iconografico e sociologico.
Le canzoni di Robert Johnson non sembrano scritte per essere ascoltate. Questi 29 brani non sono cantati, sono quasi mugolati, le parole sono dette tra i denti, come se stesse davvero esorcizzando i suoi demoni. Inoltre, il genio di Johnson, gli indicò la destrutturazione. Difatti, il cantore dell’inferno, scomponeva i suoi stessi brani per renderli irregolari, senza una struttura di base consolidata. Ascoltando queste vecchie registrazioni sembra che si abbia a che fare davvero con qualcosa di potente, di Voodoo. Canta un mondo senza speranze, senza possibilità di uscita. Canta di piacere fisico, e di dannazione. Canta i diseredati, gli sconfitti, quelli che non hanno realizzato i propri sogni. E poi c’è un richiamo perenne al diavolo, in quasi tutti i suoi testi. Questo aspetto possiamo interpretarlo prima di tutto sotto un punto di vista puramente personale. Difatti, Robert Johnson, come già detto, era un trasgressore incallito. Era amante del sesso fine a se stesso, delle risse, ed era ubriaco quasi tutte le sere. E poi quella storia di aver venduto l’anima… in ogni caso era affascinato dalla figura di Satana. E lo s’intuisce nei suoi testi: “Questa mattina presto/ quando hai bussato alla mia porta/ ho detto: “Buon giorno, Satana/ credo sia ora di andare” (da Me and The Devil Blues). E poi, il richiamo al diavolo, lo si può interpretare sotto un punto di vista sociologico. L’America infatti, era vista dall’esterno come un sogno, un sogno realizzabile. Le persone che la vedevano da fuori però, non conoscevano le storie dannate che la maggior parte delle persone degli stati del Sud, incredibilmente povere, dovevano affrontare.
Insomma, se la maggior parte dei rocker dopo di lui saranno fissati con la figura demoniaca, con il cedere ai peccati, dobbiamo ringraziare prima di tutto Robert Johnson, il cantore del diavolo, l’uomo dal volto oscuro che veniva dal Mississipi.
Raffaele Cars