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Un capolavoro del cinema sovietico
Ivan il Terribile, completato nel 1944, dopo la vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado, è diretto e sceneggiato da Ejzenštejn, che si serve della vincente collaborazione alla fotografia di Eduard Tisse. Sarebbe dovuta essere l’opera che avrebbe dato inizio alla trilogia riguardante la vita di Ivan IV di Russia, noto come Ivan il Terribile, ma dei tre film pensati dal regista sovietico Ejzenštejn, ne furono realizzati solo due a causa della morte del genio sovietico. Il secondo, La congiura dei Boiardi, sarà distribuito dopo la morte del regista. Era stato infatti bloccato dalle autorità sovietiche, in particolare dallo stesso Stalin, che nonostante avesse dei sospetti verso Ejzenštejn, non poteva non stimare e apprezzare il lavoro artistico del regista originario di Riga. Ivan il Terribile (Иван Грозный), oltre ad essere l’opera più importante della trilogia, resta una delle opere più importanti del cinema sovietico e uno dei lavori più apprezzati del cinema di Ejzenštejn.
Ivan il Terribile, la trama
Incoronato zar, Ivan IV (Nikolaj Cercasov), è determinato ad unire tutta la Russia sotto il suo controllo, per questo accentua nelle sue mani il potere e intraprende guerre vittoriose contro i Tartari. Ma i Boiardi, che non vogliono per nessuna ragione rinunciare ai loro privilegi, tramano contro Ivan e insieme ai Boiardi c’è anche la famiglia, in particolar modo la zia, che avvelena la zarina, la quale fa in tempo ad assicurare a Ivan un erede e allo stesso tempo fa di tutto affinché il figlio, incapace di governare e quindi facilmente manipolabile, prenda il posto di Ivan. Addolorato dagli eventi accaduti, si ritira in un convento, ma viene riportato a Mosca dal popolo che lo acclama a gran voce.
Un film come dramma teatrale
In Ivan il Terribile, Ejzenštejn, che ha ormai abbracciato il cinema sonoro, dà molta importanza alla musica (Sergey Proko’ev), che assume all’interno del film un ruolo molto importante, soprattutto all’interno della struttura drammatica del film, conferendo per esempio, alla scena dell’incoronazione, un’atmosfera sacra ed epica e soprattutto teatrale. Infatti, ciò che viene ripreso da Ejzenštejn, è a tutti gli effetti un dramma teatrale, un dramma reso non solo come già detto con l’accompagnamento della musica, ma anche attraverso una scenografia orientata verso lo sfarzo barocco, attraverso continui richiami all’arte e soprattutto grazie ad una gestualità e una mimica facciale dei personaggi di quest’opera; Ejzenštejn riesce niente meno che a coniugare il macro-mondo del cinema con il micro-mondo del palcoscenico, un modo di fare che gli permette da un punto di vista pragmatico, di aggirare la censura sovietica, mescolando fatti storici reali e propaganda.
L’espressività e il volto nel cinema
L’espressività raggiunta da Ejzenštejn all’interno di questo film, è stata eguagliati da pochi film nella storia del cinema, eppure c’è un precedente che ha sicuramente influenzato, indirettamente o direttamente Ivan il Terribile, stiamo parlando di un capolavoro del cinema muto firmato Carl Dreyer, La passione di Giovanna D’Arco. L’opera di Ejzenštejn è infatti pienissima di primi piani, che inquadrano gli sguardi dei personaggi in un determinato momento, sguardi che riflettono per esempio nella scena dell’incoronazione, la costernazione dei Boiardi di fronte a quel momento; sono anche sguardi di uomini e donne che si trovano a fare il doppio gioco, dubbiosi, un atteggiamento tra l’apparente approvazione e l’imminente tradimento, in un continuo gioco di luci ed ombre. Una tale importanza data ai primi piani e agli sguardi, non può appunto non ricordare l’opera di Dreyer, che aveva trasformato un film che doveva trattare delle gesta di Giovanna D’Arco, in un film monumento al volto femminile e più in generale al potere del volto umano, tra i suoi tanti misteri e infiniti significati.
Ivan il Terribile è un capolavoro a tutti gli effetti, un’opera sublime che rievoca una vicenda storica, un film che il regista sovietico estrapola però dal solo contesto storico, rendendola un’opera che prima di tutto rimanda anche al presente e che si presta a diverse lettura, ma che diventa soprattutto un’opera d’arte totale, raggiungendo livelli di perfezione estetica altissimi come solo Ejzenštejn sapeva fare.
Roberto Carli