Napoli è un unicum in cui sono indissolubilmente fusi mito, storia e bellezza. La città conserva simboli di una grande religiosità, che nasconde tuttavia anche tradizioni pagane, le quali sicuramente derivano da antiche cerimonie romane, in particolar modo se facciamo riferimento al culto dei morti. Le catacombe di San Gennaro a Napoli, celebri e suggestivi monumenti del cristianesimo primitivo della città, sono in tal senso fonti assai preziose e rare.
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Le catacombe di San Gennaro
Napoli ebbe una fitta rete di cimiteri sotterranei, che si sviluppò soprattutto alle falde dei Colli Aminei, nella zona suburbana del quartiere dei Vergini-Sanità, la «valle dei morti» come fu definita fin dai tempi di Neapolis greco-romana.
Le Catacombe di San Gennaro si distinguono per la maestosità degli spazi. La tradizione vuole che le catacombe napoletane (S. Gennaro, S. Gaudioso, S. Severo, S. Efebo) siano collegate tra di loro tramite cunicoli sotterranei. L’antico popolo dei Cimmeri avrebbe creato questi passaggi, temendo le eruzioni del Vesuvio.
La catacomba napoletana era un luogo di culto, nato per ampliamento di un originario nucleo sepolcrale pagano (II-III secolo d.C.) a seguito delle deposizioni dei primi vescovi napoletani (dal III secolo in poi). I resti di San Gennaro furono traslati qui soltanto in un secondo momento (intorno al 431).
Simbologia antica intorno alla cura dei morti
Uno dei tratti comuni a tutti i popoli antichi è sempre stata la sollecitudine verso la tomba dei cari scomparsi. Si riteneva che il defunto conservasse stretti rapporti con il luogo della sua sepoltura, avvertisse quasi gli stessi bisogni dei vivi e sentisse la minaccia di spiriti maligni se non fosse stato “protetto”. In relazione a “questo bisogno” di ristoro fisico del defunto, gli antichi compivano varie manifestazioni a favore dei morti, spesso in determinati giorni dopo la sepoltura.
Alcune consuetudini pagane, per esempio, prevedevano l’epulum, cioè un banchetto in onore del morto presso la sua tomba. Da queste usanze derivarono le analoghe manifestazioni dei cristiani napoletani verso i defunti e verso i santi. Ad esempio, nei cimiteri di Napoli era diffuso il rito del refrigerium. Esso consisteva in un pasto funebre collegato all’anniversario dei defunti o dei santi: lo scopo principale era portare giovamento all’anima del morto, allo stesso modo con cui oggi in suffragio dei propri cari si fa recitare una messa.
Questo spiega anche perché i cristiani abbiano avuto cura di annotarsi il doloroso anniversario della morte dei cari, tanto da definirlo il dies natalis, il giorno della nascita a vita nuova nell’aldilà. Nella lunetta di un arcosolio della catacomba superiore, c’è un affresco che rappresenta S. Lorenzo introdotto in Paradiso dall’apostolo Paolo. Per S. Lorenzo è giunto gloriosamente il dies natali, e le colonne simboleggiano il trapasso.
Riti antichi “pagano-cristiani”
Sempre nelle catacombe di San Gennaro sono state spesso recuperate, accanto ai teschi dei defunti, delle corone d’alloro. Quest’uso va interpretato come espressione dell’innocenza del defunto dimostrata al tribunale dell’aldilà. La corona dei morti, che nell’antichità greco-romana consisteva solitamente in ramoscelli d’ulivo, doveva assicurare ai defunti la pace nella tomba. Nelle catacombe di Napoli questa usanza fu diffusa e praticata a partire dl IV secolo.
I fiori sono un’immagine della beatitudine celeste, infatti i cristiani immaginano il paradiso come un bel giardino fiorito e rigoglioso: la stessa idea di fondo è alla base della decorazione pittorica con fiori e ghirlande sulle pareti delle catacombe. Tra i fiori, i preferiti furono la rosa, collegata alla croce e, per il colore rosso, messa in rapporto al sangue di Cristo; il giglio bianco, simbolo di purezza, e infine le viole, immagini di modestia e umiltà, ma anche della passione di Gesù.
Molto diffuso nelle catacombe di Napoli fu anche l’uso delle candele e dei candelabri. Numerosi affreschi delle catacombe di San Gennaro mostrano candelabri e torce, e sono stati trovati anche cadaveri che avevano lucerne sul petto. Il significato simbolico della lampada è strettamente connesso al simbolismo della luce. I napoletani davano a questa pratica un valore apotropaico, contro le forze del male: per loro tramite erano tenute lontane le nefaste potenze delle tenebre, così si applicavano alle lampade segni magici e simbolici. Un esempio che ci mostra la simbologia della corona e delle candele è l’Affresco della famiglia di Theotecnus, databile agli inizi del VI secolo.
Questo affresco, uno dei migliori esempi della pittura bizantina napoletana, presenta un gruppo familiare: una bimba di due anni, Nonnosa, con i genitori Theotecnus e Ilaritas. I tre defunti sono raffigurati in atteggiamento orante. La bimba è rappresentata come il centro degli affetti di famiglia. Sulla piccola scende dall’alto, per mezzo di due lacci rossi, una corona fatta di fronde di alloro con una grossa gemma al centro, simbolo del premio eterno ricevuto dai discepoli di Cristo. La famiglia unita nella fede, dopo la morte, gode delle gioie del paradiso, simboleggiato dalle candele accese ai lati della composizione.
La figura del pavone
Nelle catacombe di Napoli, sulle pareti e sulle tombe, è possibile notare iscrizioni che si rifanno a un “linguaggio cifrato”. A Napoli, almeno per i primi tempi, i cristiani si espressero con un linguaggio simbolico e ricercato, comprensibile solo agli “iniziati” alla nuova religione. Diffusi erano i simboli che si ispiravano al regno animale. Nelle catacombe di San Gennaro, ad esempio, più volte si ricorre all’immagine del pavone e ai suoi riferimenti simbolici. Nell’antica Grecia, il pavone era simbolo del sole; così i cristiani scorsero in questo uccello un simbolo della resurrezione del corpo. Nelle catacombe di San Gennaro, un pavone è rappresentato in un celebre arcosolio del piano inferiore, datato al IV secolo.
Raffaela De Vivo
Bibliografia:
G. Liccardo, Le catacombe di Napoli, Tascabili Newton, Roma, 1995.