Salve ragazzi. Oggi ci occuperemo di Ippocrate di Cos, figura considerata da alcuni – pochi – leggendaria che ha influenzato non solo la storia della medicina ma anche quella della filosofia; cerchiamo di capire perché.
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Ippocrate e il metodo deduttivo
Nel V sec. a.C. nacque a Cos un certo Ippocrate, probabilmente allievo del medico Eraclide e amante dei viaggi: visse ad Atene e ad Abdera, dove incontrò Democrito (di cui non abbiamo mai parlato; rimedieremo), e passò a miglior vita in Tessaglia.
Fine.
No dai, siamo seri: Platone ci conferma, nel Fedro, l’esistenza di un sistema ippocratico volto a spiegare globalmente patologie e cause di esse; il metodo di Ippocrate, dunque, è finalizzato alla conoscenza del copro in quanto connesso con il tutto naturale, sulle orme di quanto già intuì Alcmeone circa la corrispondenza di macrocosmo e microcosmo. Secondo Ippocrate, inoltre, fondamentale risulta per la salute l’equilibrio degli opposti che il Nostro identifica con quattro umori presenti nel corpo, ossia sangue, flegma, bile gialla e bile nera. Paradossalmente, secondo gli studiosi, solo due scritti sono attribuibili ad Ippocrate senza ombra di dubbio: il Περί της Ιερής Νόσου – perì tès hyerès nòsu, sul morbo sacro – e il Περί ᾽Αέρων, ᾽Υδάτων, Τόπων – perì aèron, udàton, tòpon, sulle arie, le acque e i luoghi; il primo concerne appunto il cosiddetto morbo sacro, ovvero l’epilessia, mentre il secondo si pone un rapporto tra la salute umana ed il clima.
Lo schema logico che Ippocrate segue nelle sue prescrizioni è il seguente: se a, allora b; in altre parole, se qualcuno ha un tale male, allora deve assumere tale farmaco. Questo metodo affonda le proprie radici nella divinazione ma Ippocrate rifiuta totalmente il divinare e vi preferisce il congetturare in base ai sintomi del male; questo tipo di ragionamento si dice deduttivo ed alcuni studiosi, tra cui lo Jaeger, hanno sottolineato il debito che il metodo socratico, quello di Erodoto e anche quello di Tucidide hanno nei confronti di questa scienza medica.
Sul morbo sacro
Al fine di comprendere bene il metodo di indagine tipico di Ippocrate, analizziamo un passo tratto da Sul morbo sacro:
Così stanno le cose a proposito della cosiddetta malattia sacra. A me non sembra affatto che sia più divina né più sacra delle altre malattie, ma come anche le altre malattie, essa ha una causa naturale e da essa deriva. Gli uomini invece la considerano divina per la loro incapacità e per il suo carattere straordinario, perché non assomiglia in nulla alle altre. Ora, rispetto alla loro incapacità di conoscere la malattia, il suo carattere divino permane, esso però si vanifica rispetto all’abbondanza dei messi terapeutici con cui la curano (…). Se invece la si vorrà considerare divina per il suo carattere straordinario, molte, per questo motivo, saranno le malattie sacre.
Immaginate cosa doveva sembrare agli antichi un attacco epilettico: sintomi che vanno e vengono senza lasciare traccia e nessuna spiegazione apparente. Ovviamente, dinnanzi all’ignoto, scatta la spiegazione divina – tra l’altro anche al giorno d’oggi… lasciamo perdere; in questo passo, Ippocrate ci mostra come sia solo superstizione considerare sacra una malattia per cui, già al tempo, esistevano alcune cure – sulla cui validità sarebbe estremamente sciocco discutere ora – e che, tra l’altro, non era dissimile da altre malattie diffuse all’epoca. Proprio Ippocrate afferma “vedo uomini in perda alla follia e fuori di senno senza alcun moti manifesto che compiono le più varie azioni inconsulte e so di molti che nel sonno gemono e gridano (…) e si danno molti altri e vari casi dei quali sarebbe lungo parlare singolarmente”. Con rigore scientifico, Ippocrate demolisce la teoria secondo cui l’epilessia sarebbe un morbo inviato dagli dèi; proseguendo nella lettura, il medico ci descrive le terapie che “maghi, purificatori, accattoni e ciarlatani” prescrivono ai malati e tra queste terapie troviamo l’astensione da determinati cibi, come le carni di capra, di cervo, di maiale e di cane (“queste carni infatti producono il massimo turbamento del ventre”) o la prescrizione di non indossare vesti nere e di non stare distesi su pelli di capra e non indossarne.
“Se a, allora b”
Contro queste prescrizioni si scaglia Ippocrate, in quanto
prescrivono questo a motivo del divino (…) e adducono altri motivi di modo che, se il malato guarisce, la stima per l’abilità ricada su di loro, se muore, la loro difesa sia al sicuro e possano sostenere che non loro sono responsabili, ma gli dèi (…) io però ritengo che nessuno degli abitanti dell’interno della Libia potrebbe essere sano se le pelli o le carni di capra avessero una qualche rilevanza per la salute, poiché là non hanno né giacigli, né vesti, né calzari che non siano di capra (…). E inoltre, se questi alimenti producono la malattia e la fanno crescere se vengono mangiati, e producono la guarigione se non vengono mangiati, non è più il dio che è responsabile (…) ma sono i cibi che guariscono e sono i cibi che fanno male, e la potenza del dio scompare.
Tramite ragionamenti basati sulla pura deduzione logica, Ippocrate comprende che il morbo sacro non è affatto sacro e che sono solo dei ciarlatani coloro che pretendono di guarirlo prescrivendo terapie che poggiano su basi del tutto infondate. Naturalmente privo delle conoscenze e degli strumenti moderni di analisi medica, Ippocrate propone una scienza medica che si basi sull’analisi empirica dei fatti, epurata da tutte le credenze superstiziose; si badi bene che Ippocrate non vuole mettere in dubbio l’esistenza degli dèi, semplicemente ritiene che le cause di una patologia siano da ricercarsi nei sintomi e nella realtà fattuale.
Un’ultima cosa: il celebre Giuramento di Ippocrate probabilmente non c’entra niente con il suddetto in quanto è quasi certamente di epoca precedente. Non si finisce mai di imparare.
Luigi Santoro
Fonti
Fonte citazioni: Ippocrate, Sul morbo sacro