Arte, Spagna sud-occidentale, Barocco, Controriforma, parole legate fra loro da un grande nome della pittura religiosa del XVII secolo: Francisco de Zurbáran.
Contemporaneo di Diego Velázquez, Bartolomé Esteban Murillo e Alonso Cano, Zurbáran rappresenta al meglio la religiosità controriformistica della Spagna del Seicento. Al contrario dei suoi contemporanei però, non fu mai un artista legato alla corte spagnola o alla committenza privata, e si dedicò infatti principalmente a commissioni religiose, fatta eccezione per l’ultima fase della suo percorso artistico quando si avvicinò anche alla pittura di genere, ed in particolare alla natura morta così come l’aveva intesa Caravaggio nella “Canestra di Frutta” dell’Ambrosiana.
Il primo documento in cui viene citato Zurbáran è proprio quello del suo battesimo, nella chiesa di Fuente de Cantos nell’Estremadura, grazie al quale conosciamo la sua data di nascita, il 7 novembre 1598. Velázquez nasce nel 1599, e già questi pochi dati ci lasciano immaginare il rapporto di amicizia e stima reciproca che legò questi due artisti.
Nel 1614 si trasferisce a Siviglia e nel 1616 circa, quando Zurbáran firma la sua prima opera, un’ “Immacolata” oggi conservata nella collezione Valdés di Bilbao, conosce anche Velázquez e Cano. L’attività giovanile di questi tre artisti ricorda molto il rapporto che, alla fine del Cinquecento, si era instaurato tra Giorgione, Palma il Vecchio e Tiziano: tre artisti agli esordi con le stesse tendenze, ma di temperamento diverso, ed i cui influssi reciproci sono difficile da determinare. Il loro rapporto non cessò nemmeno quando Velázquez lasciò Siviglia per recarsi a Madrid, dove il giovanissimo Filippo IV era stato appena incoronato re.
Per quanto riguarda la formazione di Zurbáran, precedente all’incontro con Velázquez, non si sa molto e per lo più sono state fatte delle ipotesi. Alcuni lo credono scolaro di Juan de las Roelas, ma nella realtà dei fatti è estremamente difficile trovare nella produzione di questo artista castigliano delle opere che abbiano potuto influenzare un artista così legato all’aspetto religioso e mistico come Zurbáran. Il suo primo maestro fu infatti, con più probabilità, Pedro Diaz de Villanueva, un pittore di immagini devozionali rimasto purtroppo sconosciuto.
Nel 1617 si trasferì a Llerena, dove rimase fino al 1628, continuando tuttavia ad avere contatti con Siviglia come dimostra la commissione dei dipinti per il Convento di San Pablo el Real.
Di questi ventuno dipinti però ne restano davvero pochi e conservati in diversi musei spagnoli; tra essi ricordiamo il “Sant’Ambrogio”, il “San Gregorio” e il “San Girolamo”. In queste prime opere Zurbáran tende a porre sempre la figura in primo piano e grazie al contrasto tra luce e ombra, essa sembra isolarsi ancora di più rispetto allo sfondo, quasi sempre neutro, della composizione.
Queste caratteristiche della sua pittura derivano, almeno in parte, dal naturalismo italiano: Zurbáran apprende dai caravaggisti la concezione della luce come strumento di rivelazione del corpo che grazie ad esse emerge nella composizione del quadro. In lui la componente luministica diventa il tramite anche per trasmettere contenuti visionari e mistici, e questo aspetto lo ricollega da un lato all’aspetto controriformistico, e dall’altro alle più profonde tendenze della religiosità iberica, alimentata ancora di più dalle esperienze estatiche di santi come Teresa d’Avila. Emblema di questa poetica pittorica sono opere come il “Beato Serapio” o il “San Francesco in meditazione”.
Ma c’è un ulteriore tratto che lega Francisco de Zurbáran a Caravaggio, ed è quello della pittura di genere, della nature morte chiamate in Spagna “bodégon”. Il più celebre dei tanti dipinti di questo genere realizzati da Zurbáran è la “Natura morta con limoni, arance e una rosa”, datata ai primi anni trenta del Seicento, un’opera bellissima nella sua quasi disarmante semplicità.
Come per la “Canestra di Frutta” di Caravaggio, anche per l’opera di Zurbáran sono state elaborate teorie legate a una interpretazione religiosa: la “Natura morta con limoni, arance e rose” è stata intesa in senso mistico o ascetico, ed è stato affermato che addirittura dietro di essa si nasconderebbe una rappresentazione della Trinità, e lo si è detto perché Zurbáran è essenzialmente un pittore sacro.
È un quadro sicuramente teologico, ma nel senso in cui Luca Giordano definì “Las Meninas” di Velázquez come “teologia della pittura”. Siamo dinanzi ad opere che rendono sacra l’arte, e non solo quella che rimanda a rappresentazioni religiose, ma anche l’arte che parla del quotidiano, l’arte più intimamente legata all’uomo stesso.
Manuela Altruda