Lasciar cadere un foglio contenente versi d’amore è ormai una pratica relegata al personale. Con il trionfo delle moderne tecnologie, la carta scade in disuso e con essa il brillio di una lacrima. Bisogna dire che gli epistolari, quelli fittizi e quelli reali, sono stati appannaggio del sentimento comune sin dalle corone di Grecia e di Roma. Quell’età dell’oro, posta da Ovidio agli antipodi del mondo, si vivifica e rovina nelle tragiche lettere delle Eroidi. In questo articolo analizziamo, nel dettaglio, i casi di Laodamia e Protesilao e di Saffo e Faone.
Eroidi, struttura e innovazione
Chi infatti potrebbe nascondere il fuoco, che viene sempre tradito dal suo stesso bagliore?
Il corpus dell’opera è formato da ventuno lettere, vergate da eroine dal mito ai rispettivi amanti. Si passa da Briseide a Didone, da Fedra a Elena, per giungere al gusto della morale romana. Quest’ultima è ottenuta con un procedimento innovativo: utilizzare la forma metrica dell’elegia in contesti epico – fantastici.
La forma delle epistole è strutturata secondo un inizio in media res cui si appone un saluto iniziale. Questi momenti costituiscono il prologo della narrazione poetica, il suo asse capace di reggere gli indizi fondamentali della vicenda. Potremmo paragonare le trame del mito ad una ragnatela, sottile ed illusoria, data la notorietà delle leggende. Qui si gioca la profonda ironia delle Eroidi, un’ironia persuasiva che flette l’innocente speranza delle autrici.
Laodamia e Protesilao: la tragedia fedele
Lettera degna di nota è quella che vede Laodamia in attesa di Protesilao. Mai come in questao componimento, l’ironia patetica detiene la corona. Il tempo tra i due amanti è un tempo di guerra e della guerra pare riprendere il senso di morte imminente, quello stallo che preannuncia la caduta. Ma il conflitto viene elaborato da un medaglione femminile: la diatriba bellica si tinge di nostalgia e lascia emergere l’umanità della finzione.
Giuro sul tuo ritorno e sul tuo corpo, che sono i miei numi, e sulle fiaccole unite del cuore e del matrimonio, e sulla tua testa – che possa vederla imbiancare per la canizie, e che tu possa riportarla indietro con te! – giuro che io ti raggiungerò, come compagna, ovunque tu sia chiamato, sia che .. ahimè, quel temo – sia che tu sopravviva.
Persino i rimandi eruditi, come quello ad carme LXVIII di Catullo, si sciolgono nel talamo nuziale. Non gli amanti traditi, non il dolore fugace, quest’epistola evoca una tragica mancanza domestica, quanto mai attuale.
Saffo e Faone: autore e creazione
Dimmi, appena hai visto la lettera scritta da una mano colta, i tuoi occhi l’hanno subito riconosciuta come mia? E se non avessi letto il nome dell’autore, Saffo, non sapresti da dove ti giunge questo breve scritto?
Componimento centrale della raccolta, l’epistola di Saffo a Faone incarna il pieno impeto della creazione. Quella passione amorosa, che fa da cardine alle protagoniste, con Saffo si tinge di autorità. Non stiamo parlando di un autorità etica, ma di una supremazia artistica. La poetessa di Lesbo nasconde colui che le dona la voce, il grande Ovidio che scolpisce la folgore del sentire. Lo stesso Faone si curva nell’allegoria: egli incarna la creazione letteraria, quella fatica e quel tormento, quel dolce animare che spesso abbandona.
Il mio tenero cuore è facile bersaglio di agili strali, e c’è sempre un motivo per cui io sia sempre innamorata: o lo hanno stabilito alla mia nascita le Parche e non hanno assegnato alla mia vita fili austeri, o la mia attività artistica influenza il mio modo di viver e Talia, maestra della mia arte, mi rende l’animo sensibile.
E questo animo sensibile, su cui si fonda l’edificio dell’arte poetica e la sua ultima ragione, conduce spesso alla rovina completa; il salto di Saffo, l’esilio di Ovidio riscattano la libertà dello spavento e la creazione.
Silvia Tortiglione
Fonti:
Eroidi; Garzanti IV ed. con introduzione, traduzione e note di Emanuela Salvadori