A Buenos Aires c’è una piazza intitolata a Julio Cortázar. Piccola, accaldata, caotica di gente. Su un muro, costantemente rinnovata da qualcuno che ancora non dimentica, c’è una scritta realizzata con le bombolette spray: “Julio, torna, che cosa ti costa?”.
Julio Cortázar: una vita a metà tra Parigi e Buenos Aires
È il 12 febbraio 1984. In un appartamento di Parigi, divorato dalla leucemia, si spegne il poeta e scrittore argentino Julio Cortázar. Argentino, sì, ma legato indissolubilmente alla sua patria d’elezione, la Francia.
Settant’anni e sei mesi prima di quel giorno freddo di febbraio, in realtà, Julio era nato a Bruxelles, non in Sudamerica. Il padre, ambasciatore, fa appena in tempo a tornare con la famiglia in patria che decide d’abbandonarla, e Julio cresce sotto il sole cocente in un vero e proprio gineceo di sorelle e parenti.
Inquieto, solitario, “convinto di essere uno scapolo irriducibile, con pochissimi amici, melomane lettore a tempo pieno, appassionato di cinema, piccolo borghese cieco a tutto ciò che succedeva al di fuori della sfera estetica”: questo è l’autoritratto che dà di sé il giovane Julio dalla penna fremente, fluttuante lucido eppure onirico nel suo mondo segreto.
Intorno i primi anni cinquanta Julio Cortázar torna in Europa. Niente lascia in Argentina, tutto porta con sé: il caldo vitale eppure soporifero del sole troppo forte, i colori esplosivi, la sincerità pungente di un popolo irrequieto, mezzo milione di realtà assurde coesistenti – tutte rinchiuse da qualche parte nella sua mente sorprendente e incomprensibile, a fior di pelle sui polpastrelli che stringono la penna, incanalate nell’inchiostro che si riversa sulle pagine bianche. Combinate, una volta in Europa, con il cielo strano e romantico di Parigi, l’ordine apparente e il caos sotterraneo di una città grande e vanitosa.
Rayuela, il capolavoro
Quando nel 1963 pubblica il suo indiscusso capolavoro, Rayuela, appare chiaro allora, oltre al suo prorompente talento, la sua anima divisa pacificamente tra Argentina e Francia, il suo modo disinvolto e quasi sprezzante di essere a Buenos Aires mentre sta a Parigi.
La trama è semplice, bene o male. Il personaggio principale, Horacio Oliveira, è un argentino che si trova a Parigi e che intesse una strana, inquieta e meravigliosa relazione con la Maga, emigrata dall’Uruguay con un bambino in fasce e dalla filosofia di vita scombinata e difficile da seguire.
Insieme frequentano un gruppo vivace di amici che si riunisce in un circolo privato chiamato il Club del Serpente, all’insegna della stessa passione euforica per il jazz.
Gelosie e litigi, amore e musica, arte e passione si intrecciano a viaggi e ritorni, partenze e addii, ora in Argentina ora a Parigi.
Ma non è per questi elementi concreti che in questo romanzo si palesa la duplice anima del nostro Cortázar: a far convivere queste due inconciliabili realtà, ossia quella, tutta europea, dell’ordine narrativo armonico e consequenziale (se si tiene ben a mente l’eccezione joyciana alla quale, infatti, Rayuela è stato più volte paragonato), e quella, tutta sudamericana, della convivenza immune da dubbi e obiezioni di mille diverse contemporaneità, è piuttosto la struttura dell’opera.
Il lettore, approcciandosi a questo antiromanzo (o, volendo usare un termine coniato dal nostro Calvino, iperromanzo, nel senso di romanzo che vada “oltre la norma, oltre ciò che è usuale”), deve abbandonare coraggiosamente la sua forma mentis e accomodarsi in quella tutta particolare dell’autore.
L’opera infatti offre due possibilità. Può essere affrontata in maniera tradizionale: dalla prima all’ultima pagina, nessun pensiero, nessuna problematica, e buona lettura.
Oppure, può essere letta – tenetevi forte – dal capitolo 73, seguendo poi l’ordine stabilito dall’autore e riportato nella tavola d’orientamento della prima pagina del libro.
Saltando da un capitolo all’altro la confusione è assicurata e, vi assicuro, voluta. Consapevole dei mille modi che esistono per leggere la realtà, Cortázar ci trasporta divertito e irriverente in un mondo caotico che si può organizzare – o quantomeno si potrebbe, se ciò fosse possibile nella vita vera – con un elenco alla mano, che ci dica che ordine seguire, che ci indichi il termine delle cause e l’inizio delle conseguenze, non sempre netto e individuabile.
Rayuela, e Cortázar con lei, raccontano, allora, il modo più naturale e vitalistico di adeguarsi a un mondo, gestito da forze centrifughe, nel quale l’unica maniera per sopravvivere è destreggiarsi in una realtà consapevoli che essa potrebbe nasconderne altre cento.
A Buenos Aires c’è una piazza, è intitolata a Julio Cortázar. Piccola, accaldata, caotica di gente. Su un muro, costantemente rinnovata da qualcuno che ancora non dimentica, c’è una scritta realizzata con le bombolette spray: “Julio, torna, che cosa ti costa?”.
Leggendo quella scritta, ogni tanto, pare di sentire la risata dell’autore: “Tornerei pure. Il fatto è che non me ne sono mai andato”.
Beatrice Morra